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lunedì 28 maggio 2018

LA RISPOSTA DEL PROF. PAOLO SAVONA

TUALITA'  posted by  su scenarieconomici.it 

Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del Paese sulla base di un paradossale processo allintenzioni di voler uscire dall’euro e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio Comunicatocriticato dalla maggior parte dei media senza neanche illustrarne i contenuti. Insieme alla solidarietà espressa da chi mi conosce e non distorce il mio pensiero, una particolare consolazione mi è venuta da Jean Paul Fitoussi sul Mattino di Napoli e da Wolfgang Münchau sul Financial Times. Il primo, con cui ho da decenni civili discussioni sul tema, afferma correttamente che non avrei mai messo in discussione l’euro, ma avrei chiesto all’Unione Europea di dare risposte alle esigenze di cambiamento che provengono dall’interno di tutti i paesi-membriaggiungo che ciò si sarebbe dovuto svolgersecondo la strategia di negoziazione suggerita dalla teoria dei giochi che raccomanda di non rivelare i limiti dell’azione,perché altrimenti si è già sconfittiun concetto da me ripetutamente espressopubblicamente. Nell’epoca dei like o don’t like anche la Presidenza della Repubblica segue questa moda.
Più incisivo e vicino al mio pensiero è il commento dMünchauNel suo commento egli analizza come deve essere l’euro per non subire la dominanza mondiale del dollaro e della geopolitica degli Stati Uniti, affermando che la moneta europea è stata mal costruita per colpa della miopia dei tedeschi. La Germania impedisce che l’euro divenga come il dollaro “una parte essenziale della politica estera”. Purtroppo, egli aggiunge, il dollaro ha perso questa caratteristica, l’euro non è in condizione di rimpiazzarlo o, quanto meno, svolgere un ruolo parallelo, e di conseguenza siamo nel caos delle relazioni economiche internazionali; queste volgono verso il protezionismo nazionalistico, non certo forierodi stabilità politica, sociale ed economica. È il tema che con Paolo Panerai ho toccato nel pamphlet recentemente pubblicato su Carli e il Trattato di Maastricht, dove emerge la lucida grandezza di Paolo Baffi. L’Italia registra fenomeni di povertà, minore reddito e maggiore disuguaglianze. Il 28 e 29 giugno si terrà un incontro importante tra Capi di Stato a Bruxelles: chi rappresenterà le istanze del popolo italiano? Non potrà andarci Mattarella, né può farlo Cottarelli. Se non avesse avuto veti inaccettabili, perché infondati, il Governo Conte avrebbe potuto contare sul sostegno di Macroncosì incanalando le reazioni scomposte che provengono dall’interno di tutti indistintamente i paesi-membri europei verso decisioni che aiutino l’Italia a uscire dalla china verso cui è stata spinta. Münchaugiustamente afferma che “temnon vi sia un sostegno politico nel Nord Europa” e quindi non ci resta che patire gli effetti del protezionismo e dell’instabilità sociale. Si tratta di decidere se gli europeisti sono quelli che stanno creando le condizioni per la fine dell’UE o chi, come me, ne chiede la riforma per salvare gli obiettivi che si era prefissi.
Paolo Savona

venerdì 11 maggio 2018

Se la sinistra vuole risorgere deve spezzare il legame tra reddito e impiego Superare questo schema tipico della vecchia società fordista e riscoprire i valori universali è l'unico modo per permettere al riformismo di avere ancora un futuro

DIBATTITO

DI EMANUELE FERRAGINA
04 maggio 2018

Se la sinistra vuole risorgere deve spezzare il legame tra reddito e impiego
La discussione sui destini della sinistra aperta dall’articolo 
di Paola Natalicchio prosegue con l’intervento di Emanuele Farragina, docente di sociologia politica a Sciences Po Parigi e a Oxford autore, tra l’altro, di “La Maggioranza Invisibile” (2014) Bur- Rizzoli

Siamo di fronte alla cronaca di una morte lungamente annunciata. In molti hanno descritto i cambiamenti che hanno sconvolto il blocco sociale e politico della vecchia sinistra e questo sconvolgimento può essere tratteggiato con poche istantanee.

Sono spariti gli operai - o perlomeno è sparita quell’aura mitologica che li circondava quali demiurghi dei processi produttivi. L’economia si è terziarizzata, con la finanza e i servizi che hanno sostituito l’industria come motore. I sistemi di protezione sociale sono stati scardinati, con riforme che hanno precarizzato il lavoro e intaccato il modello sociale europeo. La ricchezza e i redditi si polarizzano in sempre meno mani. A corollario di queste trasformazioni, il popolo della sinistra è stato progressivamente rimpiazzato da una maggioranza invisibile di precari, disoccupati, poveri e migranti. Una maggioranza invisibile che non ha ragione di riconoscersi in quel che resta dei partiti di sinistra, una maggioranza invisibile che le élite politiche “progressiste” hanno ignorato. Il trionfo dei Cinque Stelle (e della Lega) e il tracollo del Pd e della galassia sinistra ne sono logica conseguenza.

Dalle battaglie sociali alla partecipazione. Il Movimento Cinque Stelle, con tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni interne, si è impadronito di un'eredità. Per adesso o per sempre?
Siamo in una fase schumpeteriana: “distruzione creativa”. Anche solo per immaginare un futuro a tinte progressiste occorre lasciare da parte tutto un arsenale di concetti, parole d’ordine e personaggi politici, che non trovano posto nella modernità. Serve ripartire dalla rappresentazione sociale della maggioranza invisibile, incarnare il suo disagio, comprendere perché i cambiamenti sociali, economici e politici l’hanno spinta su posizioni di contestazione estrema del sistema. Una contestazione che non si presenta con richieste di redistribuzione e giustizia sociale, ma piuttosto con un afflato culturale.

Considerate la Brexit, la vittoria di Trump o l’exploit della Lega. Questi successi elettorali non sono eccezioni o sussulti contro un processo di globalizzazione ormai ineluttabile, essi riflettono invece il risveglio della logica comunitarista contro quella predatoria del capitalismo neoliberista. Non trovando risposta e protezione in un progetto collettivo progressista molte persone appartenenti alle classi più deboli hanno abbracciato quello nativista. Invece di considerare i migranti come alleati nella lotta per la redistribuzione, molti cittadini fiaccati dalla crisi economica si affidano a idee retrive ma che sembrano dare sicurezza.

Tuttavia, non basta liquidare questi elettori come ignoranti, occorre ragionare in termini sistemici. La società è cambiata fino a mettere l’individuo al centro di ogni discorso e rendere obsoleti i ragionamenti collettivi? Davvero chi parla di principi progressisti e visioni collettive di cambiamento vive fuori dalla storia? Uno vale davvero uno? O piuttosto le forze politiche tradizionalmente di sinistra, allineatesi al neoliberismo e vittime dei loro stessi successi nel proteggere alcune fette della popolazione, hanno dimenticato che l’arma rivoluzionaria del cambiamento è lo studio delle trasformazioni sociali al fine di rendere i più deboli capaci di agire in gruppo contro un sistema ingiusto?

Dobbiamo abbracciare nuovi ragionamenti e trovare nuove motivazioni. Motivazioni necessarie per intraprendere una lunga traversata nel deserto. Per questa ragione mi voglio concentrare su una questione che è passata di moda all’interno della sinistra italiana, ma che è, di capitale importanza per dirimere alcuni nodi legati alle questioni che ho esposto. Si tratta della questione del valore.

Perché la sinistra in questi anni ha sbagliato tutto (e non ha visto il mondo cambiare)
Le trasformazioni sociali degli ultimi tempi sono state gigantesche. Ma invece di studiarle, si è inseguito un “elettore mediano” che stava scomparendo
Fino agli anni Settanta l’organizzazione sociale era lineare: l’uomo lavorava in fabbrica o nel pubblico impiego, la donna assolveva le funzioni domestiche e di cura, e quasi tutti gioivano dei frutti della crescita economica attraverso aumenti salariali negoziati dalle forze sindacali. Certo sotto il mantra del compromesso fordista, si nascondeva la questione dell’uguaglianza di genere e del ruolo della donna; ma ogni famiglia poteva risparmiare e investire nella casa e nell’acquisto di una Fiat nuova fiammante. E questo consumo sosteneva a sua volta la crescita.

Con la crisi del fordismo, la stagnazione della crescita e la fine di un mondo basato sulla produzione in fabbrica sono simultaneamente crollati il potere d’acquisto degli operai e quello di contrattazione di sindacati e partiti socialdemocratici. In un’economia dominata dai servizi si è ridotto lo spazio per la contrattazione collettiva perché il lavoratore non garantiva più incrementi costanti di produttività. E così anche a seguito del cambiamento tecnologico e della delocalizzazione, i lavori in fabbrica si sono progressivamente trasformati in impiego nel settore dei servizi. Servizi di alto livello e ben remunerati per alcuni, servizi di basso livello per la maggioranza. Prendete come esempio gli impiegati di un fast-food o quelli di un call center. Certo si potranno rendere efficienti le tecniche di suddivisione del lavoro, ma c’è un numero massimo di hamburger da servire o di telefonate cui rispondere in un’ora. Il neoliberismo si adatta a questo schema, rimpiazza il keynesianismo, il consumo continua, ma non più sulla base della crescita economica, ma su quella del debito. I redditi stagnanti guadagnati nei servizi sono sussidiati dal debito per continuare a consumare e tenere in piedi la baracca.

Nel passaggio dal fordismo all’economia dei servizi, la sinistra italiana ed europea ha perso di vista uno dei più grandi insegnamenti di Marx: non si può comprendere un sistema economico e mettere in azione una forza sociale contrapposta a quella dominante se non si definisce che cosa ha valore. Se non si definiscono le ragioni per le quali individui con storie di vita diverse dovrebbero farsi racconto collettivo. Invece di seguire questo processo classico e iscritto nella sua storia ottocentesca e novecentesca, la vecchia sinistra è passata dall’altra parte della barricata diventando forza di sistema. E così le élite dominanti hanno proposto politiche di austerità competitiva che non hanno alcun senso in un quadro economico di crollo della domanda interna e i sindacati si sono arroccati a difesa dei contratti e dei diritti dell’era industriale. Nel contempo il paese sbuffa e soffre, con precari senza protezione dal rischio di disoccupazione, pensionati poveri che stentano ad arrivare a fine mese, migranti che sostengono settori economici al collasso e disoccupati sempre più coscienti del fatto che non troveranno mai un lavoro.

Questi soggetti sociali avrebbero tutto l’interesse a lottare collettivamente per misure redistributive e universalistiche invece che allinearsi su posizioni reazionarie. Per spingerli a farlo tuttavia dobbiamo superare l’idea che i diritti siano un bene solo per chi è impiegato nell’economia formale. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che il genitore che si prende cura di suo figlio, l’anziano che racconta al nipote una storia, il migrante che lavora in nero hanno pari dignità del lavoratore con contratto a tempo indeterminato (ove questo ancora esista…). È solo ripartendo dall’universalismo, dalla garanzia di un reddito svincolato dal lavoro nell’economia formale e dalla questione del valore a lungo ignorata che si può ridare forma all’idea progressista e collettiva, dando così rappresentazione sociale e politica alla maggioranza invisibile. È solo mettendo nel cassetto il keynesianismo, parentesi storica irripetibile in una società post-industriale, che potremmo opporci al mantra neoliberista e andare oltre la società lavorista. È un passaggio complesso, molti “vecchi compagni” non lo capiranno, ma la maggioranza invisibile non ha altre strade da percorrere.


martedì 1 maggio 2018

“I BITCOIN SONO UNA TRUFFA” – L'OPINIONE SENZA APPELLO DELL'ESPERTO DI FINANZA VIRTUALE BILL HARRIS, GIÀ AMMINISTRATORE DELEGATO DI PAYPAL: “SONO STANCO DI DIRE ‘STATE ATTENTI’”, I REGOLATORI DEVONO INIZIARE A PROTEGGERE GLI INVESTITORI NON INFORMATI, CHE SUBISCONO LA TRUFFA ''PUMP AND DUMP'', GONFIA E SCARICA – LE CRIPTOVALUTE SERVONO SOLO PER LE ATTIVITÀ CRIMINALI, ECCO PERCHÉ…”


1 MAG 2018 11:16

“I bitcoin sono una truffa”. È una frase che si sente spesso ripetere da un anno a questa parte, da quando cioè le criptovalute sono diventate croce e delizia della finanza globale. Da un lato investitori senza alcun tipo di esperienza che diventano milionari, dall’altra le istituzioni e le banche centrali che cercano di capire come poter frenare la speculazione. A febbraio era stato Augustin Carstens, direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali, a lanciare l’allarme: “Sono una combinazione tra una bolla, uno schema Ponzi e un disastro ambientale”. Oggi invece ad associare i bitcoin a una truffa è l’ex amministratore delegato di Paypal Bill Harris. Uno del settore, che di finanza virtuale se ne intende.

Sono stanco di dire “State attenti, è speculazione, state attenti, è un azzardo, una bolla. Quindi da ora in poi lo dirò: i bitcoin sono una truffa pura e semplice”, ha scritto Harris sul magazine online Recode.

“Si tratta – scrive Harris – della più colossale frode pump-and-dump della storia”. Un termine che in italiano si traduce “pompa e sgonfia”, e si applica facendo lievitare i prezzi di azioni a bassa capitalizzazione con l’obiettivo di vendere i titoli a un prezzo superiore. A perderci, secondo Harris, sono soprattutto i compratori poco informati, che vengono attirati da una spirale di avidità. Questa si trasforma in un trasferimento massiccio di ricchezza da famiglie “normali” ai promotori delle criptovalute, che nel frattempo sono diventate più di 1500 e “valgono” 300 miliardi di dollari.

Solo che, spiega Harris, il bitcoin e i suoi simili non hanno alcun valore. Chi le spaccia per investimenti vantaggiosi, e sostiene che abbiano un valore reale, adduce tre motivazioni: che siano un mezzo di pagamento, che possano essere utilizzate come riserva, e che abbiano un valore a se stante, come moneta.

Ma i bitcoin, sostiene l’esperto, non sono nessuna di queste tre cose: non sono accettati quasi da nessuna parte come pagamento, e anche quando lo sono, l'oscillazione in percentuali che possono superare anche il 10 per cento in un solo giorno, li rende inutili. La volatilità li rende indesiderabili anche come riserve: a questo va aggiunto il fatto che i “luoghi” dove avviene lo scambio di criptovaluta sono poco affidabili, rispetto alle banche o ai broker tradizionali. “Il bitcoin non ha un valore intrinseco, ma solo quello che viene dato loro da persone che credono che altre persone lo compreranno a un prezzo più alto (gli esperti la chiamano “greater fool theory”).


“In realtà c’è un utilizzo per cui il bitcoin è funzionale: l’attività criminale. Le transazioni sono anonime e le forze dell’ordine non possono tracciarle. La maggior parte degli utenti sono criminali”. Anche il mito delle transazioni istantanee e gratuite andrebbe rivisto. “Ci vuole un’ora per confermare una transazione e il sistema riesce a gestire solo 5 operazioni al secondo”.


Mastercard, ad esempio, nello stesso tempo ne fa 38 mila. Inoltre i Bitcoin è un assurdo spreco di risorse naturali. Per “minare” (così si chiama il processo di produzione delle criptovalute) un singolo bitcoin ci vuole la stessa energia che serve per alimentare per due anni una casa americana media. Il problema definitivo – conclude Harris – non è tanto questo, quanto piuttosto il fatto che “ci sono milioni di persone che incautamente stanno investendo i risparmi della loro vita in una truffa su larga scala. È il lavoro della Sec e dei regolatori di proteggerli”.

Perché la Festa del lavoro si festeggia il primo maggio



Ricorre oggi in molti paesi del mondo per una cosa successa nel 1886 a Chicago: in Italia si ricorda soprattutto la strage a Portella della Ginestra

La festa del lavoro, o dei lavoratori, viene celebrata ogni anno in Italia e in molte altre parti del mondo il primo maggio. La scelta di questo giorno deriva soprattutto da una cosa che successe alla fine dell’Ottocento, anche se – prima di allora – una festa del lavoro si era già festeggiata a settembre.

Da dove viene la festa del lavoro
Nel 1886, in questo periodo dell’anno, la polizia di Chicago sparò sui lavoratori che da giorni scioperavano per il mancato rispetto della legge che istituiva il tetto delle otto ore lavorative al giorno. Morirono due persone. Le proteste che seguirono quell’episodio furono a loro volta represse con la violenza dalla polizia, e culminarononella manifestazione di Haymarket, la piazza del mercato delle macchine agricole, durante la quale morirono altre persone – sia manifestanti che agenti – a causa di un attentato esplosivo. I responsabili dell’organizzazione della manifestazione del primo maggio furono arrestati e processati. Sette di loro furono condannati a morte, con prove molto traballanti o inesistenti, ma due condanne furono trasformate in ergastoli dal governatore dell’Illinois. Un condannato a morte si uccise in prigione il giorno prima dell’esecuzione. Altri quattro furono uccisi, e secondo le cronache dell’epoca cantarono la Marsigliese prima di morire. Nel 1890 la Seconda internazionale socialista decise di promuovere in tutto il mondo la festa dei lavoratori il primo maggio.

La festa del lavoro in Italia e la strage a Portella della Ginestra
Qui da noi la ricorrenza è tradizionalmente festeggiata anche con il “concertone” organizzato congiuntamente dai sindacati CGIL, CISL e UIL in piazza San Giovanni in Laterano a Roma: quella di quest’anno sarà la ventottesima edizione. In Italia, la festa del lavoro ricorre il primo maggio dal 1891; fu soppressa dal fascismo, e poi ripristinata nel 1945. Il primo maggio del 1947 duemila persone – soprattutto contadini – manifestarono contro il latifondismo a Portella della Ginestra, in provincia di Palermo. Un attacco armato deciso dalla mafia, con la complicità di chi era interessato a reprimere i tentativi di rivolta dei contadini, portò alla morte di 11 persone e al ferimento di altre 27. Il bandito Salvatore Giuliano fu identificato come il capo degli autori della strage, ma nel tempo si succederanno diverse ipotesi su chi potesse averlo sostenuto e aiutato. Le persone uccise a Portella della Ginestra si chiamavano Margherita Clesceri, Giorgio Cusenza, Giovanni Megna, Francesco Vicari, Vito Allotta, Serafino Lascari, Filippo Di Salvo, Giuseppe Di Maggio, Castrense Intravaia, Giovanni Grifò, Vincenza La Fata. Tre di loro avevano meno di 13 anni.