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martedì 26 aprile 2016

Bertinotti si confessa a "Libero": "Non sono più comunista e vi spiego perché ho scelto"

L'INTERVISTA DI LUCA TELESE


Fausto Bertinotti
Presidente Bertinotti, lei ha stupito tutti con l’intervista al Corsera in cui ha rivelato la sua apertura verso Comunione e Liberazione.
«Su questo punto non ho da aggiungere nulla, ho già detto».
Sembra seccato.
«Ho raccontato di aver trovato in Cl molto di più e di diverso di quel che mi aspettavo, in primo luogo il suo popolo».
L’ha stupita il popolo di Cielle?
«Guardi, non aggiungo altro: ho subito un’offensiva mediatica e una campagna di strumentalizzazione. Sono abituato. Ho ricordato che per Gramsci l’intellettuale può rappresentare il popolo solo se ha con lui “una connessione sentimentale”. Questo sentimento, tra loro, l’ho trovato».
Però la sento arrabbiata.
«Anche lo scontro politico più duro dovrebbe partire dai fatti, e non dalle invettive. Ma lasciamo perdere. Io dico cose sgradevoli per la destra e per la sinistra, ne sono consapevole».
Ad esempio?
«Sostengo che la storia politica nata col movimento operaio del Novecento si è esaurita».
E a chi dà fastidio?
«A molti: è un terreno di lotta politica a sinistra».
Ma perché ci tiene così tanto a sottolinearlo proprio lei che ha lavorato per venti anni alla Rifondazione del comunismo?
«Mi interessa costruire. Se non si prende atto dolorosamente di una sconfitta irrevocabile della sinistra storica non si può riprendere il cammino, in nessuna direzione».
E chi altro scontenta?
«Ovviamente la sinistra liberista. Ormai, a tenere alto il livello di criticità contro la dittatura del mercato è rimasta, praticamente sola, la Chiesa di Papa Francesco».
È un Fausto Bertinotti che stupisce. L’ex presidente della Camera non ha mai smesso il suo lavoro di riflessione sulla sua rivista, Alternative per il Socialismo. Però un conto è il passo del saggista, un altro sono le sue opinioni contundenti, spesso spiazzanti, e le sue uscite pubbliche. Oggi Bertinotti si dedica soltanto alla ricerca intellettuale, ma le sue posizioni sono più radicali di quando - una vita fa - era un leader politico. «La democrazia rappresentativa, in Occidente - sostiene oggi - non esiste più. È stata disarticolata, svuotata di ogni significato».
Bertinotti, se un compagno di Rifondazione la sentisse elogiare Cielle, dichiarare esaurita la storia del movimento operaio, o che la democrazia è finita dubiterebbe di lei.
«Io dico che a sinistra le piste sono esaurite: le due anime che conosciamo non hanno più nulla da dire».
Quali piste?
«Sia l’anima nuovista che quella che si rifugia nella tutela identitaria come se nulla fosse accaduto».
I “nuovisti” sono i socialdemocratici e i renziani del Pd?
«Sono quelli che io considero letteralmente trascinati - nel mio linguaggio - dal nuovo capitalismo».
Ci sono esperienze che lei trova molto interessanti, in Europa?
«Sì: quelle di chi si mette sul terreno del nuovo, senza rapporti con la storia del Novecento: Siryza e Podemos sono esperienze estranee alla storia del movimento operaio».
Podemos non è di sinistra?
«Non la definisco una formazione di sinistra. Vale quello che dice il suo leader Pablo Iglesias: “Io sono gramsciano, di sinistra. Il mio partito no”».
Cosa vede di nuovo in Europa?
«Sono vive solo le formazioni politiche che interpretano il conflitto fra l’alto e il basso».
I populismi?
«I cosiddetti populismi nascono dalla contesa tra alto e basso, poveri e ricchi. Ci sono anche quelli di tipo trasversale, come Grillo. Ma sia a destra che a sinistra il nodo è questo. Podemos e Syriza sono un esempio clamoroso di popolo contro le élite».
Lei considera élite, indistintamente, sia la Merkel che Hollande?
«Sì. Le élite di sinistra sono più inclusive di quelle liberiste, ma entrambe individuano la critica al mercato come una critica alla modernità».
Da qui il suo avvicinamento alle correnti critiche che nascono all’interno della Chiesa?
«“Laudato sii” è una lettura preziosa per capire questo tempo, riconoscendo al Pontefice la sua autonomia dalla politica e il suo carisma».
Qual è il discrimine, per lei, se non è più quello tra destra e sinistra tradizionale?
«Semplice: tra chi è per l’inclusione e per l’eguaglianza e chi invece è per l’esclusione e per la disuguaglianza».
In questo campo lei mette tutte le sinistre socialdemocratiche?
«In Europa si è strutturato un soggetto nuovo e sovranazionale che ha come obiettivo la conservazione degli attuali rapporti di forza, l’idea di far pagare la crisi ai più poveri».
Chi fa parte di questo soggetto?
«Un soggetto che chiamo, molto semplicemente, governo. Non importano le facce, i leader: quelle passano. Il governo resta e persegue i suoi obiettivi di stabilizzazione del sistema».
E come fa?
«Questi tempi hanno partorito una filosofia politica - la “governamentabilità” - e una pratica politica, la “governabilità”. Parliamo dell’Italia e delle politiche economiche: non vedo sostanziali differenze tra Monti, Letta e Renzi».
Se fosse così votare sarebbe inutile!
«E infatti si inventano parole complesse per definire un fenomeno semplice. Si parla di “democrazia funzionale” o “democrazia autoritaria”. Ma l’essenza è che non c’è più democrazia, possibilità di cambiare direzione alle politiche dei governi per effetto della volontà popolare».
Mi faccia un esempio.
«Io le ho parlato di élite, ma potremmo dire: oligarchie. Prenda Renzi, Monti, Valls, Hollande e Merkel, le istituzioni europee, il fondo monetario. Fanno tutti, in modo diverso, una cosa sola: austerità».
Cos’è? Bilderberg? La Spectre?
«Nulla di misterioso, complottistico o segreto: è sotto gli occhi dei cittadini. Questi leader fanno parte di un sovragoverno: banche centrali, esecutivi, istituzioni internazionali».
Ma sono paesi diversissimi fra di loro, spesso in conflitto!
«Oggi Le Monde parla del ministro del tesoro francese che ha come idea cardine il superamento della differenza tra gauche e droite. Non lo sentiamo in Italia da dieci anni?».
Anche in altri paesi.
«La Merkel infatti c’è riuscita a tal punto che governa con i socialdemocratici che per molti versi sono alla sua destra».
Addirittura.
«Sulla vicenda greca è stato così. Nella sostanza il governo dell’Europa è questo: Verdini e il Partito della Nazione sono variabili nazionali pittoresche e quasi trascurabili».
Facciamo un altro esempio.
«In Francia i socialisti godono di un monocolore in parlamento e non hanno bisogno nemmeno di escamotage come Ncd o Ala».
Già.
«Ma dopo tre anni precipitano dal 49% al 12% e Hollande non arriva al ballottaggio. Quello che determina il corso della politica è la governabilità. Se si sostituisce Hollande si cerca di fare in modo che nulla cambi negli equilibri e nelle politiche».
Facciamo un altro esempio.
«Nessuno ha dissentito quando si è trattato di strangolare il governo greco. I presunti leader di sinistra, se possibile, sono stati i più subalterni e feroci. Oggi, che si prepara un nuovo giro di vite, nessuno protesta.
Perché?
«Semplice: perché l’austerità mina il consenso, lo divora. Annichilisce i sorrisi e l’ottimismo dei premier. Dopo un anno o due sono già da buttare, e si prepara una nuova operazione di camuffamento».
Così è sicuro che la governabilità tenga?
«Per nulla. Infatti si procede verso una progressiva riforma delle istituzioni, una democrazia neo autoritaria».
Riesce?
«L’altro escamotage è questo: determinare e accentuare un conflitto politico con forze che non possono governare. Così connotate in senso radicale che nel momento della sfida per il governo è impossibile che vincano».
Esempio?
«In Italia è facile, Grillo. Ma anche Farage in Gran Bretagna».
Lei non cita la Le Pen
«È un fenomeno di populismo più complesso, più strutturato, viene da una tradizione politica solida».
È uno scenario apocalittico.
«Il flusso della governabilità è stabile, ma le società sono impoverite ed instabili: i banchieri centrali tengono le redini perché sono i sacerdoti di questa economia perdente, ma ancora capace di incantare i credenti».
La governabilità, come la chiama lei, non si può battere?
«Non lo penso. Ma dopo sette anni di crisi, non è accaduto. La nuova Conventio ad escludendum, come accadeva per il Pci degli anni Settanta, dice che non può esserci un governo diverso. Se cade questo ce n’è sempre un altro, e magari un presidente che nel momento di crisi non fa votare».

Lei pensa che ci sia un leader in cui questa politica si identifica?
«Il vecchio Marx diceva: se guardi il singolo capitalista, non capisci il capitalismo. Guarda l’intero fenomeno, in modo scientifico, e lo vedrai».
Noto quasi ammirazione in lei.
«Non ammirazione, ma osservo: nessun altro sistema di consenso avrebbe retto ad un crollo così drastico di ricchezza. Ad una sottrazione di risorse così ampia per i popoli».
C’è ancora speranza di cambiare.
«Ricordo una storica citazione di uno dei miei maestri, Riccardo Lombardi: “Guardate l’indice di disoccupazione. Se finisce sopra il 10% la democrazia è a rischio”».
Bella, ma siamo oltre il 10%.
«Nella prima repubblica era così. Ma la profezia di Lombardi si è avverata. Infatti le regole di gioco sono cambiate».
Quali?
«Quelle fondamentali. La democrazia l’hanno già uccisa. Ne discutiamo come se esistesse ancora».
Cosa cambia?
«Nel tempo della governabilità la coppia giusto-sbagliato viene sostituita da funzionale-non funzionale».
Cosa conta ora?
«Se le regole danno noia ai manovratori cambia le regole. Non a caso il dibattito ci dice che serve un ministro delle Finanze unico, un ministro della Difesa unico, un governo dei governi unico. C’è chi teorizza di non votare per periodi di emergenza economica. Il sistema attuale è irriformabile».
Questo è nichilismo cosmico!
«La speranza di riforma può arrivare solo da fuori dal recinto. Solo dai barbari oggi esclusi!».
Ha simpatia per i barbari, ora?
«Oh, certo. Machiavelli considerava Roma superiore alle altre civiltà perché ammetteva la rivolta e si rigenerava attraverso di essa. La rivolta reintroduceva nel sistema le forze escluse».
Dove le vede queste possibili rivolte?
«Nelle forme inedite dei movimenti sociali. Lei sorride: ma gli Indignandos spagnoli hanno partorito Podemos e Occupy Wall street: Bernie Sanders».
Ma non sono forme vincenti.
«Per ora. Oggi studio le esperienze di auto-produzioni, di mutuo soccorso. Quello che chiamo il sottobosco».
Facciamo un altro esempio.
«Leggo su Repubblica che i vaucher aiutano il sommerso. Il vaucher è lo strumento di un nuovo caporalato. Di nuovo le regole stravolte: la legge legalizza l’illegalità. In Francia la nuova legge sul lavoro è una fotocopia del Jobs act».
Sa già da dove arriveranno i barbari?
«La nuova sinistra non nascerà da una costola della vecchia: finché vive il movimento operaio il nuovo nasce sempre per “spirito di scissione”. Ovvero: tornare alle ragioni originarie per sanare un tradimento».
E oggi?
«Non c'è più nulla da cui scindersi. Tu sei un’altra storia, non hai più una casa dove tornare».
Bertinotti, lei cosa vota?
«Riconosco che risponderò con un trucco: “Sono un militante comunista. Non ho nulla da dichiarare”».
Non vota più?
«Voto per scegliere il meno peggio. Per governare la città. Ma non credo che la rinascita della sinistra passi per una campagna elettorale».
intervista di Luca Telese

lunedì 25 aprile 2016

Il tribuno della tele

Fenomenologia di Maurizio Crozza, che si è preso lo spazio vuoto dei talk-show ed è diventato il satirico unico delle coscienze. Antirenzismo, un po’ di grillismo, risate
di Maurizio Crippa | 23 Aprile 2016 ore 06:17
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Maurizio Crozza durante uno show. E’ l’evento televisivo degli ultimi anni: le sue battute sono una delle poche cose che dall’infotainment rimbalzano sui giornali
“Noi diciamo stupidità che muovono l’Italia” (Umberto Bossi, politico, prima metà degli anni Novanta del Novecento)

Martedì 22 marzo era la sera degli attentati di Bruxelles, ma anche la sera di “DiMartedì”, il talk di Giovanni Floris su La7. Quello con Maurizio Crozza – comico, attore, imitatore – che per l’occasione fa l’editorialista: “Siamo in guerra, la politica non lo dice ma noi comici lo sappiamo già”. “Giova, perché siamo in onda in giornate come queste? Come si fa a far ridere?”. Il Crozza del martedì, da un po’ di tempo, non ci sta più dentro nei vestiti dell’ospite-comico con compiti di siparietto, che al massimo punzecchia satirico ma conviviale i politici di turno sulla poltrona. No. Fa l’editorialista, fa un po’ il comizio, fa un po’ l’indignato, fa un po’ l’antitutto. C’è la guerra, sì. Gran puttana, la guerra: “Un po’ attacchi tu, un po’ attaccano loro… Noi coi droni, loro coi trolley”. Risate. Perché nella satira si ride sempre a squadre, lo insegnava già Paolo Rossi (il comico). Basta scegliere per sé la squadra dei buoni: “I raid anti Isis hanno fatto mille morti civili, ma la politica non lo dice”. Applausi. Ma soprattutto: “Giova, a che serve la politica?”.

Martedì 12 aprile era quello prima del referendum: “Io vado a votare per tre motivi. Primo, è un mio diritto. Secondo, è un mio dovere. Terzo, ha detto Renzi di non farlo”. Applausi. E il martedì seguente: “Altro che ciaone, a chi ha votato girano le trivelle”. Risate.

Crozza, la parte più appetitosa del talk-show. E infatti, da un po’ di tempo, la “copertina” di Crozza per Floris ha cambiato pelle. Senza nemmeno bisogno di travestirsi, è diventata un’imitazione delle letterine (o erano editti?) che Marco Travaglio declamava da Michele Santoro. La prevalenza del tribuno. Con un eccesso – forse involontario, forse è soltanto un Dna comune di liguri incazzosi – di grillismo. Di antipolitica. Poi, sta a vedere: Lui è un professionista, non un improvvisatore, sa fare tutti i ruoli in commedia: perché non anche il tribuno? Forse però la domanda giusta è un’altra: sarà lui che è diventato grande – persino ingombrante – o è il talk-show che si è ridotto? E poiché la televisione non tollera vuoti, laddove si restringe il conduttore finisce naturaliter che si allarghi il comico.

Il 16 ottobre del 1992 Bettino Craxi non aveva ancora ricevuto il primo degli avvisi di garanzia di cui la Procura di Milano di Piercamillo Davigo and partner in seguito lo omaggiò (il primo, il 15 dicembre 1992). Ma intervistato dal Corriere della Sera, un Beppe Grillo ancora lontano anni luce dal suo futuro suonava il de profundis alla satira (di sinistra) contro i potenti della politica: “Credo che per Serra e quelli di Cuore far ridere sia sempre più difficile perché frequentano troppo i soggetti di cui fanno satira”. Era ora di traslocare l’opposizione della risata in televisione, e da lì menare sciabolate al Sistema Politico in quanto tale. In fretta, i talk-show inglobarono la satira. Passò poco, e ne uccisero più Sabina e Corrado Guzzanti che i pm di Milano. Anni dopo, qualcuno avrebbe cominciato a parlare di “populismo mediatico”

 Domenica 24 aprile, domani, Maurizio Crozza festeggerà i suoi primi dieci anni su La7 con un “Crozza 10 anni” trasmesso in prime time per rievocare il decennio trascorso sulla rete di Urbano Cairo. Omaggio inevitabile: l’ultima puntata di “Crozza nel paese delle meraviglie” ha sfiorato il 10 per cento di share, meglio di un amuleto. Occasione per chiedersi: che cosa è successo, in questi dieci anni? Dove sono finiti i talk? E com’è che Maurizio Crozza è diventato il nuovo Tribuno della tele? Nato attore di teatro, passato al cabaret con i Broncoviz, esploso come imitatore (ma sulla Rai, a “Quelli che il calcio”) Crozza non era partito già bravo, già mattatore unico delle coscienze. Da ottimo professionista, ha lavorato e trovato a poco a poco la sua identità, modellandola insieme a quella della sua rete. Bravo anche a costruire una squadra di autori di tutto rispetto, una mezza dozzina, soprattutto il suo autore-spalla Andrea Zalone. Una macchina che gira a mille, con grande autonomia, ormai una vera e propria factory che fattura oltre dieci milioni a stagione e che viaggia oltre le medie di rete. Che piace al pubblico colto politicizzato e a quello generalista. Anche se poi sbaglia sui nuovi pubblici: la sua imitazione di Frank Matano, che ha indignato la community degli youtuber (gli youtuber sono un po’ come i grillini: reagiscono a branco) era scombiccherata, volgare.

Ma Crozza oggi è soprattutto l’unico che nella tv generalista italiana faccia ancora satira politica. C’è stata una grande morìa dei satiri, nel frattempo. Sarà la censura? Sarà che il renzismo è meno tollerante del fu berlusconismo bulgaro? Chi lo sa. “Di certo, l’aspetto principale è che la fine del berlusconismo ha trascinato nell’irrilevanza e fatto sparire tutta una generazione di comici che avevano come principale canovaccio e bersaglio Berlusconi”, annota Maurizio Caverzan, che sul suo blog CaveVisioni.it mette in ordine con pazienza i segnali del piccolo schermo e delle (grandi) politiche televisive. Sta di fatto che Crozza è rimasto. Solo. E con la forza del suo successo può permettersi di sparare al bersaglio grosso. Che si chiama Matteo Renzi. Fa quello che i talk, neppure quello di cui è ospite e traino su La7, sono più in grado di fare.

Il 10 gennaio 2013 potrebbe essere considerata la data di morte simbolica del talk-show politico. Fu quando l’Arcinemico di un ventennio, Silvio Berlusconi, spazzolò con il fazzoletto la sedia di “Servizio pubblico” su cui si era seduto Marco Travaglio, trasformando in un teatrino ormai destituito di ogni reale ostilità la sua ospitata da Michele Santoro. L’involontario (involontario?) effetto “combattenti e reduci” metteva una divertita malinconia, e ha segnato più di tante parole la chiusura di un’epoca basata su due poderose architravi: il dominio politico di un leader che incarnava la televisione tradizionale e il dominio mediatico del modello “Conduttore unico delle coscienze”, come lo sono stati Santoro ma anche Gad Lerner e vari epigoni minori. In ogni caso, un modello di comunicazione-informazione basato su un conduttore di forte personalità e di netto profilo politico, calato in un quadro in cui “l’evento” del talk funzionava da parlamentino del dibattito pubblico e da catalizzatore dell’agenda nazionale. Non sono soltanto i dati dell’Auditel a certificare che, in meno di tre anni, quel modello è divenuto obsoleto. “Oltre alla mancanza di conduttori di personalità forte, c’è da tenere soprattutto in conto l’effetto di saturazione dovuto all’eccesso di programmi simili e intercambiabili”, spiega il critico televisivo del Corriere, Aldo Grasso. Al che va aggiunta una classe politica disponibile alla presenza televisiva molto scarsa. “Di fatto è rimasto solo Vespa, che non per niente è il più tradizionale di tutti e quello che sa più diversificare ed è sempre stato lontano dal modello del talk politico. Il fatto che Matteo Renzi vada solo da lui, o piuttosto da Barbara D’Urso, la dice lunga”. Già. Perché poi c’è Renzi che polemizza, ogni quando può, con i talk-show, quelli in cui stanno chiusi gli “autorevoli ospiti” a pontificare contro le trivelle: i veri sconfitti dal paese reale che non ha votato. Il talk come specchio del paese irreale della chiacchiera e della demagogia politica. Nonostante le repliche alla Massimo Giannini, “l’essenza del renzismo è fare a meno dei giornalisti”, i talk sono morti. Ma l’odio del premier per la formula del salotto politico ha un senso: per due decenni, “quello è stato il luogo dell’intermediazione politica”, dice Grasso, il luogo in cui le idee erano rappresentate, nel senso di messe in scena, e le posizioni mediate, offerte alla sintesi. Ma a Renzi, si sa, tutto ciò che è intermediazione e concertazione non piace.

Così, nel grande vuoto, Maurizio Crozza galleggia e giganteggia come un dirigibile Zeppelin. La morte del talk, del resto, l’ha inscenata lui stesso: nella parodia di “DiVenerdì”, nei panni di “Giova” Floris con la sua scaletta di argomenti inverosimili e soprattutto con l’imitazione dei personaggi che hanno fatto la storia del talk e che ormai sono ridotti a parodia di se stessi: Cacciari che insulta, Luttwak il cannibale e Freccero (il suo amico Freccero) che ripete “il talk è morto, voglio riportare Gino Bramieri in Rai”. Critica della televisione. Chapeau. E’ notevole che il rivale di Floris, il “Ballarò” Rai di Giannini, abbia inserito in scaletta la Gialappas’ esattamente con la stessa funzione di traino dell’ascolto.

Ma in tutto questo Crozza – che è l’evento televisivo degli ultimi anni: le sue battute sono una delle poche cose che dall’infotainment rimbalzano sui giornali – è diventato qualcosa d’altro. “Renzi-dentone is back, ne sentivamo la mancanza. Maurizio Crozza è tornato al suo bersaglio prediletto”. Caverzan è stato tra i primi qualche settimana fa a collegare il ritorno dell’imitazione del premier ai sommovimenti politici ed editoriali. Dopo che nelle prime serate della nuova stagione, “in concomitanza con le sirene della Rai, la caricatura del premier era curiosamente desaparecida”. Invece nelle ultime settimane Crozza ha iniziato a sparare a palle incatenate su Renzi. Chissà se dietro c’è anche il tramonto dell’ipotesi di passare in Rai. Colpa delle manovre un po’ complicate del suo agente Beppe Caschetto, il Mino Rajola della tv italiana? Colpa di un antirenzismo troppo militante, ingombrante e scomodo da gestire per la Rai di Antonio Campo Dall’Orto? Ah, saperlo. A suggerire una risposta ci pensa direttamente Carlo Freccero. Che è ligure pure lui e amico di Crozza (“ma noi per volerci bene ci insultiamo”), nonché vittima e complice della sua parodia in tv: “A me spiace tanto che non ci vada, in Rai, ma forse non è il momento. E invece lui sarebbe perfetto, sarebbe l’antidoto al conformismo che ormai domina. Ormai non si può più parlare di Renzi”. Allora è vero che Crozza si è trasformato in un tribuno filo-grillino? “Ma no, tribuno non direi. Lui è un comico raffinato, un grande parodista. L’unica verità è che il talk non c’è più, e nemmeno la satira. Sono cambiati i linguaggi e c’è troppo conformismo. E’ per questo che lui emerge, perché è bravo e fa le cose liberamente”.

Così, probabilmente, continuerà su La7 (anche perché Cairo non vuol mollare il suo primatista di ascolti, seppure il contratto scada a fine 2016). Continuerà lì a sfottere l’appassionata liaison tra Renzi e Maria Elena Boschi: “Santa Boschi protettrice, gufo chi non te lo dice… Ha abolito il Senato, ha cancellato il bicameralismo perfetto, ha modificato la legge elettorale, ma soprattutto: ha portato il lucidalabbra in Consiglio dei ministri”. E soprattutto a dispensare dosi non omeopatiche di antipolitica: “Davvero, a cosa serve la politica? Renzi ha detto ‘vi spiego il segreto per governare senza avere in maggioranza Verdini e Alfano: vincere le elezioni del 2013 che abbiamo perso’. In tre parole ha detto che Verdini è in maggioranza, e che lui non ha vinto le elezioni”. Grillismo? Satira d’opposizione? Semplice talento dello show? Chissà. Ma perché autocensurarsi, se poi è probabile che non serva a trovare un altro ingaggio? Crozza stesso ci ha giocato su, sugli intrecci tra il suo onnipotente agente Caschetto (“Sai quando si dice in Italia decide la gente? Ecco, è lui: l’agente, elle apostrofo. Tutto quello che succede in Italia, Rai Mediaset La7 surriscaldamento globale, decide lui… Secondo voi chi ce l’ha messo Renzi a Palazzo Chigi?”), il suo datore di lavoro Cairo e Renzi (“ti ha mandato un messaggino Renzi?”).

Resta la mutazione genetica, nell’epoca del galleggiamento dello Zeppelin. Per Aldo Grasso, bisogna distinguere le cose. Da un lato la capacità di fare spettacolo, in una fase di ribasso della comicità e di sfinimento del talk politico. Dall’altra i dubbi sulla deriva tribunizia: “Non mi piacciono i suoi editoriali da Floris. La caricatura di Renzi va benissimo, ma quando diventa comiziante, un po’ alla Travaglio televisivo, un po’ alla Grillo ultima maniera, non funziona”. E il difetto è strutturale, secondo Grasso: “E’ che così fa l’ideologo, ma senza assunzione di responsabilità. Lui non fa un talk politico-satirico all’americana, prendendosi tutto il rischio di quello che dice e fa. Si limita a rimanere l’ospite di Floris, l’editorialista. Ma è una posizione debole”. O comoda, come un Tribuno della tele.

domenica 24 aprile 2016

Da bed and breakfast a partner.

Dizionarietto della lingua biforcuta che non ci fa più chiamare le cose con il loro nome

Parole addolcite, modificate o stravolte che hanno dimenticato le loro italianissime origini: come la locanda goldoniana
di Camillo Langone | 24 Aprile 2016 ore 06:18 "ilfoglio.it"
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BED AND BREAKFAST Locanda per chi non conosce, non vuole conoscere, non conoscerà mai Goldoni. La presenza di innumerevoli b&b proprio a Venezia (dove la “Locandiera” goldoniana è stata rappresentata per la prima volta) e proprio a Firenze (dove la “Locandiera” è ambientata) ricorda il crescere dei funghi sui tronchi in decomposizione.

BIKE SHARING Rastrelliere piene di biciclette rotte o prive di biciclette perché rubate. Talvolta può capitare che vi si trovino biciclette all’apparenza utilizzabili ma capire come noleggiarle richiede più tempo che arrivare a destinazione a piedi.

CENTER La moneta cattiva che scaccia quella buona, un centro alieno che distrugge il centro storico. “Ogni qual volta una cosa in Italia viene chiamata in inglese io vedo la mano del Cretino”, scrive Paolo Isotta raccontando dello Science Center che vogliono costruire a Bagnoli sulle ceneri della Città della Scienza. A Parma il Barilla Center ha incenerito i cinema del centro, ovunque i center producono periferia, i bambini che vivono intorno a un centro commerciale da grandi non sapranno distinguere la cattedrale da un’astronave Cei, il municipio da un multisala. “Cresce la domanda di abitazioni nelle adiacenze dei centri commerciali”, dicono gli uffici studi del settore immobiliare per quantificare il cupio dissolvi di un volgo disperso che nome non ha. Tanto adesso arriva Amazon e tutti i center si porta via.

ARTICOLI CORRELATI Malaticcio e deperito, l’italiano è sempre più un dialetto domesticoCHEF L’unico apporto del decaduto francese alla lingua biforcuta. Chef non vuol dire cuoco, vuol dire capo. E quindi, a volte (poche volte), capo-cuoco. Per colpa di questo malinteso ben coltivato migliaia di ragazzi ogni anno si iscrivono agli istituti alberghieri, credendoli anticamere degli studi televisivi e della guida Michelin: come se migliaia di studenti si iscrivessero a giurisprudenza convinti di diventare Michele Emiliano.

ESCORT Puttana. Magari puttana di un certo livello ma comunque puttana. “Il senso di colpa è il fondamento di ogni morale comportamentale”, scrive Vittorino Andreoli. Pertanto colui che dice escort, anche fosse perfettamente fedele alla propria donna, è peggiore di colui che va a puttane perché chi dice escort distrugge il fondamento della morale senza la quale non esiste vita associata (non esiste totalità, diceva don Giussani), mentre chi va a puttane percepisce già nella parola il proprio errore.

FICTION Finzione, finto: a dirlo in italiano si capisce subito che si tratta di un falso ovvero di una truffa, mentre a dirlo in inglese sembra uno spettacolino innocuo. Cioran non capiva perché dovremmo leggere libri che parlano di cose non avvenute quando non abbiamo ancora letto i libri che parlano di cose accadute effettivamente. Dunque perché guardare le false vite dei santi della Lux Vide? E’ una roba nemmeno da poveretti, è proprio da scemi, come se allo stesso prezzo si preferisse un risotto alla milanese preparato con la curcuma anziché con lo zafferano. Non si ricordano conversioni causate da visioni televisive ed è la prova che nelle fiction lo Spirito si guarda bene dal soffiare. La fiction religiosa è fantasia, mai filologia, necrofilia, mai vita, mentre la fiction non religiosa è correttissima come un ospite di Fabio Fazio, allineatissima come un vescovo della Cei, e non per nulla uno dei suoi campioni è Ivan Cotroneo, omosessuale (cosa che aiuta ma non basta) e omosessualista (cosa che invece basta) prediletto da Aldo Grasso e dagli italiani più invasi. Nelle sue sceneggiature, ricorda Costanza Miriano, “c’è sempre un personaggio omosessuale simpatico, intelligente, geniale, mentre le famiglie risultano luoghi di costrizione, tristezza, noia, stanchezza”. Siccome la verità rende liberi, la fiction non può che rendere schiavi.

FOODIE Ex gourmet, ex buongustaio. Il gourmet era un signore dotato di pancia o pancetta e manifestava una più o meno stretta osservanza francese ordinando tartufo, foie gras, champagne, sauternes… Se non aveva letto Brillat-Savarin comunque lo citava. Il buongustaio se donna assomigliava ad Ave Ninchi, se uomo a Luigi Veronelli nei momenti di naso più rosso, e sulla libreria del soggiorno facilmente esibiva volumi di Paolo Monelli o Mario Soldati o Gianni Brera. I cuochi di riferimento di entrambe le categorie erano omoni corpulenti quali Paracucchi, Bocuse e Tamani, e i critici si chiamavano Federico Ugo D’Amato, il fondatore della Guida dell’Espresso, oppure, più vicino a noi, Edoardo Raspelli. Gli idoli dei foodie sono invece magri come Bottura o Cracco o Oldani, due su tre pure bravissimi ma si vede da lontano che non mangiano, che non godono (non con il cibo almeno). Con l’entrata in scena dei foodie il buono è stato soppiantato dall’interessante così fa tenerezza il Michele Santoro, uomo di panza ossia di antica sostanza, che ha voluto intitolare “Buono!” l’inserto gastronomico del Fatto. Il gourmet era un signore che da bambino aveva fatto il catechismo e che pertanto sapeva di commettere peccato di gola, il foodie è un uomo o sempre più spesso una donna senza Dio, senza punti di riferimenti né estetici né morali e quindi in completa balia delle gastronomiche mode, dei culinari conformismi. Una foodie è la protagonista di uno dei più bei romanzi italiani del 2015, “Gli sbafatori” di Camilla Baresani: chi lo legge scopre che i foodie non sanno mangiare, non sanno bere, non sanno scrivere, sanno soltanto fotografare e postare commenti finto-entusiasti.

FRIENDLY Ostile con tutti coloro con cui non è amichevole. Eco-friendly significa ostile ai non ecologisti, ai consumatori che non vogliono salvare il mondo ma solo portarsi a casa un prodotto che funzioni e invece devono pagare un sovrapprezzo per far contenta Greenpeace. Gay-friendly significa ostile ai non omosessuali, agli eterosessuali che al ristorante o in albergo non vogliono assistere a effusioni sodomitiche, né mostrare ai propri figli eventualmente presenti il più classico metodo con cui una civiltà stanca di se stessa si suicida.  Pet-friendly significa ostile all’uomo che non vuole essere morso ai garretti né altrove, a cui danno fastidio latrati e bave, deiezioni e zecche.

GAY Uomo che non si capisce come possa essere allegro e che però pretende di essere definito tale. Se fosse davvero così felice, così appagato, non perderebbe tempo a ringhiare contro chi si permette di usare sinonimi non encomiastici, non si impegnerebbe tanto per far passare leggi che prevedono multe, licenziamenti, arresti e tagli della lingua per chi, italofono irriducibile, si rifiuta di pronunciare la parola americana di tre lettere.

GOSSIP Quando si chiamava pettegolezzo i giornali seri si sarebbero vergognati a mettere in pagina intercettazioni il cui unico scopo è svelare chi fa cosa con chi. Secondo Eleanor Roosevelt “grandi menti discutono di idee, piccole menti discutono di persone”. Le menti che discutono di parti del corpo delle persone saranno dunque microscopiche.

ITALY Ex Italia: se l’Italia fosse ancora l’Italia non accetterebbe di chiamarsi Italy. E’ la vendetta postuma di Metternich: Italy è davvero un’espressione geografica. Sembra un nonnulla la lettera Y eppure è biforcuta anche graficamente e documenta con notarile esattezza la perdita di sovranità di una nazione così come la perdita di dignità di una persona (insomma ciò che accade quando una Maria inizia a farsi chiamare, o ad accettare di essere chiamata, Mary). Di Italy in Italy si arriva fatalmente a Eataly, l’ambigua catena farinettiana che forse  promuove cibi tipici italiani e certamente danneggia, come l’antesignano Slow Food, il prodotto italiano più tipico che ci sia ovvero la lingua di Dante e Petrarca.

LIGHT Cibi e bevande che fanno ingrassare, un esempio di come l’inglese faccia anche male alla salute. Ingerendo edulcoranti si vuole prendere in giro se stessi ma il corpo non ci casca e pretende una compensazione in zucchero vero. Sono ormai numerosi gli studi, sia sugli animali sia sugli uomini, che dimostrano come i dolcificanti ipocalorici artificiali aumentino l’insulina e come qualsiasi alimento si fregi del titolo di light alteri in modo negativo i meccanismi ormonali di appetito/sazietà. Ricercatori della Texas Christian University dopo aver somministrato a 115 studenti Sprite Zero (edulcorata) oppure Sprite normale (normalmente zuccherata) hanno scoperto che chi beve light è maggiormente portato a consumare cibi ipercalorici.

LOW COST Sparagnino, misero. E’ l’oppio dei poveri perché illude colui che compie simili acquisti di non essere indigente, inchiodandolo alla sua condizione. “Chi  s’accontenta gode, così così” (Ligabue).

MEETING A CL ha fatto più danni di Roberto Formigoni. La parola meeting fa pensare a eventi commerciali, finanziari o confindustriali e così l’impegno gratuito di generazioni di volontari ha paradossalmente contribuito, in quel di Rimini, a incollare su Comunione e Liberazione il marchio di Mammona, l’immagine di cricca traffichina dedita all’organizzazione di convegni per lobbisti.

PARTNER Se amasse davvero lo si chiamerebbe amante. Invece è solo un socio in orgasmi, un praticante di safe sex, un utilizzatore di condom, nei weekend.

PET FOOD Mangime. Chiamandolo in italiano si capirebbe meglio che non stai alimentando un famigliare bensì una bestia. Chiamandolo in italiano si frenerebbe l’emorragia demografica: oggi centinaia di migliaia di donne in età riproduttiva sono convinte che il loro beagle o il loro labrador o il loro terrier o il loro schifosissimo, sommamente ignobile chihuahua, sia loro figlio, e infatti per chiamarlo gridano “Vieni dalla mamma!” e mamme vere non diventeranno mai perché tanto un figlio ce l’hanno già, non c’è ragione di farsi venire dentro da un bipede meno peloso e meno fedele.

SPENDING REVIEW Lo capiscono tutti che chiamare spending review ciò che dovrebbe chiamarsi taglio della spesa è una truffetta linguistica, un modo per non tagliare alcunché. Lo capiscono talmente tutti che potrebbe spiegarlo Massimo Gramellini, e allora è inutile spiegarlo.

START-UP Nuova ditta. Quando le nuove ditte si chiamavano nuove ditte, in italiano, fallivano più raramente. Il tasso di mortalità delle giovani aziende anglofone è talmente alto da aver suscitato un sito apposito, www.startupover.com, dove si possono leggere notizie come “WiGo: l’ennesima start-app passata da 14 milioni di dollari di valutazione a 0 in pochi mesi” oppure “ChicChickClub: la triste storia di un fallimento fashion” o, ancora, “Lightsquared, ovvero come dare fondo a 265 milioni di dollari senza risultati”. I superstiziosi sono liberi di immaginare che l’inglese non porti tanto bene.

STREET ART Arte pedagogica inflitta all’uomo della strada, senza pietà e senza possibilità di contraddittorio. La street art è più conformista della pittura da salotto, a cominciare dal nome anglosferico e proseguendo con l’inevitabile messaggio. Esisteranno murali anti ambientalisti, anti animalisti, anti omosessualisti o anti immigrazionalisti, purtroppo nessuno li ha mai visti.

STREET FOOD Cibi insalubri (amidi, fritti…) e però economici e pertanto apprezzatissimi nell’odierna società del low cost (vedi). A Milano, sotto i grattacieli asiatizzanti di Porta Nuova, all’ora di pranzo si notano gruppi di impiegati consumare street food seduti su muretti e panchine, immagine che riattualizza la vecchia espressione “essere sul lastrico”.
TICKET Tassa. O, per i più pedanti, contributo sanitario. E’ uno dei primissimi esempi di lingua anglo-biforcuta, partorito alla fine degli anni Settanta dal ministro bergamasco Filippo Maria Pandolfi, democristiano dossettiano ergo cattocomunista ergo estimatore della neolingua orwelliana. La parola ticket in inglese d’Inghilterra significa biglietto, nell’inglese coloniale d’Italia è diventata la quota da versare per accedere a esami e visite mediche. Può darsi sia giusto pagare ma non è giusto che oltre ai soldi il governo chieda l’anima: va bene il danno della tassa, non la beffa del neologismo mistificatorio. In quei remoti Settanta milioni di malati e di vecchi cominciarono a sperimentare l’esilio in patria, dovettero umiliarsi a pronunciare una difficile parola straniera e infatti per anni pronunciarono tic.

WELCOME DAY La giornata di presentazione dei corsi universitari, così le matricole possono sognare di trovarsi a Oxford, Cambridge, Princeton, dimenticandosi per qualche ora di essere invece a Catania, Macerata, Bari, Sassari, Teramo, Forlì.

WELFARE Il benessere delle generazioni passate pagato col malessere delle generazioni future. Sistema antisociale e antievangelico in cui i morti seppelliscono i vivi. Per mantenere sopportabile il suo peso sarebbe bastato continuare a parlare di assistenza sociale: le parole inglesi costano.

domenica 17 aprile 2016

Da idolo a irrilevante strega: nemmeno la femminista può criticare i trans



Una giovane Germain Greer 
Gli insulti a Germaine Greer e i concerti politicamente corretto di Springsteen di Simonetta Sciandivasci | 17 Aprile 2016  - ilfoglio.it


Roma. “Sono sempre stata interessata agli uomini per via del sesso, ma creore 06:15do che qualsiasi donna sana di mente vorrebbe amare le donne, giacché amare gli uomini è un disastro”.  Quando parlava e pensava così, Germaine Greer – femminista tra le più influenti della generazione che tentò di formulare un pensiero per la differenza – non veniva ostracizzata da Cambridge, né vilipesa su radio, tv, social network, giornali, sit in. Ultimamente, però, osa affermare che le transessuali non sono vere donne: per esserlo è necessario “ritrovarsi i pantaloni zuppi di sangue a 13 anni”. Che la transfobia non esiste. Che il matrimonio tra due donne non è giusto, è unfair: questa è l’ultima bomba, lanciata qualche giorno fa durante una trasmissione tv australiana, in cui era stata invitata nella speranza che abiurasse e mondasse l’intero paese (che lei ha definito “un’immensa casa di riposo”) dalla colpa di aver dato i natali a una – citazione da Twitter – “sessista, misogina, ignorante, irrilevante vecchia strega”.




La femminista Germaine Greer


Non c’è stato niente da fare: non è servito neanche darla in pasto a un’intervistatrice che tentava di disinnescarla principiando ogni domanda con “sa, ero una sua fan”, come se a Germaine Greer sia mai fregato di conquistare le masse e mettere al sicuro le royalties dei suoi libri propinando sbobbe pol corr. Figuriamoci: per lei la sicurezza è “la negazione della vita”. E’ sempre andata di traverso a qualcuno, pure alle femministe che battagliavano per la parità, mentre lei insisteva che parificarsi all’interno di un paradigma maschile non sarebbe servito a nulla: era necessario crearne uno specifico, femminile. Per questo criticò aspramente la psicanalisi che “ha un padre, ma non una madre” e avvertì che le donne sarebbero rimaste vittime del divorzio.

Su Q&A, la trasmissione che ha riacceso le polemiche sul suo conto, Greer non ha detto che il matrimonio tra donne è ingiusto: questo è quello che si legge in giro (dal Guardian a Pinknews, qualunque cosa sia). Greer ha detto che se un uomo che sia stato per 40 anni marito e padre, all’improvviso riveli di essere sempre stato (o di essersi sentito: sappiamo che essere significa sentirsi, secondo l’ultimo dizionario etico) una donna, i conti non tornano: era una donna che ha sposato una donna senza rendersene conto? E sua moglie non è una “utilizzata finale”? L’obiezione all’amore gay non c’entra: Greer ha voluto rilevare che a fare le spese delle mescolanze LGBT, così come da qualsiasi non differenziazione di genere, sono e saranno le donne, derubate ancora del loro specifico e ridotte a nulla più che “uomini senza pene”.

“I trans sono orrende parodie femminili”, disse una volta, ripagata da un’inimmaginabile gogna mediatica. Poi è arrivata Caitlyn Jenner a splendere sotto le luci della ribalta: è bastata una gnocca a farci dimenticare quei corpi deformati o troppo perfetti, ottenuti con operazioni atroci che costringono all’assunzione di farmaci per tutta la vita. Ci siamo sentiti migliori per aver patrocinato un mondo dove esiste la libertà di scegliersi una seconda nascita, che renda vip e liberi e belli e saggi come Caitlyn Jenner. La scorsa settimana, Bruce Springsteen ha annullato il concerto in North Carolina, per protestare contro il varo di una legge che blocca le norme contro la discriminazione sessuale e impone che i trans non entrino nei bagni delle donne. La legge è già stata parzialmente ritirata, poiché pure PayPal ha dato un contributo di civiltà annullando l’apertura di un suo ufficio (400 assunzioni previste) nel medesimo stato. Schierarsi dalla parte del pride LGBT assicura la fidelity card del pubblico mondiale: Bruce e PayPal lo sanno bene. A Germaine Greer, invece, sarà riservata la damnatio memoriae: peccato.