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martedì 28 marzo 2017

L’insensata uscita dalla moneta unica

Scenari populisti

Oggi non è più il tempo discussioni accademiche sui pro e contro dell’euro. Un dibattito europeo su come riorganizzarne, anche radicalmente, la gestione andrà avviato, e presto


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Il Movimento 5 Stelle ha più volte annunciato un referendum consultivo per l’uscita dall’euro, un passo che inevitabilmente comporterebbe l’uscita dall’Unione europea. Infatti, a meno di rinegoziare all’unanimità i trattati, non è possibile abbandonare la moneta unica rimanendo nella Ue. E fuori da essa un’eventuale svalutazione decisa per guadagnare competitività sarebbe neutralizzata dai dazi che gli altri Paesi imporrebbero sulle nostre esportazioni. Con dazi e svalutazioni gli italiani dovrebbero ridurre, e di molto, i loro consumi di beni importati. Certo, i dazi non durerebbero per sempre, forse sarebbero solo una minaccia. Ma neppure gli effetti dalla svalutazione durerebbero per sempre. Per un po’ di tempo, forse un anno o due, il minor valore della moneta potrebbe aiutare le nostre esportazioni. Ma un Paese in cui la produttività non cresce da un decennio, che soffre per il nanismo delle sue imprese, poca ricerca e sviluppo, di poca concorrenza, regole asfissianti su molte attività economiche, un’imposizione fiscale soffocante a causa di una spesa pubblica troppo elevata, non può illudersi che basti una svalutazione per risolvere questi problemi e riprendere a crescere. Come accadeva prima dell’euro, la mossa avrebbe l’effetto dell’aspirina: cura i sintomi, e intanto ritarda l’adozione di misure efficaci per combattere la malattia. Silvio Berlusconi propone invece di mantenere l’euro, ma affiancandogli una «nuova lira»: sarebbe emessa dallo Stato che la userebbe per pagare dipendenti e fornitori, i quali poi potrebbero usarla per saldare le loro tasse.
Alla fine degli anni Novanta lo fece l’Argentina: circolava il peso, legato uno a uno al dollaro, e i patacones, emessi dai governi provinciali per finanziarsi. Finì in un’esplosione del debito pubblico, una grande svalutazione del peso, l’assalto alle banche per ritirare i depositi e un default. Nonostante lo straordinario aumento di competitività delle merci argentine, il Paese entrò in depressione e la disoccupazione salì al 25 per cento.



Il Movimento 5 Stelle ha più volte annunciato un referendum consultivo per l’uscita dall’euro, un passo che inevitabilmente comporterebbe l’uscita dall’Unione europea. Infatti, a meno di rinegoziare all’unanimità i trattati, non è possibile abbandonare la moneta unica rimanendo nella Ue. E fuori da essa un’eventuale svalutazione decisa per guadagnare competitività sarebbe neutralizzata dai dazi che gli altri Paesi imporrebbero sulle nostre esportazioni. Con dazi e svalutazioni gli italiani dovrebbero ridurre, e di molto, i loro consumi di beni importati. Certo, i dazi non durerebbero per sempre, forse sarebbero solo una minaccia. Ma neppure gli effetti dalla svalutazione durerebbero per sempre. Per un po’ di tempo, forse un anno o due, il minor valore della moneta potrebbe aiutare le nostre esportazioni. Ma un Paese in cui la produttività non cresce da un decennio, che soffre per il nanismo delle sue imprese, poca ricerca e sviluppo, di poca concorrenza, regole asfissianti su molte attività economiche, un’imposizione fiscale soffocante a causa di una spesa pubblica troppo elevata, non può illudersi che basti una svalutazione per risolvere questi problemi e riprendere a crescere. Come accadeva prima dell’euro, la mossa avrebbe l’effetto dell’aspirina: cura i sintomi, e intanto ritarda l’adozione di misure efficaci per combattere la malattia. Silvio Berlusconi propone invece di mantenere l’euro, ma affiancandogli una «nuova lira»: sarebbe emessa dallo Stato che la userebbe per pagare dipendenti e fornitori, i quali poi potrebbero usarla per saldare le loro tasse.


Alla fine degli anni Novanta lo fece l’Argentina: circolava il peso, legato uno a uno al dollaro, e i patacones, emessi dai governi provinciali per finanziarsi. Finì in un’esplosione del debito pubblico, una grande svalutazione del peso, l’assalto alle banche per ritirare i depositi e un default. Nonostante lo straordinario aumento di competitività delle merci argentine, il Paese entrò in depressione e la disoccupazione salì al 25 per cento.

sabato 25 marzo 2017

La politica che manca tra i Cinque Stelle

BEPPE GRILLO E I SUOI

I parlamentari grillini si caratterizzano per il modo di esprimersi, non casuale, frutto di una scarsa dimestichezza con la dimensione «discorso»
  di Ernesto Galli della Loggia
Con i parlamentari grillini è arrivato sulla scena un tipo affatto nuovo di personale politico. Un personale politico in maggioranza giovane che in teoria dovrebbe corrispondere alla novità presunta positiva della loro azione e del loro programma. In pratica però le cose non sembrano stare proprio così, dal momento che almeno nella forma, nel modo di esprimersi, quei nuovi parlamentari tendono irresistibilmente a imitare, addirittura esasperandoli, alcuni aspetti tipici del politico italiano tradizionale. Primo fra tutti la sostanziale vaghezza dell’eloquio. Sicché ciò che specialmente colpisce dei deputati e dei senatori 5 Stelle finisce per essere la loro marcata impudenza, soprattutto quando vengono interrogati su cose che li riguardano. Allora rispondono a vanvera, svicolano, spesso replicano dando più o meno esplicitamente della canaglia a chi gli ha fatto la domanda. Sempre peraltro con l’aria di dare una risposta perfettamente appropriata e con una perentorietà dai toni ultimativi.
Un esempio tratto dalla cronaca degli ultimi giorni. È noto che con il sistema elettorale proporzionale al quale sembriamo sciaguratamente avviati, nel prossimo Parlamento un governo potrà nascere solo dall’intesa tra partiti diversi. Ovvia dunque la domanda agli esponenti del partito di Grillo, che tra un anno ha buona probabilità di essere il partito di maggioranza relativa: «Voi 5 Stelle con chi cercherete un’alleanza?».
Risposta d’ordinanza dei grillini: «Con nessuno. Sottoporremo il nostro programma a tutti, e chi ci sta ci sta. Non faremo certo accordi o compromessi». Una risposta davvero degna della serie «Pinocchio vive e lotta insieme a noi». È del tutto naturale e risaputo, infatti, che se un qualunque partito si orienta a votare il programma di governo sottopostogli da un altro — cioè in pratica a entrare con lui nella maggioranza — esso vorrà certamente avere qualcosa in cambio. O posti o la disponibilità a far passare provvedimenti che gli stanno a cuore, dal momento che nessuno dà nulla per nulla: nella vita accade il più delle volte, in politica sempre. I candidi parlamentari dei 5Stelle fingono invece di non saperlo. Immagino al solo scopo di sottolineare la loro immacolata diversità dagli altri. Ma si tratta con tutta evidenza di una bugia da furbastri. Politicantismo della più bell’acqua.
Del resto è lo stesso Beppe Grillo il maestro di questo tipo di risposte. Proprio qualche giorno fa, ad esempio, il nostro viene interrogato sul caso delle «comunarie» di Genova, dove come si sa ha fatto dimettere d’imperio la candidata risultata vincitrice, e risponde così: «È un problema di metodo. Una democrazia senza regole non è una democrazia. Noi abbiamo le nostre. Io sono il garante e le faccio rispettare». Già, ma delle regole ce l’hanno tutti — la mafia, l’ordine dei farmacisti, l’Automobile Club —: si tratta di vedere di che razza di regole si tratta, che cosa stabiliscono. Una regola che dà tutto il potere a uno solo sarà pure una regola, ma è certo che con la democrazia non ha nulla a che fare. La risposta di Grillo è un puro gioco di parole, insomma, non vuol dir nulla: anche qui politicantismo della peggior specie.
Intendiamoci: come ho detto, ricorrere a simili trucchi verbali, menare il can per l’aia, eludere le questioni scomode è in certa misura una cosa abituale in politica (solo in politica?). Ciò che alla fine risulta stucchevole e diciamo pure insopportabile nei 5Stelle è il fatto, però, che tutto questo si accompagna a una implacabile sicumera da primi della classe, di «diversi e migliori» in servizio permanente effettivo.
Ma il loro modo di rispondere (e in generale di esprimersi) non mi sembra per nulla casuale. È il frutto di un elemento che ascoltandoli risulta subito evidente: e cioè della loro scarsa dimestichezza, in generale, con la dimensione del «discorso». Voglio dire con la capacità di esporre spiegazioni verosimili, di articolare nessi plausibili, di modellare argomentazioni almeno in parte fondate, di usare una retorica che non sia quella elementarissima del «bianco e nero». Una scarsa dimestichezza che evidentemente rimanda per un verso alla diffusa inesperienza politico-sociale della maggior parte degli esponenti dei 5Stelle. Ben pochi dei quali hanno mai militato in un partito, sono stati iscritti a un sindacato o a un’organizzazione qualunque, e dunque non hanno mai avuto a che fare con dibattiti e discussioni, con la necessità di replicare, mediare, giustificare, propria di questo tipo di circostanze. Per l’appunto i parlamentari grillini sono i nuovi e inespertissimi arrivati nella sfera pubblica italiana.
Per un verso. Ma c’è poi un’altra spiegazione, credo, per la loro scarsa dimestichezza con la dimensione del «discorso». Con la giovane età che perlopiù li contraddistingue essi appaiono, infatti, anche il frutto compiuto dello sfasciato sistema d’istruzione del loro (e ahimè nostro) Paese. Nel loro modo di parlare e di ragionare, nel loro lessico, è facile indovinare curriculum scolastici rabberciati, insegnanti troppo indulgenti, lauree triennali in scienze della comunicazione, studi svogliati, poche letture, promozioni strappate con i denti.S’indovina cioè un vuoto. Il multiforme vuoto italiano di questi anni, in cui tutto sembra sgretolarsi e finire. Un vuoto a cui come elettori, peraltro, si può essere pure tentati di accostarsi con la speranza — sempre l’ultima a morire — che esso celi qualcosa di buono che a prima vista non è dato di scorgere ma che forse c’è, in fondo chissà potrebbe pure esserci. Salvo restare ogni volta regolarmente delusi.
Nel caso dei grillini c’è in più Grillo, poi: per il quale tutte questa osservazioni naturalmente non valgono. Lui infatti è un’altra cosa, lui è il Capo, il pifferaio magico, il Joker casareccio che approfittando dell’assenza da queste parti di chiunque possa fare la parte di Batman, ha immaginato di diventare un giorno il padrone di Gotham City.

venerdì 24 marzo 2017

Lettera aperta di Beppe Grillo alPD

“LA STORIA DEL PIÙ GRANDE PARTITO DI SINISTRA DEL MONDO OCCIDENTALE BUTTATA NEL CESSO” - BEPPE GRILLO PRENDE A SCHIAFFI IL PD CON UNA LETTERA APERTA SUL SUO BLOG: “UNA STORIA DI ONORE E LOTTE DIVENTATA UN TIEPIDO GIOCO DELLE TRE CARTE. SOTTOMESSI AD UN CAPETTO DA CORTILE, SPAVENTATI DALLE INCERTEZZE DEI VOSTRI FUTURI PERSONALI E TENTATI DI TRASFORMARVI IN UNA NUOVA DC…”


Andrea Arzilli per il “Corriere della Sera”

«Arrendetevi perché voi siete il vecchio, noi il nuovo. Avete buttato nel cesso la storia del più grande partito della sinistra». Dal suo blog Beppe Grillo sferra forse l' attacco più feroce alla sinistra, accusandolo di tradirne i principi fondativi. In una lettera aperta «a Bersani, Renzi e Emiliano.

A Vendola e - insomma - a tutti voi della galassia paraPiddina», il leader del M5S ieri ha mandato a dire: «Straziati e lividi di invidia per non poter essere mai trasparenti, vi abbracciate come pugili suonati al vostro avversario», con allusione chiara alle larghe intese. Grillo respinge le accuse di essere un «despota» e descrive i democratici come «sottomessi ad un capetto da cortile».

La replica non tarda a arrivare: se ne incarica il tesoriere dem Francesco Bonifazi con un tweet durissimo, un' accusa che inizia sul piano politico e finisce con il colpire Grillo nel personale. E con Matteo Renzi che lo ritwitta in segno di approvazione. «Caro Beppe Grillo, nella tua vita sei sempre scappato nei momenti chiave. Scappato, fuggito, sparito. Sei fatto così, non solo in politica - attacca Bonifazi -. Oggi dal tuo blog insulti migliaia di persone del Pd che stanno facendo un congresso bellissimo, parlando di lavoro, di ambiente, di futuro, di giustizia, di periferie, di innovazione. Noi siamo nei circoli a parlare e a votare, in tanti. Non su uno yacht o su un blog, con uno solo che decide».
beppe grillo twitta renzi voltagabbana

Poi il tesoriere dem, che ha già accusato Grillo di non assumersi la responsabilità dei post pubblicati sul suo blog, oggetto di querela da parte del Pd, lancia un' invettiva: «Ti chiediamo solo una cosa: non scappare ancora, come hai fatto in passato e fai adesso con la ridicola storia del blog. Non nasconderti - prosegue -. Accetta la nostra sfida, caro Beppe. E vieni in tribunale.

E vediamo chi ha ragione e chi torto. Non fuggire come un coniglio, come sempre. Prenditi le tue responsabilità. Ti aspettiamo. E vediamo chi griderà stavolta onestà onestà onestà». In questo clima incandescente, il Pd muove i primi passi sulla legge elettorale: la prossima settimana potrebbe essere nominato il presidente della commissione Affari costituzionali al Senato, un renziano o qualcuno di Ncd.
renzi e beppe grillo con il gelato

Intanto i vertici del partito stringono anche sul Def, il documento economico che il ministro Pier Carlo Padoan presenterà all' Ue entro il 10 aprile. Ieri in un incontro gli avrebbero fatto intendere di volerlo «costruire» insieme a lui in un percorso comune. Obiettivo: evitare che promesse di nuove tasse nel Def ipotechino la manovra. La prossima settimana si comincia: Padoan incontrerà i gruppi del Pd.
beppe grillo

Carissime elettrici ed elettori del PD, carissimi attivisti, cari Bersani, Renzi e Emiliano. Cari Vendola e - insomma - cari tutti voi della galassia paraPiddina. Sono consapevole che nel dividere, ma non imperare, che vi sta travolgendo, i 5 punti di distacco dal Movimento potrebbero diventare una sorta di ossessione, insomma so che state passando un brutto periodo.

Lo capisco anche dalla vostra fissazione per noi e dalle accuse o autocritiche di colpevolezza per averci facilitato. Stanno spuntando editoriali e dichiarazioni che ci paragonano ad una specie di problema di salute che voi avreste ignorato per troppo tempo. E credo proprio che questo non riconoscerci pubblicamente come avversari, ma subirci tutti i giorni mentre sveliamo le vostre tramette, stia diventando troppo duro per voi tutti.

Io voglio essere collaborativo, addirittura esservi vicino e consigliarvi per il meglio. Leggete di più i giornali: “caos a cinque stelle” anche se Di Maio prende un BUS diverso dalla Taverna. Non troverete “PD nel caos” oppure “sinistra in cerca di populismi” o ancora “Renzi battuto da Berlusconi nella specialità promesse elettorali der bomba”.

Insomma potete fidarvi: a guardare i media noi siamo divisi su tutto mentre voi su una sola cosa: di chi è la colpa se il M5S oramai sta per doppiarvi? Mentre Buzzi a Roma incomincia a parlare, Matteo sta nominando tutto il cortile di quando era piccolo a dirigere Finmeccanica, la Filarmonica ecc … perché state litigando? Per noi.

Ma non deve essere necessariamente così, fa male alla salute incazzarsi per la cosa sbagliata e gettare nella nebbia la vera ragione del vostro malcontento. Noi vi sconfiggeremo perché voi siete il vecchio, noi il nuovo. Gli elettori sanno che (ad esempio) volendo l’acqua pubblica intendiamo preservare dal liberalismo selvaggio il bene e l’interesse dei cittadini.

E’ soltanto un esempio: i nostri elettori sanno che potranno capire se ci stiamo battendo e quando ci saremo riusciti, gli elettori… certo, voi non sapete neppure distinguere quelli a cui avete dato 10 euro rispetto agli altri, quelli “spontanei”. Deve essere uno stress adesso come adesso: chi voterà quello che ha preso 10 euro? Per quale frammento? E quelli che lo hanno fatto in buona fede?

Allora vi frammentate ancora di più… senza lasciare capire dove starà chi e con chi, con quale simbolo, quale nuova casacca, come e dove, con chi parlate. Una confusione vera, la storia del più grande partito di sinistra del mondo occidentale buttata nel cesso. Una storia di onore e lotte che è diventata un tiepido gioco delle tre carte.

Sottomessi ad un capetto da cortile, spaventati dalle incertezze dei vostri poco invidiabili futuri personali e tentati come siete di trasformarvi in una nuova democrazia cristiana… cosa trovate da dire? Che io sono un despota! Straziati e lividi di invidia per non poter essere mai trasparenti (neppure i ristoranti intorno a Montecitorio prendono per sicure le vostre prenotazioni) vi abbracciate come pugili suonati al vostro avversario. E io ricevo il vostro abbraccio perché capisco, e voglio consolarvi, in fondo per essere dei semplici rappresentanti di banche e multinazionali ve la state davvero passando troppo male.
renzi con il padre tiziano indagato


Arrendetevi, perché noi non abbiamo così tanti casi clamorosi dietro credere di potersi nascondere, per una ragione molto semplice: la gente non ci crede, come non crede più a voi personalmente, ma proprio come uomini, insomma… esseri umani. Non serve ostinarvi nelle vostre ridicole danze, quando tutti i Buzzi d’Italia avranno finito di parlare non vi salverà dire “no, io non sono più del PD”. La responsabilità penale è personale, ma non solo quella penale, lo è la responsabilità in tutti i sensi. Allora accettate il mio abbraccio e le mie scuse anticipate, se non andiamo più bene come pretesto della vostra dissoluzione.





martedì 14 marzo 2017

Multa strisce blu, la sentenza: se il parchimetro non ha il bancomat non vanno pagate

C'è un giudice a Latina. Giovanni Pesce, giudice di pace di Fondi, in provincia del capoluogo laziale, ha pronunciato una sentenza che renderà felici gli automobilisti: se i parchimetri non dispongono del servizio bancomat, il parcheggio sulle strisce blu sarà gratuito e soprattutto la multa non si paga. Il caso è iniziato lo scorso anno, quando un'automobilista ha presentato ricorso al Comune, tramite lo studio legale Martusciello, dopo aver dovuto pagare una multa di 41 euro per aver parcheggiato l'auto sulle strisce blu senza ticket. Semplice il motivo del ricorso: non aveva monete e il parchimetro non accettava né banconote né bancomat. Peccato che secondo la legge di stabilità 2016, i dispositivi di controllo di durata della sosta sono obbligati ad accettare i pagamenti effettuati con bancomat o carte. Ricorso accolto, dunque: un precedente del quale in molti, ora, dovrebbero tenere conto.

lunedì 13 marzo 2017

Testamento biologico, cosa prevede la proposta di legge in discussione alla Camera

"Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento". Si intitola così la proposta di legge sul testamento biologico che approda oggi alla Camera per la discussione, a otto anni dalla vicenda di Eluana Englaro. Questi i punti principali del testo presentato dalla deputata Pd Donata Lenzi, così come sintetizzati da Repubblica.it:

1. Disposizioni anticipate di trattamento (Dat)
Chiunque sia maggiorenne e capace di intendere e di volere può, attraverso le Dat, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, e può lasciare scritto preventivamente “il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari”. Tra queste scelte, la legge comprende anche nutrizione e idratazione artificiali. È prevista la nomina di un fiduciario che parli a nome del paziente e si relazioni con i medici. Il dottore è tenuto al rispetto delle Dat, e può modificarne le indicazioni “solo in accordo con il fiduciario”, nel caso nuove terapie non prevedibili al momento della Dat possano “assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”.

2. Consenso informato
“Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile” riguardo a diagnosi, prognosi, benefici e rischi delle terapie. Dopodiché il paziente ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario, comprese nutrizione e idratazione artificiali, e può revocare in qualsiasi momento il consenso inizialmente concesso. Il medico non può far altro che rispettare le volontà espresse dal paziente, e quindi ovviamente anche interrompendo le cure “è esente da responsabilità civile o penale”.

3. Minori o incapaci
Per i minori si applicano gli stessi principi, ma a esprimere il consenso sono i genitori. Per gli incapaci si esprime il tutore che decide “sentendo l'interdetto ove possibile”. Se non è stata lasciata una Dat, e il rappresentante legale del paziente incapace si rifiuta le cure mentre il medico propende per proseguirle, la decisione finale “è rimessa al giudice tutelare”.

4. La registrazione del testamento biologico
Il testamento biologico si può redigere per iscritto, ma anche attraverso videoregistrazione. Le Dat “devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata”. Le Dat già depositate presso il comune di residenza o davanti un notaio avranno valore in base alla legge.
Il ddl si propone finalmente di regolamentare la questione del fine vita, in applicazione dell'articolo 32 della Costituzione che dispone, al secondo comma, che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana ". Da qui la necessità di una legge che consenta a chiunque di lasciare scritto cosa vuole sia fatto del suo corpo in caso di impossibilità a comunicare. La proposta di legge è frutto di un lungo lavoro in commissione su cui c'è stata la convergenza di Pd, Mdp, Sinistra italiana, Possibile e M5S. Alla Camera la partita dovrebbe chiudersi entro aprile: a meno di sorprese da parte dei cattolici dem, i numeri sembrano esserci. Più complessa la situazione al Senato, dove la contrarietà di centristi, leghisti e forzisti potrebbe incidere di più.

Repubblica.it

giovedì 9 marzo 2017

Progresso (e declino) a sinistra

Corriere della Sera

mercoledì 8 marzo 2017

NUOVA EGEMONIA

La resa culturale ai 5 stelle
di Angelo Panebianco


In modo non coordinato, una pluralità di forze sembra agire ormai da tempo, con scarsa consapevolezza della posta in gioco, per offrire su un piatto d’argento il Paese al movimento Cinque Stelle, fornendo ad esso la possibilità di imporre, su una parte cospicua dell’opinione pubblica, una propria egemonia culturale.
Una classe politica sulla difensiva che non sa contrapporsi alla propaganda dei Cinque Stelle e anzi la subisce, molti mezzi di comunicazione che cavalcano, e amplificano, la cosiddetta «indignazione popolare contro la classe politica», le inchieste giudiziarie che toccando ogni giorno gangli vitali della vita pubblica, mantengono sulla graticola la democrazia, non consentono di attenuare lo stato di permanente delegittimazione della politica rappresentativa che ci trasciniamo dietro dai tempi (primi anni Novanta) di Mani Pulite. Come scoprire se si è affermata una egemonia culturale? C’è un modo: se una qualsiasi falsificazione della storia viene messa in circolazione con intenti partigiani e se, dopo un po’ di tempo, si scopre che quella falsificazione è penetrata nelle menti di molti, diventando una verità di senso comune, una verità che le persone accettano come ovvia, auto-evidente, allora è possibile riconoscere che una egemonia culturale si è consolidata.
Durante la guerra fredda il Pci era escluso dai ruoli di governo ma la qualità dei suoi dirigenti e la forza della sua organizzazione erano tali che esso seppe trasformare varie falsificazioni della storia, messe in circolazione pro domo sua, in verità di senso comune, accettate come tali persino da una parte rilevante di non comunisti. Si pensi a come si diffuse, anche in ambienti lontani dal Pci, una espressione come «legge truffa», uno slogan contro la tentata (1953) riforma elettorale della Dc. Oppure, si pensi al successo propagandistico della tesi secondo cui fu la resistenza partigiana a liberarci dal fascismo (come se gli americani non c’entrassero per niente), una tesi che serviva al Pci a fini di legittimazione e che si trasformò in verità di senso comune anche per tanti non comunisti. O ancora, si ricordi con quanta abilità il Pci riuscì a convincere vari ambienti che la parola «sinistra» e la parola «anticomunismo» fossero incompatibili, talché l’anticomunismo poteva essere soltanto di destra (questa diffusa convinzione diede di certo un contributo alla sconfitta finale di Bettino Craxi). Gli esempi potrebbero essere moltiplicati e servirebbero tutti a dimostrare con quanta efficienza, in una condizione difficile, nell’Italia democristiana e alleata degli americani, i comunisti riuscirono a costruire una egemonia culturale che finì per diventare incontrastata in luoghi strategici per la trasmissione delle idee, dal mondo dello spettacolo alle Università.
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Ho citato il caso del Pci perché fu un caso di parziale egemonia culturale ma anche per un’altra ragione. Per dimostrare che le egemonie culturali sono talvolta il frutto della capacità di chi le ha create ma altre volte danno un vantaggio a qualcuno senza particolari meriti di costui. L’egemonia culturale del Pci fu voluta e ricercata da gente di qualità (i dirigenti comunisti di allora). I Cinque Stelle potrebbero beneficiare di una egemonia culturale non per meriti propri ma per dabbenaggine altrui, perché altri ne hanno creato le condizioni. I Cinque Stelle stanno costruendo una egemonia culturale limitandosi a fare il loro mestiere: attaccare ogni giorno la democrazia rappresentativa. Nel loro caso, il contrasto alla democrazia rappresentativa (come provano le loro origini: i Vdays, l’utopia pseudo-democratica e illiberale di Casaleggio), è la loro più autentica ragione sociale. La combattono praticamente senza incontrare resistenza, sferrano attacchi con la porta avversaria vuota: coloro che dovrebbero difenderla sono scappati oppure restano silenti, oppure si sono uniti al quotidiano linciaggio mediatico della democrazia (l’unica possibile: quella rappresentativa appunto) pensando, puerilmente, che i Cinque Stelle si possano sconfiggere solo dando loro ragione.
I Cinque Stelle sono i portavoce di una parte del Paese che della democrazia rappresentativa vorrebbe sbarazzarsi (“« politici? Tutti ladri»). Si tratti di colpire quel pilastro della rappresentanza moderna che è il divieto del mandato imperativo, di abbattere i privilegi dei parlamentari (stipendi, vitalizi) o di affermare la presunzione di colpevolezza in caso di inchieste giudiziarie che riguardino gli avversari, i grillini non incontrano vere opposizioni. Gli altri sono incapaci di restituire colpo su colpo, sembrano dare per scontato che la battaglia sia perduta. Nessuno che si batta con energia per far capire che i parlamentari non sono cittadini come gli altri (non rappresentano se stessi ma elettori che hanno dato loro fiducia) e per difendere dignità e insostituibilità della democrazia rappresentativa. Ad essere maliziosi si potrebbe osservare che questi attacchi avvengono proprio quando la classe politica è particolarmente debilitata e fragile, in balia di forze, amministrative e giudiziarie, molto più potenti. Non credendo nelle cospirazioni, ci limitiamo a constatare la diffusione di alcune «verità di senso comune» (falsificazioni della realtà) sulle presunte nefandezze della democrazia rappresentativa che segnalano lavori in corso: la costruzione di una egemonia culturale destinata forse a durare

giovedì 2 marzo 2017

“LIBERO” MENA UN CALCIONE AI NAPOLETANI: “C'È QUALCOSA DI FASCINOSO NEL PIAGNISTEO CHE AVVOLGE LA CITTA’. UNA TAMMURRIATA D'ILLEGALITÀ, IL SENSO DELL'ETICA PUBBLICA CHE SI SCIOGLIE NEL CHIAGN'E FUTTE. QUESTO PIANTO ECUMENICO CONFERMA CHE IL NAPOLETANO MEDIO È ANCORA ‘MARIUOLO DENTRO’, VITTIMISTA STRATEGICO”

Francesco Specchia per “Libero Quotidiano”

Vide Napule e po muore. C'è qualcosa di terribilmente fascinoso, nel piagnisteo che in questi giorni avvolge Napoli. Una tammurriata d'illegalità, il senso dell'etica pubblica che si scioglie nel chiagn'e futte, al posto del sangue di San Gennaro. Nell'area Nord di Napoli, a Miano, sfilano ventimila aspiranti elettori, ombre diafane comparse dal nulla e ignote all' anagrafe, diligentemente in fila per iscriversi al del Pd con in mano una tessera comprata da altri a 10 euro e con in bocca la parola d' ordine, «Mi manda Michel...», (variazione di «Mi manda Picone» , ma nel senso di Michel Di Prisco vicepresidente della Municipalità Miano-Scondigliano).

Tutti costoro ora son lì a lamentarsi con i boss locali perchè il partito, da Roma, ha snasato olezzo di compravendita di voti. E il partito, memore della grande tradizione partenopea -dai Borbone a Achille Lauro a Valeria Valente- dell' urna magica e delle preferenze riprodotte per partogenesi, ha dunque subito bloccato il tesseramento, inviando colà un commissario milanese, Emanuele Fiano per indagare e capire; il quale Fiano, probabilmente ora corre il rischio di finire blandito dagli autoctoni; e tramortito di pizza, pastiera e sfogliatelle; e spinto ad ispezionare una sede del Pd di cartapesta, come nei film di Totò.

A Napoli, oggi, si lamentano tutti. Si lamentano anche i decathleti del cartellino, quei 94 assenteisti professionisti arrestati e indagati all' Ospedale di Loreto Mare. Tra costoro perfino s' indigna quel medico il quale, risultando in corsia, era invece andato in taxi a giocare a tennis giustificandosi con «meglio lavorare tre ore bene, piuttosto che otto ore svogliati in corsia...». E si strazia, addirittura, quel dipendente addetto proprio al controllo degli assenteisti che in orario di servizio preferiva, giustamente, fare lo chef in un hotel. Non a Napoli, a Nola.

Sessantaquatro chilometri al giorno: resistenza fisica e dedizione asburgiche, peraltro. E si lamentano, trottando sotto il suddetto nosocomio, armate di striscioni e cori in rima baciata, le turbe di infermieri precari che ora avanzano il proprio giusto diritto al posto fisso, dato che quelli che l' occupavano prima, il posto fisso, ora hanno traslocato nelle patrie galere.

E, vicino agli infermieri, si muovono, alle falde della Prefettura, e piangono in quadrata falange, frotte d' immigrati protestanti in modalità antirazzista (e se c' è una città non razzista è proprio Napoli) contro, nell' ordine: la «legge Bossi-Fini», le spese militari, le politiche di guerra, il ministro Minniti. Uno strepitoso senso dell' ammuina. Ovviamente, ulula alla luna pure il Napoli Calcio dopo i due rigori beccati dalla Juve, però «non per l' arbitro ma per le decisioni», dimenticando che le decisioni sono dell' arbitro.

Ed esprime un vivace dissenso finanche l'imprenditore Alfredo Romeo, arrestato da carabinieri e Finanza in azione congiunta, «in relazione ad un episodio di corruzione nell' ambito dell' inchiesta Consip». Con lui è perquisito l' ex parlamentare -napoletanissimo- Italo Bocchino. La cosa che mi ha inquietato è che Romeo non nega, ma si giustifica invocando «analoghe modalità» adottate dai suoi concorrenti; cioè se qua rubano e corrompono tutti, che i' songo l' unico fesso? Ed è questo il punto.

Il punto è che questo pianto ecumenico, queste lacrime da sceneggiata, rischiano d' affondare la dignità d' un popolo che ha una grande storia. Confermano che il napoletano medio è ancora «mariuolo dentro», vittimista strategico. E non ha rispetto di uno Stato che certo -è la solita trama- l' ha storicamente considerato un figlio illegittimo. Ma è inutile estrarre dal cilindro dalla polemiche la trita «questione meridionale» che vibra dai tempi di Giustino Fortunato a quelli di Luciano De Crescenzo.

Chi scrive è un cultore antico della napoletanità. Cresciuto a Totò ed Eduardo, educato alla scuola giuridico/ economica di Filangeri, ammaliato dal rock dei Bennato, io mi chiedo spesso -tralasciando la camorra- perchè, dal motorino senza casco alla truffa come strategia fiscale, Napoli tenda a fotterti. Non è tanto una questione storica, o etica, o psicologica, ma semantica. Forse c' entra la cazzimma.

Per i templari della napoletanità 'a cazzima - termine intraducibile- è la furbesca pratica dello stare al mondo, l' esaltazione del maschio alfa nelle procelle di una società spietata. L' essere un po' figl' e n' crocchia. Per il resto del modo, è la pratica spietata di sfruttare gli altri, anche amici e parenti, per raggiungere il proprio scopo. «dai grandi affari o business alle schermaglie meschine per chi deve pagare il pranzo o il caffè» (Pino Daniele). Dispiace per i napoletani perbene...

mercoledì 1 marzo 2017

Feltri, la sua verità sulla morte di Dj Fabo: "Vi dico cosa ne penso io (e Dio)"

Fabiano Antoniani se ne è andato come desiderava, essendo la sua vita ridotta allo stato vegetativo e quindi per lui insopportabile. Per morire si è dovuto recare in Svizzera assistito da amici e medici. In Italia si può crepare solo se non vuoi. Se invece vuoi, non puoi. La discussione sull' eutanasia è inutile perché chi partecipa al dibattito non usa argomenti razionali, ma ricorre all' arte della retorica: quella della sacralità della vita e quella della libertà individuale. Due modi di ragionare che non si incontreranno mai e non produrranno un compromesso accettabile. In effetti le leggi che dovrebbero regolare la materia giacciono in Parlamento e nessuno osa toglierle dal cassetto, anzi dalla cassa mortuaria. Cosicché chissà per quanti anni ancora saremo costretti a polemizzare invano: da una parte i cattolici che pretendono di trasferire le proprie idee anche a chi ne ha di opposte, comunque diverse; dall' altra i laici che chiedono, con petulanza, una cosa: aiutare chi non ne può più a non esserci più, senza entrare nel merito. Personalmente non credo nell' aldilà e neppure nell' aldiquà, dove però sono costretto a stare per mancanza di alternative. Dico soltanto che non si possono confondere casi estremi, quale quello di Fabiano, con casi di ordinaria sofferenza.
Aprire alla eutanasia comporterebbe il rischio di una strumentalizzazione della pratica allo scopo di eliminare persone inutili alla società oltre che a se stesse; ma vietarla a tutti sarebbe una forma di dittatura intollerabile, se si considera - anche sul piano della fede - che il libero arbitrio è stato legittimato perfino da Dio e sarebbe un atto di presunzione degli uomini se volessero negarlo ai loro simili. Sono pertanto padrone di scegliere l' inferno e di realizzare il mio progetto con la collaborazione di altri aspiranti dannati quanto me. Dov' è il problema etico? Se una persona ha facoltà di decidere della propria esistenza, deve essere posto in condizione anche di decidere come e quando morire, specialmente se ha dei motivi validi a livello logico. Insomma, smettiamola di imporre la nostra volontà agli altri e rassegniamoci a constatare che ciascuno ha il diritto di optare se rimanere qua a ogni costo oppure di emigrare all' altro mondo senza buttarsi dal quinto piano.
Dare una mano a Fabiano a evitare tanto dolore non è una riedizione delle teorie hitleriane, ma un gesto di pietà, un aiuto fraterno a un giovane stanco di patire in modo disumano. Bisogna poi distinguere, sempre. Ieri il Giornale ha scritto che il disc jockey è come Eluana.
Non è vero: Eluana era incosciente o incapace di comunicare, quindi era arduo interpretare il destino che ella immaginasse per sé. Mentre il ragazzo ex artista ha espresso quale fosse il proprio obiettivo compiutamente, e ha implorato affinché qualcuno collaborasse con lui a coglierlo. Due episodi che non si somigliano. Occorre discernere e non fare di ogni erba un fascio. Gli uomini e le donne non sono erbe né tantomeno erbacce.

di Vittorio Feltri