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venerdì 30 ottobre 2015

Ospedale unico, via al trasferimento dei reparti da Massa e da Carrara

Messo nero su bianco il cronoprogramma del complesso trasloco


venerdì 9 ottobre 2015

Piazza Aranci in macerie illeso l’obelisco e il Ducale

Praticamente distrutti tutti i palazzi intorno e la chiesa di San Sebastiano Quando Giorgio Strehler organizzò la festa per la Liberazione di Massa


MASSA CARRARA. Piazza Aranci è il cuore di Massa. Cuore politico, amministrativo, anche romantico. Così era ridotta la piazza nei giorni della Liberazione. Quando i reparti Alleati risalirono la via Aurelia trovarono questo spettacolo. Palazzo Ducale era praticamente illeso, come l’obelisco che sta al centro della piazza e ne costituisce il punto di fuga. Illeso anche il Duomo. Praticamente distrutti i palazzi intorno alla piazza (poi nel dopoguerra sostituiti con moderni condomini. Distrutto completamente il complesso di San Sebastiano, che riapparirà in altra sede e con fattezze moderne negli anni Sessanta, quando la ricostruzione del centro venne completata. Ultimo palazzo ad essere costruito fu il Municipio.
Non fu facile per la gente di Massa riprendere la vita normale dopo i 20 mesi di occupazione tedesca e fascista.-Prima il 25 luglio e poi l’8 settembre 1943 furono momenti di euforia, di festa, di liberazione. Con le “cimici“, ovvero il distintivo del partito nazionale fascista (Pnf) che si metteva all’occhiello, buttate nei vespasiani della città e alla stazione. Poi tornarono i Fascisti, tornò Salo. Ma il fronte era ancora lontano. La linea Sigfrido, quella installata da Kesselring sul Garigliano, resisteva.
Anche in questo caso tutto cambiò, e fortemente, quando gli Alleati entrarono a Roma. Era il 4 giugno del 1944, la città eterna è la prima capitale dell’Asse a cadere, un momento fortemente simbolico.
In pochi mesi la Quinta e l’Ottava armata sono alle porte di Massa.
Alle porte, appunto, e non a Massa. Ed il peggio deve venire. Basta vedere le date. Il 19 settembre del 1944 gli Alleati entrano a Pietrasanta. E’ l’ultimo centro della Versilia _ il giorno prima era stata liberata Forte dei Marmi _ ad essere liberato. Massa è a pochi chilometri, poco più di 10, ma resterà sotto il giogo nazista per altri 8 mesi. Un’enormità. E cosa avrebbe aspettato Massa (e poi Carrara e la Lunigiana), lo si capisce già il 16 settembre, 3 giorni prima l’ingresso in Pietrasanta.
Il 16 settembre è il giorno dell’epilogo di quella serie di fucilazioni che va sotto il nome delle Fosse del Frigido. Il prologo di quello che saranno quei mesi, con i soldati di Reder in zona, con la Decima Mas di Junio Valerio Borghese a Spezia, con le Brigate Nere attivissime a Carrara. Sarà una striscia di sangue che sembra non finire mai. O meglio finirà solo in quei giorni in cui le prima avanguardie della Buffalo, quei soldati neri, si affacceranno a piazza Aranci, fino a poche ore prima (e anche dopo) bersaglio dei cannoneggiamenti dei reparti tedeschi.
I patrioti apuani guidati da Pietro Del Giudice, una figura di frate combattente che non ha trovato nella storia patria la giusta considerazione, continueranno a rastrellare le zone della montagna dove i Tedeschi avevano realizzato quella formidabile striscia difensiva che era la linea Gotica (o Verde). Nelle ultime, concitate fasi della liberazioni di Montignoso e poi di Massa, i dati ufficiali forniti dagli stessi Patrioti apuani parlano di dieci Patrioti morti.Poi sarà festa, giusta e vera festa. Certo i lutti non potranno essere dimenticati, ma anche se in un città distrutta si tornerà a vivere. Il segnale più vero, netto, popolare, sarà il ritorno a ballare. Non fu blasfemia nei confronti dei morti e di chi non c’era più, magari ancora prigioniero in Germania o in India o in Texas o in Russsia (strano destino per il regio Esercito, aveva prigionieri su due fronti contrapposti della guerra). Il ballo come autentica espressione popolare di gioia.
Massa fece come Milano. Qui il primo prefetto del Cnl ordinò che la Liberazione fosse festeggiata con un ballo. La cosa riuscì benissimo. Del resto ad organizzarla,


mercoledì 7 ottobre 2015

Dissesto idrogeologico, pronti 400 progetti per colline e montagne. Ma i soldi ci sono solo per le città


da "ilfattoquotidiano.it"

Anche nella difesa del territorio ci sono figli e figliastri: i primi sono i capoluoghi e le aree urbane, i secondi sono le periferie, gli invasi e i bacini dei fiumi, il reticolo dei canali. Così centinaia di piani di sistemazione di aree verdi dell'Anbi (l'associazione dei consorzi di bonifica) restano bloccati

Mentre lo Stato non riesce a difendere il territorio dalle piene, ci sono 405 progetti per arginare il dissesto idrogeologico che restano senza finanziamenti nonostante siano quasi tutti cantierabili, preparati in 17 regioni dall’Anbi, l’Associazione dei consorzi di gestione del territorio e delle acque per un importo di quasi 1 miliardo di euro. Massimo Gargano, direttore Anbi, spiega a ilfattoquotidiano.it di che tipo sono i progetti di cui si parla. In Calabria, per esempio, ce n’è uno per il torrente Saro che non scorre più solo tra gli agrumeti, ma tra capannoni e paesoni, e quando piove forte piomba con una velocità 5 volte superiore a quella di qualche anno fa. Ovvio sia altissimo il rischio che straripi e spacchi tutto, come è successo sempre in Calabria 20 giorni fa con due torrentelli pieni di terra per la cui manutenzione le Province non hanno mai mosso un dito. Il progetto di risagomatura e scavo del Saro costerebbe appena 4 milioni e mezzo di euro. Che non saltano fuori. In Umbria basterebbe 1 milione e 800mila euro per mettere in sicurezza i torrenti Topino e Chiona costruendo le vasche di “laminazione”, bacini di contenimento delle acque esondate, come è stato fatto un anno fa con successo a Orvieto su un’area di 70 ettari. Ma anche in questo caso i soldi non si trovano.

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L’Anbi non può finanziare direttamente queste opere perché se lo facesse, trattandosi di interventi straordinari, sarebbe accusata di distrazione di fondi. I finanziamenti dovrebbero essere stanziati dalle Regioni e in parte dal ministero delle Infrastrutture che però inseguono il libro dei sogni. In pratica anche nella difesa del territorio ci sono figli e figliastri.

I figli sono le aree urbane e le grandi città, su cui il governo e le istituzioni stanno concentrando tutte le attenzioni. In maniera maldestra, peraltro, sull’onda delle emergenze e delle emozioni del momento, come ha raccontato il Fatto Quotidiano per la vicenda del ponte di Olbia, ricostruito nello stesso posto di prima e male, solo per non contraddire le disposizioni delle carte bollate. Per i figli il governo non riesce a spendere neanche ciò che vorrebbe spendere, cioè i 9 miliardi approvati dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di cui è stata utilizzata solo una parte esigua (50 milioni). Le opere approvate dal Cipe non si fanno per il semplice motivo che non si possono fare, cioè i soldi non sono spendibili, nonostante tutte le buone intenzioni, perché mancano i progetti esecutivi.

Nello stesso tempo non vengono finanziati i progetti veri, tipo quelli dell’Anbi, per i quali far partire i lavori sarebbe relativamente semplice e spedito. Questi progetti non partono perché sono i figliastri: le aree periferiche di collina e di montagna, gli invasi e i bacini dei fiumi, il reticolo dei canali nelle campagne. Con la difesa del territorio il governo si sta in pratica comportando come l’ammalato che dà la colpa del suo male al termometro che segna la febbre. Moltiplica le attenzioni sugli effetti del dissesto e sorvola sulle cause. Forse perché ricostruire un ponte in mezzo a una grande città fa notizia, assicura titoli sui giornali e servizi in tv e porta voti. Mentre un’opera paziente di risistemazione del territorio nelle campagne, in collina o in montagna, per quanto utile rischia di passare sotto silenzio.

Con sedi e uffici sparsi su tutto il territorio nazionale, l’Anbi non è un’organizzazione priva di difetti e soprattutto nel sud, in particolare in passato, molti consorzi erano semplici carrozzoni mangiasoldi. Da qualche anno sta però cercando di esportare su tutto il territorio nazionale le buone pratiche sperimentate in alcune regioni del Centro Nord, dal Veneto all’Emilia a parti della Toscana. Di recente, per esempio, la realizzazione di bacini di espansione nel Trevigiano e in Val d’Arda, nell’area di un affluente del Po nel Piacentino, hanno messo quelle zone in sicurezza, al riparo dalle alluvioni. Nei consigli dei consorzi di bonifica ci sono anche rappresentanti del territorio, a partire dai sindaci, e se questo di per sé non è garanzia di funzionamento efficace e corretto, assicura comunque un legame più diretto con le esigenze delle zone interessate. E dovrebbe permettere scelte meno calate dall’alto e impastoiate di logiche burocratiche di quelle che hanno dato il meglio di sé con la ricostruzione del ponte di Olbia, causa di due alluvioni in 3 anni.

venerdì 2 ottobre 2015

La foto storica: quando le donne si ribellarono ai nazisti

LA MEMORIA

La foto storica: quando le donne si ribellarono ai nazisti

Il clamoroso no allo sfollamento di Carrara del 7 luglio 1944



MASSA CARRARA. Il racconto della Liberazione _ come abbiamo spiegato anche nelle foto _ ha un andamento fatto di flash back. Non era possibile, del resto, di fronte ad una foto non perfetta tecnicamente ma molto suggestiva, non ricordare quel famoso 7 luglio del 1944. Quando le donne di Carrara si ribellarono all'ordine di sfollamento deciso dal comando tedesco.
I Nazisti davano alla popolazione due giorni di tempo per andarsene. Prendere le loro poche cose e andarsene, destinazione la pianura padana dalle parti di Parma,. I tedeschi non volevano fra i piedi la popolazione civile, dal momento che gli Alleati stavano risalendo la Toscana e l'ultimo baluardo restava la linea Gotica.
L'iniziativa editoriale del nostro giornale trova riscontro tra la gente
Carrara era città al limite del collasso. Decine di migliaia di sfollati si erano riversati nel suo centro. Talmente tanta gente da ospitare che c'è chi dormiva nelle vetrine dei negozi. Gente da nutrire, curare, soprattutto controllare. Il comando tedesco era consapevole che questa massa di persone non potesse che supportare i partigiani che si trovavano suo monti, ma che spesso scendevano a valle, anche con una certa spregiudicatezza.
E fu proprio il comitato di liberazione nazionale, presente a Carrara, che ordinò alle donne di opporsi al bando. Al grido di «A piazza delle Erbe» luogo di incontro quotidiano per fare quel poco di spesa che era possibile, le mamme e le mogli di Carrara si ritrovarono faccia a faccia con i Mauser tedeschi. Fra le prime donne ad opporsi furono Ilva Babboni, Nella Bedini, Renata Bacciolla, Lina Boldi, Lina Del Papa, Cesarina e Mercede Menconi, Odilia Brucellara, Renata Brizzi e Elena Pensierini.
E' una marea di donne quella che parte da parte da piazza delle Erbe per presentarsi, anche armate di cartelli, di fronte al comando tedesco di città in via Garibaldi.
Parlamentano _ loro donne _ cogli ufficiali tedeschi. Che alla fine prendono tempo, non decidono. O perlomeno sembra così. Alla fine, lasciato il comando, scoprono nuovi manifesti che ribadivano quell'ordine famigerato. E si rimisero a manifestare, ad annunciare che sarebbero morte di fame _ coi propri figli piuttosto che lasciare la città.
Alla fine, era l'11 luglio del 1944, gli ufficiali della Vermacht cedettero. L'ordine non fu ufficialmente ritirato, ma di fatto non venne applicato. Ma l'occupazione durò ancora a lungo. Passerà un'estate e ancora un inverno prima che Carrara verrà liberata. Ma le giornate di piazza delle Erbe resteranno un esempio indelebile di resistenza da parte delle donne.
Soprattutto confermeranno il carattere forte, quasi eroico delle donne di Carrara.

da "iltirreno.gelocal.it"