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sabato 9 luglio 2016

Se dico negro sono razzista, se dico mulatto no

da "www.ildubbio.news"

Politically correct, quelle goffe e ipocrite piroette delle parole che ci fanno paura

Qual è la forma corretta: Boschi o “la” Boschi? Bindi o “la” Bindi?
Fino a qualche tempo fa nessuno si sarebbe sognato di togliere l’articolo determinativo davanti al cognome di una donna. Sfido chiunque a trovare un pezzo di giornale in cui si parli della condotta di Iotti o della grande prestazione nel salto in alto di Simeoni. Invece, in una tarda mattina d’estate del 2000 accendo la TV per seguire la nazionale femminile di pallavolo al suo storico debutto alle Olimpiadi di Sidney, e con raccapriccio scopro che “la” Togut, “la” Cacciatori, “la” Piccinini e tutte le altre erano diventate Togut, Cacciatori e Piccinini. Non potevo far a meno di immaginare un\a zelante funzionario\a della RAI inviare la direttiva ai telecronisti della testata sportiva in cui l’articolo davanti alla atlete doveva essere rimosso per favorire la parità tra i sessi. Ma è davvero così?

Eravamo più razzisti quando dicevamo “negri” o adesso che tentenniamo indecisi tra “di colore”, “neri”, “afroitaliani”? Ci sarebbe “extracomunitari” che però era un termine che ebbe la sua genesi negli anni in cui gli africani, filippini e sud americani (quindi popolazioni scure di pelle) venivano accomunati ai polacchi, che adesso non ci sono quasi più, ma dopo il crollo della dittature dell’ est furono i primi a riversarsi in Italia. Ma non si è mai sentito apostrofare «extracomunitario» un canadese, un australiano o uno statunitense. Malcolm X nella sua biografia ricorda che gli eredi degli schiavisti per indicare un nero usavano la parola “nigger”, che i progressisti bianchi invece usavano “coloured” (di colore) mentre la parola corretta era “black”. Arrigo Polillo nella sua monumentale opera critica sul Jazz, ha sempre parlato di “negri” e musica “negra”. Anche qui tutto si può pensare tranne che chi ha dedicato la sua vita allo studio e alla promozione di una musica in cui l’ elemento africano è preponderante, che ha vissuto, fraternizzato e raccontato infiniti aneddoti di esponenti di questa musica possa essere minimamente tacciato di essere razzista.

In Italiano come in Spagnolo “Negro” vuol dire nero. «Sei nella terra fredda, sei nella terra negra». Negli anni ‘70 alcuni traduttori iniziarono ad usare neri (black) al posto di negro (nigger), anche se sarebbe stato anche onesto (ma non corretto) tradurre “nigger” con “sporco negro” “negro” al posto di black.

Che poi pochi si pongono il problema che la parola “mulatto” è ben più razzista. Infatti deriva da mulo che è l’ibrido un asino ed un cavallo. E secondo voi, chi tra bianco e nero è l’asino? E in pochi sanno che “esquimese” o “lappone” sono termini dispregiativi per nominare il popolo Sami e gli Inuit.
Il politically correct se da un lato trova una sua convincente funzione nel limitare le discriminazioni, è indubbio che frappone una barriera tra noi e ciò che ci fa paura. Hannah Arendt ne La banalità del male ricorda che quasi la totalità dei documenti caduti in mano agli alleati parlano sempre di “trasferimento”, non di “deportazione”. Di “lavoro all’est”, mai di fucilazioni di massa. Di “soluzione del problema”, mai di “sterminio”.

Quasi fosse un modo di allontanare da loro la responsabilità di un crimine tanto enorme.
Quindi trovo che sia quanto meno ingenuo che pensare che l’abolizione di un articolo determinativo o di una o la sostituzione di un sostantivo con un pronome possano contribuire a ridurre i comportamenti commessi a causa di una malcelata autostima identitaria.
ìPrima degli immigrati ricordate l’odio sociale era convogliato sui “tossici”. Ricordo ancora i discorsi sugli autobus:
-«Io so’ contro la pena di morte, salvo che per i grandi spacciatori... »
-«No, caro lei. Li devono ammazza’ tutti ‘sti drogati»
Adesso che è successo, non ci sono più eroinomani? Tutti gli indicatori tendono a confermare che le morti sono più o meno stabili, se si esclude il picco dei primi anni 90 in cui l’AIDS mieté un numero incredibile di vittime, dal 1985. Per cui ben venga una maggior attenzione per la terminologia usata, tenendo però sempre presente che una lingua è viva e si può modificare dal basso, percui è fisiologica la comparsa di nuove parole

“digitare”, “formattare”, “scialla”. Ma è quanto meno improprio pensare di modificarla per decreto, anche perché si potrebbe continuare all’infinito.
Ascoltando o leggendo la frase «una maestra ha una classe con venti alunni» se ne deduce che probabilmente saranno maschi e femmine e allora come mai il plurale si declina solo al maschile? Sarà un subdolo stratagemma per diffondere odio di genere?
Perché sono la povertà, l’odore e la possibilità di perdere un preteso “controllo” su una persona o di una situazione, che spaventano e che “minacciano” la nostra identità. E contro questi mostri che ci creiamo da soli il “politically correct” può fare veramente poco.

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