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giovedì 26 maggio 2016

FIRENZE, POMPEI, SICILIA, CALABRIA? NO, E' TUTTA L'TALIA CHE E' DEGRADATA PURTROPPO!

La voragine che si è aperta sul Lungarno di Firenze è la drammatica dimostrazione che la nostra amatissima Italia è, ormai da molti anni, caratterizzata da un degrado di tutto ciò che è gestito dalla Burocrazia e da Politici d'infimo livello etico e culturale.
I servizi diffusi da alcuni programmi televisivi, Striscia la Notizia e Le Iene in testa, sono lì a testimoniarlo.
Che la rete idrica di tutto il Paese sia un colabrodo è risaputo da decenni.
Che i magazzini dei Musei e di molti Enti pubblici siano pieni di opere d'arte impacchettate lo sanno anche i bambini.
Che la maggior parte delle Opere pubbliche siano costate molto di più per le tangenti è ormai risaputo; e non da adesso, basta vedere le curve che caratterizzano l'Autostrada del Sole quando passa nel territorio della Provincia di Arezzo.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha la possibilità reale di passare alla Storia d'Italia se solo lo volesse perché sono convintissimo che la grande maggioranza degli italiani sarebbe d'accordo con lui se si decidesse veramente a prendere iniziative concrete contro la burocrazia e per affermare il merito e non l'appartenenza partitica o correntizia. 
E se ciò significasse una scissione “a sinistra” nel PD ben venga perché poi guadagnerebbe moltissimi voti alle elezioni e credo che molti, come me, ritornerebbero a deporre volentieri le schede elettorali nelle urne anziché andarsene a spasso.
E non si preoccupi se i suoi avversari parlano del Partito della Nazione; non sarebbe male la nascita di un vero Partito Liberale di Massa.
Ciò che non è riuscito a Berlusconi può riuscire a lui, purché lo voglia veramente.
Credo che il Referendum sulle Riforme Costituzionali debba essere il Primo Passo di un lungo cammino verso il risanamento della nostra amatissima Italia.


Ennio Di Benedetto

martedì 24 maggio 2016

Il manuale degli statali per non lavorare

Burocrazia. Da "liberoquotidiano.it"
L'articolo che segue è la fotografia della Burocrazia italiana; non c'è nulla da aggiungere e la pubblico sul mio Blog perché sia sempre sotto gli occhi e non si corra il rischio di dimenticare ciò che è uno dei mali che affliggono gli italiani.
Un giorno non lontano due persone completamente vestite di bianco piombano nell'ufficio del capo di gabinetto di un ministero. «Ci hanno segnalato che in questo ufficio c' è un esemplare di Tarentola Mauritanica. Secondo la normativa vigente non è contemplata la presenza di un animale in un palazzo adibito a pubblica funzione». Quel capo di gabinetto, dopo avere strabuzzato gli occhi, dopo avere verificato che i due funzionari stavano facendo sul serio, ha fatto mente locale e ha ripensato a quel geco che di tanto in tanto faceva capolino sul soffitto dell' ufficio. Una Tarentola Mauritanica, per l' appunto, che non era prevista dalla legge, pertanto andava identificata e abbattuta. C' era però un' alternativa alla caccia al geco ministeriale. Il capo di gabinetto poteva compilare l' apposito modulo, l' H 32-bis, assumendosi tutte le responsabilità del caso. "E così è successo" dice Alfonso Celotto.
Non è cronaca dall' iperuranio ma un fatto realmente accaduto in questa legislatura. È questo uno degli spaccati surreali che è in grado di regalare la pubblica amministrazione, una macchina meticolosa, iper burocratizzata, il cui unico scopo è quello di normare ogni singolo aspetto della nostra vita, a costo di cadere in paradossali assurdità. Tutte puntualmente elencate con sottile e perfida ironia dal dottor Ciro Amendola, direttore della Gazzetta Ufficiale, autore del libro Non ci credo, ma è vero (Historica Edizioni). Amendola, già protagonista di due romanzi, altri non è che la creazione letteraria di Alfonso Celotto, 50 anni, costituzionalista, docente universitario, collaboratore giuridico di diversi ministri.
Celotto, io intervisto lei e non il dottor Amendola.
«Io ne sono il legale rappresentante pro tempore».
Chi è il dottor Amendola?
«Un servitore dello Stato, che vive ai sensi dell' articolo 54 della Costituzione, quello che recita: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore"».
Sono tanti gli Amendola nella pubblica amministrazione?
«Sì, ma sono nascosti e si perdono in una enorme ragnatela».
Mi descriva la ragnatela.
«Per noi italiani la legge deve disciplinare tutto, fino all' ultimo dettaglio. Cinquant' anni fa avremmo fatto una norma scrivendo che "sono giustificate le assenze motivate". Oggi si scrive che "sono giustificate le assenze dovute a: sciopero, terremoto, ritardo dei treni, e via elencando venticinque cause"».
Non è meglio?
«No. Se ci si dimentica di scrivere "ritardo degli aerei" quel caso non è contemplato dalla norma. Se poi si verifica il sistema impazzisce».
Cos' è la burocrazia?
«È una gabbia che non bada mai al risultato per il cittadino, ma alla forma. Tanto da produrre il paradosso dell' asilo nido».
Ovvero?
»Tu puoi rispettare il codice per gli appalti, fare una gara ineccepibile e costruire un asilo nido in un paesino abitato da soli vecchi».
E a che serve?
«A niente. Ma nessuno ha scritto che l' opera pubblica debba servire veramente, l' importante è che sia fatta, come direbbe il dottor Amendola, "ai sensi e per gli effetti della normativa vigente"».
Quante leggi ci sono in Italia?
«Circa 190 mila».
Quante ne basterebbero?
«Direi 5mila».
Calderoli, da ministro, le bruciò con il lanciafiamme.
«Io ero il capo legislativo di Calderoli. Confesso: sono correo».
Mi racconta?
«Nel 2000 il ministro Andreatta si rende conto che l' Italia non ha una banca dati pubblica delle leggi e stanzia 25 miliardi di vecchie lire per farla. Calderoli nel 2008 si accorge che quasi metà di quei soldi erano stati spesi solo per studiare il problema. Restano 7-8 milioni di euro e Calderoli deve decidere che fare: può comprare una delle banche dati private, il che però è un paradosso perché è lo Stato che si ricompra le sue cose».
Oppure?
«L' alternativa è unire le banche dati pubbliche esistenti: Poligrafico dello Stato, Cassazione, Camera e Senato. Così Calderoli ha fatto, cancellando le norme già superate. Poi le ha bruciate per fare un po' di scena».
Nel libro il dottor Amendola elenca le cattive abitudini del pubblico impiegato: non regalare mai un minuto, nel dubbio non fare, copiare (chi copia non si assume responsabilità), mettere da parte le pratiche più difficili...
»Per il dottor Amendola molti statali hanno acquisito il diritto a un reddito di cittadinanza».
È così?
«È un fatto storico. Quando la capitale venne trasferita a Roma, i Sabaudi erano odiati. Quindi cosa fanno?
Per fidelizzare la popolazione assumono in sovrannumero cittadini romani. Risultato? Dai a questa popolazione un reddito di cittadinanza, al tempo stesso sorge il diritto a non lavorare. Se l' ufficio aveva in ruolo venti persone e tu ne aggiungi dieci, queste dieci non servono a nulla».
"Lo statale è un fannullone" è un luogo comune?
«Fa poco, rispetta la forma. Io non sono contro gli statali, ma c' è un serio problema culturale nel pubblico impiego. Ci sono dipendenti capacissimi, ma sono schiavi del mansionario».
Cioè?
«È un elenco scritto in burocratese su cui sono specificati i compiti. Se non c' è scritto nel mansionario del vice capo ufficio di fare fotocopie, lui non le fa. Magari uno è bravo a svolgere un compito ma la domanda cruciale è: c' è nel mansionario?».
È pazzesco.
«Su tre milioni di statali lavorano la metà, forse meno. Gli altri sono scartati dal sistema».
Quindi il cittadino fa bene ad additarli a fannulloni?
«È una generalizzazione sbagliata. Tanti impiegati lavorano molto, molti altri fanno lavori inutili e anacronistici. Quanto, fatto 100, nella pubblica amministrazione è servizio al cittadino? Quanto è invece ufficio stipendi, ufficio del personale, ufficio pensioni, auto organizzazione? Più della metà, temo».
Dal decalogo di Ciro Amendola del pubblico impiego. Primo: tenere la carte a posto. Risultato: la proliferazione di documenti.
«È il trionfo del feudalesimo amministrativo. Vuoi aprire una pizzeria? Servono 18 via libera: l' Asl, i vigili urbani, la polizia, i beni culturali, il ministero dell' Ambiente…».
Ma c' è lo Sportello unico.
«Significa che vai in un ufficio, parli con una persona e questo vale per diciotto. Ma quella persona cosa fa? Smista la tua domanda ai diciotto che devono dare l' autorizzazione. Non cambia nulla. Vuoi aprire una pizzeria e hai dicissette pareri favorevoli? Non puoi».
Ancora dal decalogo dello statale improduttivo: quando una questione non si può proprio evitare, convoca una riunione.
«Con il trucco: una riunione con almeno dieci persone».
Perché?
«Qualsiasi riunione che deve mettere d' accordo più di tre o quattro persone non avrà esito positivo».
Quindi nel pubblico non si decide mai.
«Nessuno deve decidere. Se tu, singolo funzionario pusillanime e timoroso non vuoi decidere, basta che tieni le carte a posto, chiedi pareri, o se proprio devi intervenire coinvolgi tutti. Così quando ti chiederanno: "Perché hai fatto così?" dirai: "Perché ho chiesto a questo, quello e quell' altro". Nessuno si assume la responsabilità».
Perché accade?
«Perché non c' è meritocrazia. Nel pubblico, se tu lavori e il tuo vicino di scrivania manda i messaggi su whatsapp guadagnate lo stesso. Il dipendente onesto pensa: "Ma io sono il più cretino?"».
Ma ci sarà il responsabile a cui chiedere conto di una pratica?
«È il Rup, il Responsabile unico del procedimento. Che ti risponderà sempre "per quanto di stretta competenza…"».
Esisterà una soluzione?
«Servono coraggio e tempo. Io ho lavorato con molti ministri e il coraggio, al politico, manca. Bassanini parlò di semplificazione nel 1997. Ogni ministro successivo l' ha ripetuto. Semplificare significa, per tornare alla pizzeria di prima, che per aprirla servono non diciotto pareri, ma due: Comune e Regione. Poi la polizia si lamenta, i Vigili del fuoco pure, l' Asl anche. E tu politico non hai il coraggio di dire no».
Risultato?
«Scrivi, in nome della semplificazione, una legge così: "La pizzeria prima si apriva in trenta giorni, oggi il termine è venti giorni"».
Perfetto.
«Per niente. Se nei venti giorni la Asl comunque non si pronuncia, tu la pizzeria non la apri».
Mi cascano le braccia. Torniamo alle possibili soluzioni.
«Uno dei grandi problemi del corpaccione ministeriale è che da anni non si fa un concorso per funzionari, per cui i laureati sono tutti tra i 50 e i 55 anni. Dei tre milioni di statali, due terzi sono demotivati, difficili da recuperare. Dovresti inserire in ruolo tanti ragazzi. Però cosa fai di quei due milioni che non servono più? Li mandi in pensione e aumenti il debito pubblico?».
Che fai?
«Nulla. Rimandi al prossimo ministro».
Brunetta ci ha provato.
«Davvero?».
Ha tuonato contro i fannulloni. Ha parlato dei tornelli.
«Ah, il tornello… Questo metronomo che scandisce la vita dell' impiegato, questa linea di confine tra il bene e il male... Metti i tornelli e poi nasce l' imbroglio dei poveracci che si passano i tesserini».
Non servono?
«È come il guinzaglio al cane. Serve o no? Il problema, ripeto, è culturale».
Ma il dottor Amendola quando vede il dipendente del Comune di Sanremo che timbra in mutande che pensa?
«Si inquieta moltissimo».
Il dottor Amendola racconta della Finanziaria, dove esiste il celebre assalto alla diligenza: i parlamentari cercano di fare approvare provvedimenti per il loro territorio.
«Il deputato di Cuneo vuole cambiare l' Iva sui tartufi e quello di Trapani dare incentivi alle saline. Così cercano di fare approvare una riga nella legge finanziaria, con commi che rinviano a commi che modificano altri commi per non farsi smascherare».
C' è un caso epocale?
«Non so per quale bizzarro comma i venditori di basilico e rosmarino godono dell' Iva agevolata».
E quindi?
«Quindi ora chi produce salvia vuole la stessa cosa».
Come direbbe il dottor Amendola?
«Tutto questo ai sensi e per gli effetti della normativa vigente».
di Alessandro Milan

domenica 22 maggio 2016

Politici e toponomastica

L'annuncio di Giorgia Meloni, candidata a Sindaco di Roma, di intitolare una via di Roma a Giorgio Almirante se sarà eletta mi ha spinto a esprimermi sull'argomento.

Non so se esista lo spin doctor della Meloni, ma se esistesse sarebbe decisamente un elemento incapace d'interpretare i desiderata degli italiani, e dei romani in questo caso. E le ripercussioni ci saranno, eccome.

Chi sia stato Almirante è nella memoria di molti, ma ciò che ne deve impedire il suo ingresso nella toponomastica delle nostre città è la sua convinta partecipazione al fascismo e la sua difesa della razza che ha contribuito in qualche modo alla persecuzione e successivo sterminio degli ebrei italiani. Non basta la sua partecipazione alla vita democratica della Repubblica per togliere questa macchia indelebile dal suo curriculum vitae.

Detto questo vorrei soffermarmi anche sul dovere di togliere dalla toponomastica di alcune città italiane il nome di Palmiro Togliatti, leader comunista osannato come Il Migliore dai suoi compagni.

Questa mia riflessione nasce dalla constatazione che il cosiddetto migliore è stato uno dei complici di Stalin nella soppressione di ventimila (più o meno) nostri connazionali, e suoi compagni, che si erano rifugiati in URSS per sfuggire al fascismo italiano. Stalin li ha deportati nei Gulag in Siberia dove hanno trovato un vero inferno che ritengo non sia stato diverso dai campi di concentramento nazisti. Si può dire che i nazisti avevano anche i campi di sterminio, ma ciò non diminuisce la gravità dei crimini staliniani e conseguentemente di Ercoli (lo pseudonimo di Togliatti) che era il suo numero due nel Comintern.

Ebbene, si abbia il coraggio invece di intitolare una Piazza o una Via importante di Roma a Marco Pannella i cui meriti e il suo contributo alla crescita della democrazia italiana sono indiscussi e di cui non serve parlarne ora perché li conosciamo tutti.



Ennio Di Benedetto

EDITORIALE

Ho deciso di rivitalizzare il mio Blog impegnandomi a scrivere  
per far conoscere le mie opinioni liberali e liberiste e le opinioni di chi avrà la bontà di leggermi e magari di criticarmi o approvare ciò che pubblicherò. 
Mi auguro solo che i commenti, benvenuti, non contengano insulti a nessuno.

A mio parere essere liberali e liberisti ai giorni nostri significa difendere le libertà civili ed economiche e quindi essere antifascisti e anticomunisti. E non è vero che i comunisti oggi non ci sono più perché ci sono ancora e continuano imperterriti a impedire la libera espressione delle opinioni di chi non la pensa come loro; si vedano le malefatte dei cosiddetti Centri sociali.

Essere antifascisti e anticomunisti oggi significa battersi perché si facciano passi in avanti verso gli Stati Uniti d'Europa (questa è un'aspirazione che avevo già nel lontanissimo 1967 quando con altri amici partecipai alla fondazione del Movimento Federalista Europeo a Massa)  e quindi si contrastino tutti i populismi siano essi di destra o di sinistra, secondo una definizione novecentesca.

Quindi concretamente sono da contrastare perché antidemocratici e illiberali sia i movimenti neonazisti in Germania, Ungheria, Polonia e altri Paesi europei che una volta erano dominati dalla scomparsa Unione Sovietica sia i Partiti Nazionalisti come il Front Nazional in Francia che la Lega Nord in Italia sia i movimenti populisti che qualcuno si ostina a definire di sinistra: Podemos in Spagna e Movimento 5***** in Italia.

Essere liberali oggi significa anche sostenere Il Governo nella sua battaglia per il Sì alle Riforme Costituzionali perché esse permetteranno all'Italia di fare altri passi in avanti verso una vera modernizzazione delle nostre Istituzioni; checché ne pensi e dica l'ANPI, di cui è bene si cominci a discutere se sia da rottamare o da esaltare.

Credo che non si possa eludere il dibattito sulle banche purché non ci si limiti a dire che esse sono delle associazioni a delinquere perché se è vero, come è vero, che molto spesso  le banche hanno disatteso al loro core business e moltissimi dirigenti bancari andrebbero processati è anche altrettanto vero che le banche sono indispensabili per un buon funzionamento dell'economia sia a livello locale che nazionale, europeo e mondiale. 

Mi auguro che ci siano molti internauti interessati a dibattere su questi temi e quindi rivolgo a tutti l'invito a commentare quanto esternato in questo breve editoriale.

Ennio Di Benedetto





venerdì 20 maggio 2016

Istat 2016: Oltre 2 milioni di famiglie senza reddito da lavoro, dopo gli studi solo contratti a tempo e part-time


 |  Di Redazione

Pubblicato: 
GIOVANI


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Sei milioni e mezzo di persone che vorrebbero lavorare ma non trovano un impiego. Oltre due milioni di famiglie che vivono senza un reddito da lavoro. Una inflazione "molto debole" che certifica una "ripresa dei consumi insufficienti".
Ma è soprattutto la fotografia della condizione giovanile in Italia a ricordare ancora una volta il dramma dei ragazzi e delle ragazze nati a partire dagli anni '80 che il dossier annuale dell'Istat sul 2015 risultano troppo istruiti per il mercato del lavoro e dunque costretti a svolgere mansioni molto al di sotto delle loro capacità, spesso con un part-time forzato: il 61,8% non ha comunque una occupazione.
Condizioni che si riflettono sulla formazione di una famiglia e sulla natalità: per il quarto anno consecutivo scende il tasso di fertilità delle italiane, mentre sempre più trentenni vivono ancora con i genitori. "La generazione del Millennio (Millennial) è quella che sta pagando più di ogni altra le conseguenze economiche e sociali della crisi", scrive l'Istat.
Famiglie senza lavoro. In Italia 2,2 milioni di famiglie vivono senza redditi da lavoro. Le famiglie "jobless" sono passate dal 9,4% del 2004 al 14,2% dell'anno scorso e nel Mezzogiorno raggiungono il 24,5%, quasi un nucleo su quattro. La quota scende all'8,2% al Nord e al 11,5% al Centro. L'incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l'incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%
Poca ripresa. Nel 2016 l'andamento dei prezzi "appare ancora molto debole" e quello del mercato del lavoro "è incerto". Lo afferma l'Istat nell'ultimo rapporto annuale, ritenendo "plausibile", per il primo semestre, il succedersi di periodi di debole crescita tendenziale dei prezzi e di episodi deflazionistici. La ripresa dei consumi risulta infatti insufficiente a bilanciare il calo dei prezzi energetici. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stabilità degli occupati.
Il 61,8% dei giovani non lavora. Dopo gli anni della crisi, che aveva colpito in modo particolare la Generazione del millennio (nati fra il 1981 e il 1995), nell’ultimo anno la forte caduta dell’occupazione giovanile si attenua anche in Italia. Il tasso di occupazione dei giovani di 15-34 anni si attesta al 39,2% (50,3% nel 2008). Il calo, avviatosi sin dal 2002 – soprattutto nelle classi di età 20-24 e 25-29 –, è andato accentuandosi tra il 2008 e il 2014, quando si assiste a un’impennata anche del tasso di disoccupazione. Per le donne di 30-34 anni, almeno fino al 2008, i tassi di occupazione risultano invece in crescita.
La laurea non serve a molto. Oltre un ragazzo su tre tra i 15 e i 34 anni è "sovraistruito", troppo qualificato per il lavoro che svolge. La quota è 3 volte superiore a quella degli adulti (13%). Tra i giovani inoltre è più diffuso il part time, soprattutto involontario (77,5% dei part timer giovani, contro il 57,2% degli adulti), "ad indicare un'ampia disponibilità di lavoro in termini di orario che rimane insoddisfatta. Inoltre anche il lavoro temporaneo - sottolinea l'Istat - è diffuso soprattutto tra i giovani: ha un lavoro a termine un giovane su 4 contro il 4,2% di chi ha 55-64 anni". Capita quindi che le professioni più frequenti nell'approccio al mercato del lavoro siano quelle di commesso, cameriere, barista, addetti personali, cuoco, parrucchiere ed estetista. A tre anni dalla laurea solo il 53,2% dei laureati ha trovato un'occupazione ottimale, con un contratto standard, una durata medio-lunga e altamente qualificata.
I giovani rimangono a casa dei genitori, specialmente i maschi. Con il panorama desolante nel campo del lavoro, non sorprende che nel 2014 più di 6 giovani su 10 (62,5%) tra i 18 e i 34 anni abbiano vissuto ancora a casa con i genitori. Il dato ha riguardato nel 68% dei casi i ragazzi e nel 57% le ragazze. L'Istat legge questa condizione come un segnale dei "legami forti" famigliari tipici dei paesi mediterranei. La media europea dei ragazzi che continuano a vivere nella famiglia di origine è 48,1%.
Aumenta l'età delle nozze. La media del primo matrimonio delle donne è stata, nel 2014, di 30 anni e 7 mesi. Inoltre la famiglia tradizionale - composta cioè dalla coppia coniugata con due figli - non è più il modello dominante, visto che rappresenta meno di un terzo dei nuclei familiari (33%). Allo stesso modo le nuove forme di famiglie sono più che raddoppiate: quelle unipersonali di giovani e adulti non vedovi rappresentano ormai l'8% della popolazione, mentre le libere unioni sono più di 1 milione. In più della metà dei casi si tratta di convivenze - certifica l'istituto di statistica - tra partner celibi e nubili. Una novità è invece quella delle famiglie ricostituite, che ammonterebbero a più di 1 milione.
Crollo ulteriore delle nascite. Nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia per le nascite, nel 2015 sono state 488 mila, 15 mila in meno rispetto al 2014. Per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondità, solo 1,35 i figli per donna. I decessi hanno invece raggiunto le 653 mila unità, 54 mila in più dell’anno precedente (+9,1%).
I disoccupati sono il doppio della media Ue. Le persone che vorrebbero lavorare ma che non hanno un impiego sono in Italia 6,5 milioni. Lo rileva l'Istat riportando nell'ultimo rapporto annuale i dati riferiti al 2015. "Il tasso di mancata partecipazione (che comprende disoccupati e inattivi disponibili a lavorare) scende dal 22,9% del 2014 al 22,5% ma è ancora molto sopra il livello medio Ue (12,7%). Sommando i disoccupati e le forze di lavoro potenziali, le persone che vorrebbero lavorare sono 6,5 milioni nel 2015", si legge.
"Crescita persistente ma di bassa intensità". Dopo una recessione "lunga e profonda, senza più termini di paragone nella storia in cui l'Istat è stato testimone in questi 90 anni", l'Italia sperimenta "un primo, importante, momento di crescita persistente anche se a bassa intensità". Così il presidente dell'Istat Giorgio Alleva alla presentazione del rapporto annuale dell'istituto. "Rispetto ai precedenti episodi di espansione ciclica - ha aggiunto - la ripresa produttiva appare caratterizzata da una maggiore fragilità".

sabato 14 maggio 2016

Facciamo fruttare la Bellezza. La formula della crescita perduta si chiama Italy Bond

ITALY BOND
Non lo sappiamo, ma noi italiani potremmo avere in tasca la formula della crescita perduta. Abbiamo inventato il telefono, il pc, disegnato elicotteri, stampato il primo giornale, fondato banche e università in pieno Rinascimento. Oggi 'Italy' e' ancora sinonimo di innovazione e creatività, ma ci troviamo a combattere con la sindrome da prefisso telefonico ogni qualvolta l'Istat, come in questo mese, ci dice che il Paese è cresciuto dello 0,3% nel primo trimestre e l'inflazione segna un meno 0,5% ad aprile.
Sembrano dati ineluttabili, senza un colpo d'ala. Dietro la deflazione c'è infatti un nemico ormai dichiarato: la sharing economy. La digitalizzazione di molti processi industriali e commerciali sta trasformando, anzi ha trasformato, la nostra società, influenzando le stesse aspettative economiche. Tutti si affidano alla politica monetaria accomodante di Mario Draghi, che ha individuato anche nell'e-commerce il motivo ''oscuro'' per cui non cresce l'inflazione in Europa, ma non è detto che la versione potenziata del Quantitative Easing della Bce sia in grado di sopperire alla latitanza dei consumi. Un click permette di bypassare gli esercizi tradizionali, mettendo in un angolo intere filiere economiche. Airbnb vale 26 miliardi di dollari, ha raccolto fondi per 2,3 e occupa circa 500 dipendenti. Snapchat è quotata dagli analisti 26 miliardi, ne ha raccolti 1,2 e dà lavoro fisso a 400 individui. Uber, con i suoi 68 miliardi, ha superato nei giorni scorsi come valore Ford e General Motors, trovato risorse per 6 miliardi di dollari, contando su poche centinaia di salariati diretti. Possiamo pensare che tutto ciò non impatti su consumi, sui prezzi e sulla stessa produzione anche in Europa? Evidentemente no.
L'introduzione delle tecnologie digitali stanno o hanno già modificato le dinamiche industriali, soprattutto nella meccanica e nei servizi. Mentre gli imprenditori faticano a tenere il passo della digi-rivoluzione, noi tutti ci avvantaggiamo di queste facilità di condividere una casa, un'automobile, un servizio alla persona, ma non si può negare che questi giganti del web creino poco lavoro e pochi investimenti. C'è un evidente impatto sul reddito disponibile e dunque, in ultima analisi, anche sull'andamento dell'inflazione che viene spinta dai consumi interni.
La quarta rivoluzione industriale di Internet, frena l'aumento dei prezzi, molto più della crisi dei Brics o del calo dei prodotti energetici, in un contesto in cui tassi e rendimenti dei titoli di stato volgono allo zero. Il modello che gli Stati Uniti stanno imponendo a tutti (nel 2020 il 40% dei lavori negli Usa saranno autonomi) è quello della flessibilità del lavoro e della massima remunerazione del capitale. Tra i due fattori della produzione, resta sempre il primo la catena di trasmissione dei prezzi, il secondo trascina semmai i rendimenti, ma non produce inflazione né alimenta l'economia tradizionale.
Che fare dunque? Ecco che qui entra in gioco la creatività italiana. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha annunciato il varo di strumenti finanziari che incentivino la capitalizzazione delle nostre Pmi. Giusto. Lancio un'idea. Occorre far incrociare gli oltre 3.800 miliardi di euro di ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, in libera uscita da titoli governativi e altri strumenti finanziari che rendono zero, con la Bellezza del proprio paese. Perché non varare allora dei buoni del Tesoro speciali, degli Italy Bond, emettibili dal Tesoro ma anche da comuni e regioni, che raccolgano risorse dagli italiani e dai grandi fondi esteri per investire in tutela degli immensi beni culturali italiani ( il 90% delle opere d'arte in Italia e' conservato ma non esposto), in salvaguardia del paesaggio e ricapitalizzazione delle tante aziende famigliari leader di settore che non reggono però la globalizzazione?
Si otterrebbero tre effetti positivi: rilanciare gli investimenti pubblici grazie alla raccolta degli Italy Bond, visto che uno dei motivi per cui il Pil non riparte è proprio la carenza di questa voce; dare una missione al risparmio degli italiani, che potrebbe essere remunerato con tassi decenti; ravvivare l'aspetto, la tenuta, l'attrattiva di uno dei paesi più belli del mondo. Ripartirebbero crescita e prezzi, riducendo l'onere del debito pubblico, mente il patrimonio artistico e culturale del paese garantirebbe le emissioni dei nuovi titoli.
Lo sappiamo tutti di vivere in un luogo unico, ora è il momento di crederci davvero. Uber, Airbnb e Snapchat da sole hanno raccolto oltre 10 miliardi di dollari presso gli investitori offrendo semplicemente servizi. Non possiamo fare altrettanto con gli Italy Bond vendendo Bellezza?
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50 siti Unesco in ItaliaPubblicato: Aggiornato: 

venerdì 13 maggio 2016

Grillini a pezzi: il boomerang della campagna sull’onestà

M5S
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Caduta la foglia di fico appare evidente l’incapacità del loro personale politico
Il Movimento 5 stelle ha vinto le elezioni, fra il 2012 e il 2015, in 17 Comuni. In tre di questi il sindaco è stato espulso e le giunte hanno dunque perso il bollino della Casaleggio Associati srl: Marco Fabbri, sindaco di Comacchio (Ferrara), è stato buttato fuori per essersi candidato alla Provincia; Domenico Messinese, sindaco di Gela (Caltanisetta), per aver sottoscritto un protocollo d’intesa con l’Eni; Rosa Capuozzo, sindaca di Quarto (Napoli), ricattata da un suo consigliere per un abuso edilizio, per non essersi dimessa dopo l’apertura di un’inchiesta su presunte infiltrazioni camorristiche.
Nei 14 Comuni rimanenti la situazione è a dir poco critica. A Pomezia (Roma) il sindaco Fabio Fucci ha prorogato l’appalto per la gestione dei rifiuti e la pulizia urbana con una società “partecipata” della Coop 29 giugno di Salvatore Buzzi e nel cui consiglio di amministrazione sedeva Alessandra Garrone, la compagna di Buzzi. Civitavecchia (Roma) è a rischio dissesto, sebbene il sindaco Antonio Cozzolino abbia portato Irpef e Imu all’aliquota massima: e quando l’opposizione ha presentato una diffida contro di lui per una gara d’appalto, ha chiesto al Prefetto la sospensione di tutti i consiglieri.
A Ragusa il sindaco Federico Piccitto e la sua giunta si sono aumentati lo stipendio, fra le proteste degli attivisti; tre consiglieri hanno lasciato la maggioranza e due assessori si sono dimessi: l’assessore alla Cultura Stefania Campo ha lasciato l’incarico dopo l’assunzione del marito in una ditta convenzionata con il Comune, mentre quello al Bilancio, Salvatore Martorana, ha abbandonato la maggioranza.
A Bagheria (Palermo) un servizio delle Iene ha documentato gli abusi edilizi del sindaco Patrizio Cinque e dell’assessore all’Urbanistica Luca Tripoli: il secondo si è dimesso, il primo resiste. Intanto il collegio dei revisori dei conti ha documentato un possibile danno erariale per l’affidamento diretto della raccolta rifiuti, gli incarichi e le consulenze ritenute superflue. Mario Puddu, il sindaco di Assemini (Cagliari), ha minacciato di «spaccare le ossa» ad un blogger reo di aver denunciato il raddoppio della Tari, peraltro annunciato da un comunicato ufficiale.
A Porto Torres (Sassari) la capogruppo Paola Conticelli è stata espulsa perché fidanzata con un giornalista, mentre il sindaco Sean Christian Wheeler è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare per aver dato il via libera a esercitazioni militari nell’area industriale Syndial, una delle più inquinate della Sardegna, e di cui il M5s aveva promesso il risanamento.
Ultimi in ordine di tempo, ma primi per importanza, il sindaco di Livorno Filippo Nogarin, sotto inchiesta per il dissesto dell’azienda dei rifiuti, e il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, indagato con l’assessora alla Cultura Laura Ferraris per abuso d’ufficio. Fra avvisi di garanzia e dissesti finanziari, espulsioni a raffica e dimissioni forzate, regole non rispettate e minacce, scandali e scandaletti, i Comuni grillini nei guai sono 11 su 17.
Che in alcuni casi siano stati rilevati dei reati e in altri no, non fa differenza: il garantismo impone la presunzione d’innocenza, ma la politica richiede una disamina severa delle cose fatte (o non fatte). Se il Pd governasse nello stesso modo e con le stesse proporzioni, ci sarebbero in Italia più o meno tremila giunte nei guai. La ridicola e volgare campagna sull’“onestà” si è trasformata in un boomerang letale: ma il problema che deve affrontare la Casaleggio Associati srl è un altro. Venuta meno la fragile foglia di fico dell’onestà, appare in tutta la sua evidenza la desolata incapacità del personale politico grillino: e questo è molto più grave di un avviso di garanzia.

giovedì 5 maggio 2016

Tutti contro il Ttip. Ecco la legge di Murphy dell’economia

Studiosi concordi sui vantaggi del libero scambio. Ma sull’accordo Stati Uniti-Ue prevalgono i populismi

di Alessandro De Nicola | 04 Maggio 2016 ore 09:55 "ilfoglio.it"

Sul Ttip, Greenpeace accusa: "Gli Usa vogliono far saltare le regole Ue su ambiente e salute" (foto LaPresse)
Io credo fermamente che un uomo di stato debba conoscere i principali dettami della scienza economica; o per lo meno saper ascoltare coloro che tali dettami conoscono. Quando essi ignorano tali dettami, commettono grandi errori: costringono gli agricoltori a coltivare prodotti comparativamente più costosi e si aspettano poi che il prodotto netto dell’agricoltura nazionale aumenti. Ingiungono agli industriali di scemar con ogni mezzo il costo dei prodotti della loro industria e proibiscono loro di acquistare anche all’estero materie prime, macchine e altri strumenti”. Per questa sua frase contro l’autarchia e la “battaglia del grano”, Umberto Ricci, economista liberale della prima metà del ‘900, dopo essersi già dimesso dall’Accademia dei Lincei per non giurare fedeltà al fascismo, nel 1934 perse la cattedra universitaria e andò in esilio a insegnare al Cairo e a Istanbul.
Oggi la situazione non è certo la stessa, ma i venti che spirano contro il libero commercio sono ripresi vigorosi. Si è creata infatti in Europa un’alleanza tra gli eredi del fascismo e del comunismo (entrambe in versione democratica e 2.0, certo) che, appoggiati da certi esponenti di una pluri-millenaria tradizione religiosa (la religione in sé niente ebbe da dire sui vantaggi comparativi del libero scambio, salvo dover intervenire deus ex machina quando – per difetto della distribuzione commerciale dell’epoca – mancarono pani e pesci nei pressi del Mare di Galilea e il vino alle nozze di Cana) e da concreti interessi economici di industrie inefficienti, ha organizzato una vera e propria crociata contro l’apertura delle frontiere, che trova un bersaglio ideale nel Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip) in negoziazione tra Stati Uniti e Unione europea.
 Per carità, anche negli Stati Uniti la chioma argentea di un vecchio socialista ciarliero e quella cotonata di un astuto trombone miliardario stanno sferrando pesanti attacchi contro il libero scambio, ma questo non ci è di consolazione, semmai aggrava lo sconforto. La conservazione e l’ideologia hanno sempre frenato le innovazioni anche più ovvie (basti pensare ai luddisti inglesi) ma certamente risulta strano che in epoca di piena globalizzazione, dove si è perennemente connessi o in viaggio e si acquistano gadget, macchinari e servizi provenienti da ogni parte del mondo, si sia sviluppata una repulsione così irrazionale nei confronti del commercio. Fortunatamente la quasi totalità degli economisti ancora accetta l’assunto che il “free trade” è benefico per tutte le nazioni, sia che importino sia che esportino. L’intuizione la possiamo far risalire alle parole che, mentre era predominante la teoria mercantilista, Adam Smith scrisse nella “Ricchezza delle nazioni”: “E’ la massima di ogni uomo prudente, a capo della sua famiglia, di non cercare mai di fare a casa ciò che gli costerà più fare che andare a comprare”.

Ma torniamo al Ttip. Porterà vantaggi economici? Finora la stragrande maggioranza degli studi (Cepii, Cepr, Fondazione Bertelsmann, World Trade Institute, Atlantic Council) dice di sì. In prospettiva, dallo 0,3 allo 0,5 per cento del pil di crescita in più all’anno (un’enormità, soprattutto per paesi a basso tasso di sviluppo come l’Italia) equamente distribuita tra Europa e America. E’ vero che questi studi sono a volte un po’ simpatetici e in più stimano anche gli effetti dell’eliminazione di barriere non tariffarie, più difficili da calcolare dell’abbassamento dei dazi doganali, ma tant’è. E comunque l’Italia, paese esportatore oggi colpito da dazi e restrizioni nei suoi prodotti tipici, avrà da guadagnarci più di altri. Il fatto che su alcuni argomenti le parti non siano d’accordo (come l’apertura alle merci europee negli appalti americani o la denominazione di origine controllata di cibo e vino) è la scoperta dell’acqua calda: cosa si negozierebbe altrimenti?

Il Ttip porterà senza dubbio anche vantaggi politici. Prima di tutto impedirà la deriva degli Stati Uniti verso il Pacifico: ricordiamoci che il Trans-Pacific Partnership (Tpp), accordo con 11 stati affacciati su quell’oceano, è già stato firmato. Anche il più convinto anti-yankee non può avere piacere che l’Europa abbia scarsa influenza su Washington e che il mercato americano sia meno accogliente verso le merci del Vecchio continente. Inoltre, le regole del commercio internazionale è meglio scriverle insieme, tra paesi democratici e a economia di mercato, piuttosto che doverle negoziare in posizione disunita con paesi che prendono i loro interessi molto sul serio, come Cina, Russia e India, e che hanno sistemi di valori non proprio coincidenti con i nostri.

Pericoli del Ttip? “Ogm, carni con ormoni, polli alla candeggina, esperimenti sugli animali per testare i cosmetici!”. Ora, a prescindere dal fatto che, per esempio, sugli ogm il pragmatico approccio americano sarebbe migliore di quello europeo che è “prudente” e abbastanza antiscientifico, la Commissione europea e molti governi hanno ribadito varie volte che questi argomenti non sono negoziabili; anzi, la commissaria per il Commercio, Cecilia Malmström, esagerando, ha affermato che le regolamentazioni potranno essere solo più stringenti, non meno (che razza di liberale! Il presupposto è che più si regola meglio è).

Insomma, crescita economica, convenienza politica, rischi limitati e persino concordanza tra gli studiosi sulla teoria dei vantaggi comparativi del libero scambio: cosa potrebbe fermare il Trattato? Il populismo e la legge di Murphy, che nella scienza economica è stata così teorizzata dall’accademico di Princeton, Alan Blinder: “Gli economisti hanno la minima influenza sulle politiche dove ne sanno di più e sono maggiormente in accordo; hanno la massima influenza sulle politiche dove ne capiscono di meno e litigano nel modo più veemente”. Appunto.

domenica 1 maggio 2016

Procure unfit to lead Italy

La giustizia blocca gli investimenti stranieri in Italia perché i processi sono ancora troppo lunghi e incerti. L’ambasciatore Phillips sulle riforme di Renzi e una roadmap

di John Phillips | 01 Maggio 2016 ore 06:15 - ilfoglio.it
Oggi voglio parlarvi di come l’Italia può fare dei passi in avanti per diventare una destinazione più attraente per gli investimenti internazionali, che significano più posti di lavoro e una maggiore crescita. Sono l’ambasciatore americano, e uno dei miei compiti è proprio quello di incoraggiare gli investimenti italiani in America e facilitare gli investimenti americani in Italia. I legami commerciali tra i nostri due paesi sono una parte estremamente importante del nostro partenariato strategico.
L’Italia ha alcune buone notizie da dare riguardo ai notevoli risultati di alcune riforme che sono state fatte negli ultimi due anni, il successo dell’intermediazione, la riduzione del numero di processi arretrati e della loro durata, le proposte per rendere i tribunali più specializzati e più efficienti, e ne parleremo più avanti in dettaglio. Non voglio tenere una lezione su quello che il governo dovrebbe fare, ma per evidenziare i risultati positivi avuti fino a oggi, e per offrire ulteriori suggerimenti e fare in modo che  l’Italia sia in grado di creare più posti di lavoro e investimenti, rispondendo così alle preoccupazioni degli amministratori delegati americani sul business in Italia.
Esiste un programma che si chiama Select Usa e che mostra agli imprenditori i vantaggi dell’investire negli Stati Uniti. Ogni anno invitiamo alcune aziende a Washington perché vedano quali  sono  le grandi opportunità di investimento per le loro aziende in America. […] Le aziende hanno la possibilità di vedere quello che abbiamo da offrire, la facilità di fare business, tribunali efficienti dove risolvere controversie, una legge sul lavoro flessibile, una forza lavoro altamente specializzata e istruita, oltre 300 milioni di consumatori, bassi costi energetici. […]  L’Italia potrebbe offrire alcuni di questi stessi vantaggi agli investitori, grazie ai recenti sforzi da parte del primo ministro Renzi, che ha sostenuto il Jobs Act e le riforme nel campo della giustizia civile. Questo è il tipo di approccio a 360 gradi che un governo, insieme a tutti gli altri soggetti interessati – imprese, sindacati, università, giudici – deve adottare in un mercato globalizzato, per competere negli investimenti e nell’occupazione. Ma ora mettetevi nei panni (che un giorno potrebbro essere i vostri) del ceo di un’azienda internazionale. Questo ceo sta considerando di fare un grande investimento di capitale all’estero. E domandatevi: come potrei, da amministratore delegato, giustificare un investimento in Italia al mio consiglio di amministrazione?

Cominciamo con i pro che l’Italia ha da offrire agli investitori: design e ingegno italiani sono rinomati in tutto il mondo. Il marchio “made in Italy” è sinonimo di qualità ovunque. L’Italia è il secondo produttore della zona euro, e le sue esportazioni sono aumentate di quasi il 23 per cento nel quinquennio 2010-2015, nonostante la crisi economica. I lavoratori italiani sono istruiti e creativi. Ho visitato numerosi stabilimenti,  tra cui l’impianto di Fiat-Chrysler, a Melfi, dove stanno facendo le jeep per il mercato americano e la sorprendente struttura  di Boeing nel sud Italia, dove si fanno le fusoliere in fibra di carbonio per i loro 787. Tutti mi dicono che il know-how italiano è di prima classe. […] L’Italia oggi ha un governo stabile. Per la prima volta in una generazione, un governo italiano non solo propone le riforme – ma riesce anche ad approvarle e attuarle. […] Alla luce di questi fattori positivi, l’Italia che cosa potrebbe fare di meglio, e come? Nonostante sia la quarta economia dell’Ue, l’Italia è in ritardo rispetto ai suoi vicini nell’attrarre investimenti diretti dall’estero. E’ l’ottavo paese nella graduatoria europea sugli investimenti diretti dagli Stati Uniti, eppure potrebbe essere al numero 2 o 3. Secondo l’Ocse, l’Italia, in percentuale al suo prodotto interno lordo, si colloca solo davanti alla Grecia nell’Ue per la quantità di investimenti esteri diretti nel paese. Il fatto è che prima di fare un investimento, una società deve guardare non solo agli aspetti positivi, ma anche ai peggiori scenari possibili. Cosa succede se un cliente non riesce a pagare e bisogna fare una citazione in giudizio per far rispettare un contratto?


Incontro fra imprenditori


Questo mi porta al mio tema di oggi. Vi sentireste tranquilli rivolgendovi al sistema giudiziario italiano nel caso in cui si presentassero problemi come questi? Un obiettivo fondamentale del governo è quello di creare un sistema giudiziario che produca risultati efficaci, equi e prevedibili nella risoluzione di controversie commerciali. Ma l’Italia ha un sistema così? Molti potenziali investitori mi hanno detto che la risposta a questa domanda è “no”. Il sistema giudiziario è il primo motivo per cui decidono di non investire in Italia. Capiscono che il rischio di non essere in grado di risolvere in modo efficiente ed efficace gli ordinari problemi di business supera i benefici di fare affari in Italia. Per fortuna, il vostro governo ha riconosciuto questo problema. Il primo ministro Renzi ha sostenuto una serie di importanti riforme giudiziarie, e il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha realizzato una riforma della giustizia civile, che era di assoluta priorità. L’approccio pragmatico si è concentrato sulle questioni giuste, e sta già  iniziando a mostrare risultati significativi. Sono stato un avvocato per oltre quarant’anni in America, e mi piacerebbe condividere con voi alcune delle cose che funzionano negli Stati Uniti, nella speranza di incoraggiare ulteriori passi in avanti.

Il sistema giudiziario civile, in Italia, è semplicemente troppo lento. Questa è la percezione degli investitori americani, e oserei dire che è anche la percezione del popolo italiano, e delle istituzioni internazionali. Secondo il rapporto 2016 della Banca mondiale, l’Italia si posiziona  al 111° posto nel mondo per la facilità di far rispettare un contratto. In media, ci vogliono più di tre anni per ottenere una decisione del giudice inferiore su una semplice questione contrattuale. E’ un periodo troppo lungo per le aziende, costrette ad aspettare i tempi della giustizia. 

Negli ultimi tre anni, l’Italia ha eliminato un paio di mesi dal periodo medio di conclusione di un caso giudiziario, e spero che questa tendenza continui. Come dice un vecchio proverbio, “il tempo è denaro”, e non ci si può aspettare che le aziende perdano migliaia, se non milioni di dollari per un contenzioso, mentre una controversia si fa strada attraverso il sistema giudiziario. Negli Stati Uniti, circa il 90 per cento dei casi depositati si risolvono prima del processo, perché incoraggiamo la mediazione o il lavoro del giudice, affinché il caso sia risolto anche una volta archiviato. Le parti negoziano e poi firmano un accordo, e questo è tutto – nessun appello, nessuna attesa di una sentenza. Tutti possono tornare a concentrarsi sulle proprie attività. E’ evidente la necessità di una regolamentazione efficace delle risoluzioni alternative alle controversie, e per fortuna il governo italiano ne sta tenendo conto. Le riforme proposte includono la negoziazione assistita obbligatoria per tutte le controversie sotto i 50.000 euro, e sentenze di arbitrato vincolanti, come se fossero sentenze di un tribunale. Si tratta di grandi idee e incoraggio i miei colleghi legali qui in Italia ad adattarsi a questi nuovi metodi il più rapidamente possibile, per il bene dei loro clienti e dell’economia italiana nel suo complesso. Perché siamo onesti: gli avvocati di tutto il mondo potrebbero avere la tendenza a portare avanti un procedimento pur di fatturare quanto più possibile. Ma alla fine della giornata, la reputazione è tutto per un avvocato, ed essere conosciuto come un avvocato che raggiunge con successo risoluzioni rapide ed eque attirerà ancora più clienti.

Un altro problema che abbiamo affrontato negli Stati Uniti è la gestione dei tribunali. Giudici e avvocati non sono manager; sono andati a scuola di Legge, non necessariamente alla Bocconi. Alcune decisioni manageriali, come l’organizzazione dei tribunali, possono essere prese a un livello superiore. Il ministero della Giustizia ha già iniziato consolidando ed eliminando tribunali superflui, riducendo il numero dei tribunali in Italia da 1.398 a 650. Il governo si è giustamente focalizzato sullo sviluppo di tribunali specializzati, come i tribunali delle imprese. Negli Stati Uniti ce ne sono molti, ma i tribunali degli imprenditori, in Italia, non hanno ancora l’autorità per decidere sulle controversie contrattuali. Spero che questo cambi con il nuovo pacchetto di riforme della giustizia civile, in attesa di approvazione al Senato, perché sapere che le controversie contrattuali possono essere gestite da giudici esperti in modo efficiente e tempestivo rasserenerebbe i potenziali investitori.


Inaugurazione dell'anno giudiziario (foto LaPresse)


I tribunali in Italia hanno bisogno di inserirsi nell’era digitale. Qui, ancora una volta, l’Italia sta compiendo progressi. Dal marzo del 2015 al febbraio di quest’anno, le documentazioni processuali digitali nelle cause civili sono aumentate del 244 per cento, una cifra impressionanteCrediamo che si tratti di una questione così fondamentale che abbiamo ospitato recentemente diversi magistrati e avvocati italiani negli Stati Uniti per studiare il nostro sistema di gestione online del tribunale e dell’archiviazione. Alcuni di questi cambiamenti possono essere accolti con resistenza. I giudici e gli avvocati di tutto il mondo tendono ad essere tradizionalisti e a resistere alle nuove tecnologie. Recentemente ho letto di un giudice di  Taranto, che stava decidendo sul caso di una disputa contrattuale del valore di circa  200.000 euro, depositata nel 2014. Durante una recente udienza, ha rinviato le parti senza una decisione, e ha detto loro di tornare in tribunale dopo tre anni, perché prima di allora era troppo occupato. Tre anni, vuol dire nel 2019!

Nessuno dice che i giudici italiani non siano tra i più oberati del mondo, ma non si tratta di lavorare sodo – si tratta di lavorare meglio, utilizzando la tecnologia, per esempio, cercando di fare qualche cambiamento efficace, anche vecchio stile, come ad esempio l’istituzione dei limiti di pagine delle memorie presentate da avvocati e giudici, che permettono di scrivere opinioni più brevi e sintetiche. Abbiamo norme simili negli Stati Uniti, anche per la Corte suprema, e spero che l’Italia possa adottare cambiamenti per facilitare il tempo necessario per preparare e leggere i documenti depositati. Il governo ha compiuto passi molto importanti, e speriamo che giudici e avvocati possano accettarli e apprezzarli.

Vorrei aggiungere un punto sul sistema giuridico. Il processo in corte d’Appello è troppo lungo e incerto. Ed è un peso per le aziende che vogliono risolvere i contenziosi e passare al business. Come ho già detto, negli Stati Uniti, oltre il 90 per cento dei casi civili salta, il che significa che si elimina automaticamente il 90 per cento dei potenziali ricorsi. Coloro che desiderano fare appello, possono ricorrere solo per alcuni motivi specifici, come ad esempio gli errori di diritto. E’ come una piramide, dal processo in tribunale fino alla Corte suprema, dove sia il numero di casi sia le questioni a portata di mano sono di meno e più particolari, man mano che si sale. I giudici della corte d’Appello non possono entrare nel merito di fatti presentati durante il processo e rivalutarli.

Da quello che ho capito sulla legge italiana, le parti qui possono presentare ricorso per motivi molto vari, e così quasi tutti hanno un incentivo per impugnare una sentenza, non solo per la corte d’Appello, ma anche alla Corte di Cassazione. Questo crea un clima di incertezza che è fatale se si vogliono attrarre investimenti. Un modo per cambiare questo clima potrebbe essere quello di restringere l’ambito dell’Appello e permettere ai tribunali superiori di impartire ordini molto brevi e sintetici per rigettare ricorsi infondati. La nostra Corte suprema emette solo circa 80 decisioni l’anno, su 8.000 richieste – l’uno per cento! Quasi nessuno ha bisogno di attendere una decisione della Corte suprema, perché accolgono soltanto pochi casi. Gli Stati Uniti hanno già affrontato molti di questi problemi e hanno trovato soluzioni che funzionano.

Anni fa, i nostri tribunali avevano ritardi su ritardi, e abbiamo lavorato sodo per trovare delle risposte. Negli Stati Uniti, le corti d’Appello generalmente esaminano soltanto gli errori di diritto da parte del giudice del tribunale di primo grado, ma non fanno una revisione de novo dei fatti. Così le parti sono meno incentivate a presentare ricorsi infondati, e si può giungere a una decisione finale permettendo a tutti di proseguire con le proprie attività. Ci complimentiamo con il ministro della Giustizia per la riforma del processo d’appello in Italia, che ha proposto di limitare agli ambiti del ricorso in appello i soli aspetti in contenzioso, come parte di un nuovo pacchetto di riforme della giustizia civile che attualmente in discussione in Parlamento. E’ un passo nella giusta direzione. Mi congratulo con il governo per i suoi sforzi fino a oggi e, ancora una volta, spero che le riforme siano approvate rapidamente dal Senato e altrettanto rapidamente messe in atto.