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mercoledì 12 ottobre 2016

Petruccioli: «Il vecchio Pci è ancora vivo e crede di avere il Santo Graal»

«Pensano di essere i detentori unici dell’anima della sinistra. Si comportano come avessero il Santo Graal. Il loro obiettivo non è scalzare Renzi con il No: anche. Il vero scopo è tornare al sistema proporzionale, rinnegando gli ultimi 25 anni»

Il sorriso di Claudio Petruccioli è di quelli che azzannano. «Posso dirle una cosa? Sono davvero grato ai vari Reichlin, D'Alema, Bersani. Mi hanno consentito di rivivere, stavolta appieno perché all'epoca avevo solo quindici anni, le emozioni e i sentimenti che investirono i comunisti italiani nel '56, l'anno dell'Ungheria».
L'Ungheria? E che c'entra? Non è che voi ex dirigenti del PCI avete la fissa militarista: Bersani dice che solo le truppe del ministro Pinotti lo cacceranno dal Pd; lei ritorna ai carri armati dell'Armata rossa...
«Vedo che le piacciono le battute. Io, e me ne scuso, esprimo un sentimento personale molto vivo in questi giorni. E mi spiego. Nel corso del tempo sono venuto maturando una convinzione: che nel 1956 i comunisti italiani, con la posizione che presero a favore dell'invasione, si allontanarono da quella che già allora cominciava a diventare una esigenza nazionale. In quell'epoca, infatti, si cominciava ad avvertire l'esigenza di ricambio al governo, di dar vita all'alternanza. E quindi premeva la necessità di una sinistra che, almeno come tendenza, fosse capace di farsi interprete di quella esigenza: una sinistra di governo, insomma. Con le posizioni che prese sull'Ungheria serrando i ranghi, il Pci, che con la Resistenza e perfino negli anni bui dello stalinismo era stato attento e sensibile alle esigenze della Nazione, quella volta gli voltò le spalle. Oggi avverto la stessa cosa».
La stessa voglia di serrare i ranghi, di voltare le spalle ai bisogni dell'Italia?
«Anche in questa fase storica, in questa Europa, in questa Italia, c'è una dominante esigenza nazionale: avere governi efficienti e responsabili. È chiaro che questi governi possono insediarsi se i cittadini con il loro voto non scelgono solo chi li rappresenta ma anche chi li governa. È questa la esigenza vera. Altrimenti il sistema politico e i partiti che lo abitano tornano ad essere irresponsabili. Nessuno vince e quindi tutti possono eludere la responsabilità del governare; nessuno perde e quindi tutti possono rivendicare una loro parte in gioco. In Italia i governi che hanno accumulato lo spaventoso debito che abbiamo sulle spalle noi e soprattutto i nostri figli sono stati tutti di quel tipo.
Anche questa volta è così. Il Pci non c'è più, tuttavia ci sono coloro che dal Pci provengono e si considerano i tutori, i depositari dell'anima e dello spirito della sinistra. Che si sentono investiti del ruolo di custodi del Santo Graal della sinistra. Che pensano che la sinistra o è quella che hanno in testa loro oppure semplicemente non è. Quindi fanno mostra di un atteggiamento che non esito a definire totalitario, che si manifesta quando uno pensa che lui ha la verità e tutti gli altri sbagliano. Sono coloro che danno la patente. Non gli è bastato prendere il 18 per cento alle primarie dell'8 dicembre del 2013. Non gli è bastato perché anche se restano in cinque va bene lo stesso. È la loro mentalità.
È per questo che dico che io sto vivendo il mio vero ‘56. È una considerazione personale che mi fa piacere esprimere. Da quando, ormai 25 anni fa, si prese la via del cambiamento comprendendo che la storia politica del Pci non poteva continuare, io che sono stato considerato uno dei più decisi ad imboccare quel percorso, ho però anche sempre pensato che fosse utile valorizzare il tanto di buono che ritenevo appartenesse alla tradizione dei comunisti italiani. Vedevo il buono appunto, ma forse non vedevo del tutto e un po' ancora mi nascondevo il cattivo. Che invece ora mi appare evidente: si tratta dell'atteggiamento totalitarista, da custodi di una ortodossia tanto vagheggiata quanto inesistente. Di nuovo si verifica la medesima divaricazione dalle esigenze nazionali di sessant'anni fa, in un passaggio assai meno tragico di allora e tuttavia ugualmente importante per la storia dell'Italia e della sinistra. Ecco perché sono grato ad Alfredo Reichlin, a Massimo D'Alema, a Pierluigi Bersani e mi limito a loro solo perché sono i più noti: avendo resa esplicita questa arrogante pretesa e convinzione di essere i depositari e i tutori dell'anima e dello spirito della sinistra, mi consentono di capire oggi come non avevo mai capito prima - probabilmente per colpa mia - che quella strada che loro indicano non è la mia. Sì, mi sento come quelli che nel ‘56 decisero di staccarsi. Con un senso di rammarico, visto che si tratta di persone con le quali ho condiviso larga parte della mia vita politica ma anche con un senso di libertà e di liberazione. E soprattutto con la certezza di aver capito una cosa importante per la sinistra di questo Paese».
Immagino che i risultati della Direzione del Pd di lunedì, con la relazione di Renzi e il non voto delle opposizioni rafforzi queste convinzioni...
«La Direzione, a mio avviso, ha confermato che quelli che si considerano i veri eredi del Pci e quindi i sacerdoti della vera sinistra italiana votano No. Ho letto alcuni commenti secondo i quali l'ufficializzazione dell'addio non c'è ancora stata. Ok. Però mi pare non contestabile che con la posizione assunta da D'Alema e con le interviste di Bersani costoro hanno deciso di puntare tutte le carte sulla vittoria del No. Su questo non mi pare ci possono essere dubbi. Puntano su quello, aspettano quello. Perché? Il vero nodo sta qui».
Beh, la risposta mi pare ovvia: per far cadere Renzi.
«Forse. Ma non solo. Ho detto prima che se non si consente agli elettori non solo di decidere chi li rappresenta ma anche chi li governa, all'Italia si toglie la possibilità, vitale, di avere un governo efficiente e responsabile. I D'Alema, i Bersani e quant'altri vogliono un'altra cosa. Certo, intendono far fuori Renzi ma è riduttivo. In realtà vogliono archiviare il processo riformatore cominciato venticinque anni fa e che non si è mai concluso, che è stato contrastato e sul quale sono stati bravi ad impedire che arrivasse a compimento».
Sta dicendo che D'Alema e Bersani hanno giocato di interdizione, hanno bloccato il processo riformista?
«Sto dicendo che quegli autodefinitisi custodi esclusivi della sinistra sono riusciti a tenere aperta la partita, a rallentare il processo che doveva consentire di superare lo schema che ha prodotto anche esiti positivi in quarant'anni di storia italiana. Non solo anche: anzi soprattutto perché corrispondeva ad un preciso assetto internazionale. Nella Prima repubblica le elezioni servivano a stabilire quanti erano i voti della Dc e quanti del Pci. Ma non per sancire chi avrebbe governato bensì per capire se sarebbe stato un po' più forte il governo, comunque a trazione democristiana; oppure l'opposizione, comunque capitanata dai comunisti. E poi si guardavano gli spostamenti dei partiti di governo per capire se l'equilibrio della maggioranza andava più da una parte o più dall'altra. E' a questo schema che i sacerdoti della sinistra ci vogliono riportare. Bersani l'ha detto chiaro: serve una iniezione di proporzionale nell'Italicum. Il proporzionale vuol dire che a urne chiuse i dirigenti dei partiti si mettono attorno ad un tavolo per fare quello che s'è fatto fino al ‘92».
E invece adesso il mondo è cambiato...  
«Infatti. Non solo non è più diviso in blocchi, ma soprattutto allora c'erano due grandi partiti e non a caso Giorgio Galli parlava di bipartitismo imperfetto. Perché c'erano due forze politiche e due sole che, sommate, superavano i due terzi dell'elettorato. Adesso le cose sono diversissime».
Però qui stiamo divagando. Il punto vero è che fine fa Matteo Renzi e il suo Pd a vocazione maggioritaria dopo il referendum. In particolare se vince il No. Va a casa o rimane?
«Non mi pare il problema principale. E glielo dimostro. Prendiamo D'Alema, che è il più scatenato sul No. L'ho sentito io stesso in tv dire che se prevale il No non succede nulla, che Renzi "rimarrà al suo posto, magari con meno arroganza": così si è espresso. E io credo che lui lo pensi davvero. Perché l'obiettivo è un altro: il ritorno alla proporzionale. Che è un sistema che va bene a tutti. Ai grillini, che con il loro 20-25 per cento evitano la responsabilità di governo e continuano a fare quello che stanno facendo. Conviene a Stefano Parisi e a Berlusconi: con i chiari di luna in cui si trova il centrodestra, cosa possono sperare se non di mettere insieme una forza politica del 12-15% che gli consenta di fare quel che faceva Craxi, il Ghino di Tacco? Conviene a una sinistra estrema con l'orizzonte massimo del 10 per cento. E anche un Pd renziano: il 20 per cento lo prende, no? E con il 20 per cento diventi indispensabile per ogni maggioranza possibile. Dunque lo schieramento del No non vuole ammazzare Renzi: piuttosto vogliono trasformarlo in un novello Andreotti, il Divo Giulio della Terza repubblica».
Trasformazione? O degenerazione?
«Faccia lei. Insisto: il punto non è Renzi. Sarà lui a decidere il suo futuro, sia se vince che se perde. Il punto è il Paese: può l'Italia del terzo millennio permettersi governi alla Andreotti? ».
Governi del tirare a campare. Che Andrreotti teorizzava.
«Certo, diceva: meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Ecco: il No vuole tornare a quella roba lì».
Però seguendo la linea del suo ragionamento, non c'è che da auspicarsi che Bersani e le altre minoranze facciano la scissione: sarebbe un elemento di chiarezza. Chiama lei la Pinotti?
«Io non ho alcun potere di stabilire cosa devono fare Bersani, Speranza eccetera. Come ho detto, mi pare evidente che puntano tutto sulla vittoria del No: eventuali decisioni su scissioni o meno immagino verranno prese dopo il referendum. Per sancire la loro arrogante convinzione di essere i continuatori della tradizione del Pci, ignorano le vere esigenze del Paese e della sua democrazia. La loro posizione la considero un enfisema della sinistra italiana».
Scusi, lei parla di arroganza e totalitarismo da parte di D'Alema, Bersani eccetera. Però è la medesima accusa che la sinistra dem rivolge a Renzi: di voler attraverso la riforma costituzionale e quella elettorale, determinare una torsione verso una deriva autoritaria. E allora? E' solo un gioco di specchi?
«Glielo ripeto: togliamo di mezzo Renzi. A loro dà fastidio come capo del Pd, non come premier. Se fosse stato non dico socialista (altrimenti sarebbe verrebbe messo sotto tiro come avvenne con Craxi), ma un leader dc, tipo De Mita, che evidentemente ormai non ricorda più le cose che diceva alcuni anni fa... sarebbe stata tutta un'altra musica».
A cosa si riferisce?
«Beh, De Mita sul finire degli anni ‘80 era uno dei paladini della riforma costituzionale. Io ero già nella segreteria del Pci e grazie ad Augusto Barbera nell'83 avevo conosciuto molto bene Ruffilli: ho l'archivio pieno di cose scritte per Natta perché De Mita e Natta cercavano, in verità in modo sterile, un accordo sulle riforme istituzionali. Ma solo nel 1993 si arrivò alla legge elettorale a due turni per i sindaci. Non a caso il relatore di quella legge fu un dc, Adriano Ciaffi, perché i dc erano convinti che con il doppio turno comunque avrebbero vinto. Se il ballottaggio fosse stato con la destra, la sinistra li avrebbe votati. Se con la sinistra, il contrario. Non capivano quello che stava succedendo».
Il doppio forno: ancora il Divo Giulio...
«Già. Ma stavolta c'erano gli elettori a decidere. Tutto dipende dall'esito del referendum. Se vince il Sì, Bersani e quelli che la pensano come lui dovranno decidere se fare o meno la scissione. Se prevale il No, Renzi dovrà decidere se diventare la versione aggiornata di Andreotti».

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