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martedì 30 giugno 2015

30 GIU 2015 16:55 1. IL PIÙ BRILLANTE POLITOLOGO ITALIANO SISTEMA PER LE FESTE QUESTO MONDO DI MERDA: ‘’OBAMA E’ UN INCAPACE DA QUATTRO SOLDI, IL PAPA UN FURBACCHIONE E RENZI NON LO CONOSCO E NON DESIDERO CONOSCERLO. L’ITALIA È UNA SOCIETÀ IN PUTREFAZIONE” 2. “SOLO UNO COME ROMANO PRODI POTEVA PENSARE CHE ALLARGANDO L’UNIONE A PAESI INCONSISTENTI SI POTESSE VEDERE EDIFICATO IL MONDO NUOVO. E SOLO IN SEI, SETTE STATI POTEVANO PERMETTERSI DI COSTRUIRE UNA MONETA UNICA E DI PROTEGGERLA DAI MERCATI DEL MONDO SOTTOSVILUPPATO. INVECE, ABBIAMO FATTO UNA FESSERIA: MESSO TUTTI DENTRO E ATTESO CHE CI INVADESSERO CON LE LORO MERCI (E LA LORO CULTURA E LE LORO ARMI)” 3. “SE L’OCCIDENTE CAPIRÀ CHE LA SUA CIVILTÀ E' IN PERICOLO, IMPUGNERÀ LA SPADA. IN SETTE GIORNI SGOMINERÀ L'ISIS. AI PIRATI MICA SI FACEVA IL PROCESSO FINO IN CASSAZIONE? LI SI APPENDEVA A UNA FORCA. MI MERAVIGLIO CHE QUESTA DECISIONE, COSÌ INELUTTABILE, VENGA ANCORA TENUTA IN AMMOLLO. POSSIAMO SOLO FARCI DEL MALE SE ASPETTIAMO”

Antonello Caporale per il “Fatto Quotidiano”

GIOVANNI SARTORI LA CORSA VERSO IL NULLAGIOVANNI SARTORI LA CORSA VERSO IL NULLA
“Ho solo quattro peli sulla lingua. Se lei riuscirà a schivarli ci divertiremo ”. Giovanni Sartori ha superato una guerra mondiale, il ’68 e tre polmoniti virali.
È il più brillante politologo italiano, il più attrezzato nell’uso della parola come falce espressiva, il più disinibito nel piacere con cui aggroviglia e riduce a cenere i protagonisti del nostro tempo, al di qua e al di là delle Ande.

L’incontro domenicale è nella sua casa romana: “Come mi trova? Un po’rincoglionito, vero? Guardi il bastone, purtroppo ora mi serve. Guardi il medaglione messicano che mi hanno affibbiato. Con i messicani vado proprio d’accordo. E guardi questo dono del principe delle Asturie, non male eh?”.
I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORII NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI

La trovo in forma.
Le polmoniti, tre di seguito, mi stavano accoppando e lei mi trova in forma. Bel pezzo di bugiardo.
I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORII NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI

Le rispondo con una sua fantastica espressione: siamo dei bipedi implumi. Adulatori impenitenti.
L’ho usata in questo ultimo libro. Gli uomini sono animali strani. Due piedi e senza piume. Questo libro avrei voluto titolarlo La corsa verso lo sfascio. Poi mi hanno convinto a cambiarlo (La corsa verso il nulla. Dieci lezioni sulla nostra civiltà in pericolo, Mondadori). L’editore mi aveva invitato a non pubblicarlo d’estate. Dice che in estate gli italiani leggono solo cose leggere. Gli ho risposto che allora era giunto il momento per me di provare il brivido di restare invenduto.

Siamo ignoranti.
 Spesso ignorantissimi. Non è un’esclusiva italiana, però. Prenda Obama. Frequentava alla Columbia il corso di laurea dove insegnavo. Ma non l’ho mai visto alle mie lezioni. Le sembra uno capace?
Giovanni Sartori e Isabella GherardiGIOVANNI SARTORI E ISABELLA GHERARDI

Non conosceva il professor Sartori. Avrà pensato di aggirare i corsi apparentemente infruttuosi.
Ma io avevo due corsi importantissimi per lui! Uno sulla teoria della democrazia, l’a ltro su metodo, logica e linguaggio in politica. Tu vuoi fare politica e non segui questi corsi? Gli interessava solo di essere eletto. Personaggio da quattro soldi.

La presidenza Obama è alla crisi più acuta: l’Isis.
È una guerra di religione e di civiltà. Così banale, tonda e chiara la questione. I musulmani estremisti, gli islamici incazzati vogliono annientarci. Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole. La storia è fatta di guerre ed è memore di chi impugnava le baionette. La storia è seminata dai racconti dei vinti e dei vincitori.
RENZI OBAMA E GLI ERRORI NELLA DEDICA SUL LIBRO OSPITI DELLA CASA BIANCARENZI OBAMA E GLI ERRORI NELLA DEDICA SUL LIBRO OSPITI DELLA CASA BIANCA

Se l’Occidente capirà che la sua civiltà e i suoi valori sono in pericolo, impugnerà la spada. In sette giorni li sgominerà. D’altronde ai pirati mica si faceva il processo fino in Cassazione? Li si appendeva a una forca. Mi meraviglio che questa decisione, così ineluttabile, venga ancora tenuta in ammollo. Possiamo solo farci del male se aspettiamo.

angela merkel a firenze con renzi 1ANGELA MERKEL A FIRENZE CON RENZI 1
L’Europa è quella che sa, e i suoi governanti...
Non me ne parli, non me ne parli. Solo uno come Romano Prodi poteva pensare che allargando l’Unione a Paesi inconsistenti sotto il profilo economico e politico si potesse vedere edificato il mondo nuovo. L’Occidente ha una storia recentissima, altro che millenaria, queste sono cazzate. Tre, quattro secoli al massimo. E solo in sei, sette Stati potevano permettersi di costruire una moneta unica e anche di difenderla, di proteggerla dai mercati del mondo sottosviluppato. Invece, noi abbiamo fatto una fesseria: messo tutti dentro e atteso che ci invadessero con le loro merci (e la loro cultura e le loro armi). Ecco il risultato.
giornalista spagnolo javier espinozaGIORNALISTA SPAGNOLO JAVIER ESPINOZA

L’Islam contro il Cristianesimo. Lei trova che sia una definitiva guerra di religione?
esecuzione gabbia sommersa3ESECUZIONE GABBIA SOMMERSA3
Giovanotto, sveglia! Che altro vuole che sia? Il Papa ha le sue responsabilità.

Francesco non le piace?
È un bel furbacchione. Ha detto solo parole tardive e fumose sulla strage dei cristiani in Africa. E la Chiesa è la trincea di chi si oppone al controllo delle nascite. Ma il sovrappopolamento è la più drammatica crisi del nostro tempo. Dove li mettiamo? Cosa diavolo gli diamo da mangiare?

Francesco è amatissimo.
Senta, in tutta onestà ho un pregiudizio verso gli argentini. Non me ne voglia ma è così. È un furbo in primis, e poi è argentino. Tutti gli italiani cattivi li abbiamo spediti in Argentina. Tra parentesi: non ho mai accettato una laurea ad honorem laggiù.

collare esplosivo2COLLARE ESPLOSIVO2
Professore, l’intervista si fa sempre più esposta al rischio del contrattacco...
E cosa vuole che me ne importi. A parte il fatto che ho 91 anni e guardo alla vita assaporando i mesi, non ho mai smesso di dire quel che penso. Quando scrivevo sul Corriere il caro De Bortoli (direttore che stimo) ha sempre dovuto soffrire per i miei editoriali. L’uomo soffriva e subiva.

In Italia invece c’è un gran numero di cortigiani, anche parecchio codardi.
L’Italia è una società in putrefazione, già bella che andata.

Ahi!
PRODI AL LANCIO DELL EUROPRODI AL LANCIO DELL EURO
Giovanotto, vuole verità o poesia?

Tutta la verità su Renzi.
Non lo conosco e non desidero conoscerlo. Quel che ricordo di lui è chiuso in questo evento, così capisce tutto. A Firenze, al tempo in cui lui era sindaco, mi convocano per darmi un premio molto antico e molto noto: gli Amici del Latini. È un’antica osteria, si consegna il tradizionale prosciutto.

prodi dalema veltroni ciampi visco festeggiano l'ingresso nell'EuroPRODI DALEMA VELTRONI CIAMPI VISCO FESTEGGIANO L'INGRESSO NELL'EURO
Io e mia moglie Isabella ci incamminiamo e giunti al traguardo troviamo un numero spropositato di fotografi ad attenderci. E perché mai? Mi chiedo. A un certo punto un giovanotto che non conoscevo si fa avanti e mi stringe le mani. (“Ti bacia”, ricorda ad alta voce Isabella). Mi bacia anche? Comunque sia, scattano queste foto e lui un secondo dopo scompare senza che io avessi avuto tempo di conoscere chi accidenti fosse. Perché il tizio scorda anche di presentarsi.

Bipede implume.
Poi mi hanno svelato la sua identità. Un furbetto.

È atletico, scattante.
Non vedo in giro grandi personalità. Gli italiani hanno pensato che questo ragazzo fosse l’unico in cui riporre una speranza. Devo dire, malgrado il carattere sia quello che conosciamo (e con lui ho battagliato spesso), che D’Alema è di un’altra stoffa (quando mi dettero la laurea ad Urbino, che ho accettato perché Urbino merita, c’era lui a fare la relazione e devo dire che si era letto tutto il mio libro. Una stravaganza che apprezzai).
prodi all'expoPRODI ALL'EXPO

Il declino è inevitabile?

La civiltà del suk sta prendendo piede, noi occidentali siamo immersi nei balocchi. Tenga presente che io sono sempre stato un irregolare. Mi è piaciuto moltissimo fare il preside della Facoltà di Scienze politiche a Firenze durante gli anni della contestazione studentesca. Ricordo che durante un’o c c u p a zione feci staccare l’energia elettrica. Io non pativo il freddo perché giravo con una coperta impellicciata, dono di mia madre. Gli studenti invece... Che meraviglia!

Black bloc: "Qui per lanciare pietre alla polizia, la Tav non so cos'è" L'antagonista intervistata durante gli scontri di domenica in Val di Susa. Intanto la procura di Milano chiede il giudizio immediato per i violenti del primo maggio

 Claudio Cartaldo - Mar, 30/06/2015 - 13:17 su "www.ilgiornale.it"

Si chiama Mara C., ha 19 anni e di mestiere, a quanto pare, fa la black bloc. È stata a Milano, al corteo contro l'Expo conclusosi in una guerra in cui le milizie nere hanno devastato il centro della città meneghina.







C'era anche domenica, in Val di Susa, a combattere contro la costruzione della Tav, lanciando pietre contro la polizia.
Ma lei, di cosa sia la Tav, non sa nulla: "Io - ha spiegato al Corriere - vado dove mi chiamano". L'importante è la violenza, l'adrenalina, la lotta. Non il perché.
Domenica non era preparata per la guerriglia. Ma non si è tirata indietro: è andata comunque in prima linea, i suoi compagni le hanno consegnato poi una maschera anti-gas per coprirsi il volto dai lacrimogeni lanciati dalla polizia. "Io sono di Palermo - racconta Mara al giornalista -, ho perso madre, padre e la mia storia". Qualche hanno fa è arrivata a Roma, senza sapere cosa fare. Vive "in giro". E in giro si diverte a partecipare ai cortei dei black bloc. "Sabato - continua Mara - due che conosco mi hanno chiesto se mi andava di venire qui in Piemonte. Ho detto di sì, anche se non ho capito bene a fare cosa, della Tav io non so niente. Siamo partiti in pullman e mi hanno spiegato che bisognava attaccare la polizia. Che dovevo lanciare le pietre, ma non i petardi perché non sono capace. La prossima volta lo farò anch’io".
Va solo dove può lanciare pietre contro la polizia. Parole, queste, che dovrebbero essere lette da chi difende e giustifica i "giovani antagonisti" che da anni distruggono le città italiane. Non c'è nessun ideale dietro, se non quello della guerriglia. "Noi andiamo a tirare le pietre dove ci chiamano - conclude - andiamo ad aiutare i compagni. Loro ci stanno vicini, ci dicono dove passare per non farci prendere, ci danno il Maalox per combattere gli effetti dei gas".
Intanto, il pm di Milano Piero Basilone, a quasi due mesi dalla manifestazione contro Expo, ha chiuso le indagini a carico di cinque antagonisti arrestati in flagranza e ha chiesto al gip il giudizio immediato. L'accusa che pende su di loro è quella di resistenza a pubblico ufficiale aggravata dall'uso di armi improprie come mazze, bastoni e pietre. Tra gli arrestati, quattro sono ancora detenuti nel carcere di San Vittore: Jacopo Piva e Anita Garola, milanesi di 23 e di 33 anni; Davide Pasquale, 32enne di Alessandria, e Mirko Leone, un lodigiano di 27 anni. E poi c'è Heidi Panzetta, 42 anni, che ha ottenuto gli arresti domiciliari. Nel frattempo i carabinieri e gli agenti della Digos stanno esaminando tutti i filmati registrati durante la follia NoExpo. Al momento ci sono una ventina di persone indagate a piede libero, tra loro 5 francesi e 14 greci.
Anche loro probabilmente, come Mara, non sapevano cosa fosse Expo.

lunedì 29 giugno 2015

INNO ALLA LIBERAL-DEMOCRAZIA DEL PROF. GIOVANNI SARTORI


TUTTA COLPA DI TELEVISIONE E INTERNET: POCO PENSIERO E TROPPE IMMAGINI CANCELLANO I CONCETTI – NEL SUO NUOVO SAGGIO GIOVANNI SARTORI SPIEGA PERCHÉ I NUOVI MEDIA SONO NEMICI DELLA DEMOCRAZIA

“La politica è stata la forza a discrezione del più potente, finché non è stata inventata la liberal-democrazia, che è, ecco il punto, il prodotto di un pensiero astratto che capisce senza vedere, diciamo a occhi chiusi”…

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Anticipazione da “La corsa verso il nulla” di Giovanni Sartori, pubblicata dalCorriere della Sera

GIOVANNI SARTORI LA CORSA VERSO IL NULLAGIOVANNI SARTORI LA CORSA VERSO IL NULLA
Nei miei scritti giovanili sulla democrazia usavo ancora le categorie di Immanuel Kant, per il quale i sistemi democratici non potevano esistere senza ideali, senza un «dover essere», intendendo un dover essere irrealizzabile, ma pur sempre alimento essenziale di una democrazia. Più tardi mi sono imbattuto in Isaiah Berlin e ne ho adottato le dizioni: «libertà negativa» e «libertà positiva». Ma nemmeno queste dizioni mi convincevano del tutto, perché la libertà positiva di Berlin sdoganava il «perfezionismo democratico» che avevo sempre combattuto, e il cui inevitabile esito ho sempre ritenuto fosse il fallimento. Così, nei miei scritti più recenti la mia dizione è diventata, da un lato, «democrazia e/o libertà protettiva» o «democrazia e/o libertà difensiva» e, dall’altro, «democrazia e/o libertà distributiva».

Dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476, il suo territorio fu gestito, salvo alcune eccezioni, da vari aggregati di pretoriani. Successivamente, nell’Alto Medioevo, la nostra civiltà si racchiuse nei monasteri fortificati, nei quali tutto il potere era affidato al Superiore. Il Basso Medioevo, tra l’XI e il XV secolo, vide lo sviluppo delle città marinare, fermo restando che anche lì la politica era un dominio riservato.

I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORII NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
Fino a quel momento si era sempre dato per scontato che il potere politico fosse interamente e senza alcun vincolo nelle mani dei re e del loro séguito di principi, duchi, marchesi e signorotti. Il sovrano poteva a suo piacimento imprigionare chi voleva. Insomma, la politica era soltanto forza: la forza di chi era o diventava il più forte. Gli Stati passavano di mano in mano con le guerre, con le alleanze tra i potenti del momento e con i matrimoni.

Il punto è, quindi, che solo da una manciata di secoli noi cittadini abbiamo uno Stato che non è semplicemente la forza del più forte. Quando è accaduto? Quando è iniziato lo Stato come lo conosciamo oggi? Direi dalla fine del Seicento con John Locke e ai primi dell’Ottocento con Benjamin Constant. In seguito vi furono le rivoluzioni del 1830, che ebbero come conseguenza gli statuti, le Carte che i vari sovrani furono costretti a concedere.

E il testo che segna l’avvento e definisce la struttura dello Stato come noi oggi lo conosciamo fu De la Liberté des Anciens comparée à celle des Modernes , che contiene il celebre discorso pronunciato da Constant nel 1819, nel quale vengono contrapposti due diversi concetti di libertà: una praticata dagli antichi e l’altra presente nelle società moderne.

I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORII NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
Insomma, la politica è stata la forza a discrezione del più potente, finché non è stata inventata la liberal-democrazia, che è, ecco il punto, il prodotto di un pensiero astratto che capisce senza vedere, diciamo a occhi chiusi.

L’ homo sapiens deve tutto il suo sapere alla capacità di astrazione. Le parole che articolano il linguaggio umano sono simboli che evocano anche «rappresentazioni», e cioè richiamano alla mente raffigurazioni, immagini di cose visibili e che abbiamo visto. Ma questo accade soltanto con i nomi propri e con le «parole concrete» (dico così per semplicità espositiva), e cioè con parole come casa , letto , tavola , carne , gatto , moglie e simili; il nostro vocabolario, diciamo, pratico.
I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORII NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI

Altrimenti, quasi tutto il nostro vocabolario conoscitivo e teoretico consiste di «parole astratte», che non hanno nessun preciso corrispettivo in cose visibili e il cui significato non è riconducibile a — né traducibile in — immagini. Città è ancora «visibile», ma nazione , Stato , sovranità , democrazia , rappresentanza , burocrazia non lo sono: sono concetti astratti, che designano entità costruite dalla nostra mente.

I cosiddetti «primitivi» sono tali perché nel loro linguaggio primeggiano (fabulazione a parte) le parole concrete, il che dà comunicazione, ma pochissime capacità scientifico-conoscitive. E, di fatto, i primitivi sono fermi da millenni al piccolo villaggio e all’organizzazione tribale. Per contro, i popoli avanzati sono tali perché hanno acquisito un linguaggio astratto — che è anche un linguaggio a costruzione logica — che consente la conoscenza analitico-scientifica. Intendiamoci, alcune parole astratte (non tutte) sono traducibili in immagini, ma si tratta sempre di traduzioni che sono soltanto un surrogato infedele e impoverito del concetto che cercano di «visibilizzare».

I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORII NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
Dunque, e in sintesi: tutto il sapere dell’ homo sapiens si sviluppa nella sfera di un mundus intelligibilis (di concetti, di costrutti mentali) che non è percepito dai sensi. E il punto è questo: la televisione inverte il progredire dal sensibile all’intelligibile e lo rovescia in un ritorno al puro e semplice vedere. La televisione e Internet producono immagini e cancellano i concetti, ma così atrofizzano la capacità di capire.

Ritorniamo alla diade originaria di libertà negativa e libertà positiva, che avevo abbandonato sostituendola con libertà difensiva e libertà distributiva. Quest’ultima, caduta l’ideologia marxista, è attualmente travestita da comodo «globalismo». Per questo, oggi insisto sempre più sulla nozione di «libertà protettiva» o «libertà difensiva».

I NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORII NOVANTANNI DI GIOVANNI SARTORI
La partita sarebbe perduta se la libertà protettiva non si fondasse sul principio dell’ habeas corpus , intelligibile anche per l’ homo videns di oggi, visto che l’immagine è trasparente anche in gergo infantile: « Hai diritto al tuo corpo ». Il che equivale a dire che nessuno ne può disporre «contro la tua volontà e senza il tuo consenso». È il solo diritto solitario, tutto sommato, di cui disponiamo. La mia libertà è condizionata, in vita, dalla libertà dell’altro e deve rispettare la libertà altrui (e viceversa, s’intende). Ma, in morte, dobbiamo essere liberi di morire come vogliamo.

Dunque, la politica è stata una forza a discrezione del più potente (del momento) finché non è stata inventata la liberaldemocrazia. Che, insisto, è il prodotto del pensiero astratto. La partita non è perduta se sapremo contrapporre all’appetito crescente della democrazia distributiva e alla sempre più gonfiata retorica che l’accompagna la democrazia protettiva dell’ habeas corpus .

lunedì 22 giugno 2015

Saluto a Michele Santoro



www.affaritaliani.it
santoro 1
di Gianni Pardo
pardonuovo@myblog.it
Pare che Santoro smetterà di condurre talk show politici. Di lui scrive Aldo Grasso: “Santoro sta vivendo un momento di crisi: la sua tv ha sempre bisogno di un nemico contro cui accanirsi (e Berlusconi gli ha assicurato anni e anni di prosperità)(1)” e ora un nemico all’altezza gli manca. Personalmente devo dire che è proprio questo “accanirsi” la ragione per la quale non ricordo quand’è stata l’ultima volta in cui ho assistito ad uno dei suoi spettacoli. Sempre ammesso che una volta vi abbia assistito. Grasso scrive che recentemente ha cercato di colpire Matteo Renzi, ma neanche in questo caso io ho assistito – o assisterei – ad uno dei suoi spettacoli: perché non m’importa chi sia il bersaglio, m’importa che nessuno sia preso a bersaglio.
Naturalmente ciò non significa che sia vietato combattere qualcuno, in politica o in qualunque altro campo: significa soltanto che l’odio cieco e maniacale produce in me il ribrezzo della cancrena. Ne sento quasi il puzzo.
Quando è giustificato, l’odio è un possente sentimento che ha i suoi quarti di nobiltà. Non so se l’odio di Annibale per Roma fosse giustificato, ma possente era tanto, da incutere il rispetto dei grandi fenomeni naturali. Quando invece diviene passione maniacale, e scade al livello del risentimento, della reazione da impotenza, si trasforma involontariamente nella certificazione della grandezza – seppure criminale – dell’altro.
Nietzsche, che come pensatore ha certo i suoi limiti, ha colpito nel segno quando ha parlato del “ressentiment” come di una delle caratteristiche degli inferiori.
L’odio fanatico è una forma di mitizzazione dell’altro, mentre in realtà, per rispondere adeguatamente ad un colpevole che merita la più severa sanzione, non è necessario chiudersi alla comprensione e perfino al riconoscimento dei pochi meriti. Un esempio emblematico: Adolf Hitler. Ecco un uomo che ha meritato di morire fra i tormenti più sadici inventati nel Medio Evo, e su ciò molti sarebbero d’accordo. Ma se poi uno dicesse che, nella sua mentalità paranoide, egli voleva veramente il trionfo del popolo tedesco, e la sua felicità; che amava veramente l’arte, in particolare l’architettura; che disponeva di un carisma eccezionale, capace di impressionare praticamente chiunque venisse in contatto con lui (ma non Francisco Franco, naturalmente); che era in anticipo sui tempi, quanto a retorica tribunizia e all’uso dei media, ecco dipingersi sulla faccia degli ascoltatori un sentimento di disagio: “Come, dici qualcosa di positivo del Führer?” Si badi, non: “Era proprio così, quell’uomo?”, ma: “Anche ad essere la verità, come osi dirla?”.
Quando si odia, bisogna reprimere le manifestazioni più colorite di quel sentimento. Non c’è ragione di mettere in dubbio il sincero amore iniziale di Hitler per il popolo tedesco, non c’è ragione di negare il suo comportamento onorevole di soldato durante la Prima Guerra Mondiale, caso mai bisogna servirsi di queste cose per invitare tutti a  diffidare di chi viene a proporre follie in seguito alle quali saremo tutti felici, un Herrenvolk.
La gente non comprende che si possa condannare a morte qualcuno pur vedendone i piccoli meriti – come io farei, senza esitazione, nel caso di Hitler – o i grandi meriti, come nel caso del Caravaggio o di Althusser, colpevoli di omicidio. Fra l’altro, spesso i grandi crimini si accompagnano ad una insufficiente sanità mentale. Lo stesso Hitler per esempio – da sempre un frustrato a causa del suo fallimento come pittore, e del suo rapporto malsano con le donne, alla fine era anche totalmente paranoico. Se fosse stato sano di mente avrebbe certo limitato le proporzioni della sconfitta tedesca, come aveva fatto il Kaiser poco meno di trent’anni prima.
Ecco perché non mi piacerebbe chi. Immancabilmente, ogni settimana attaccasse a testa bassa Hitler. Al riguardo non si ha bisogno di un Santoro, ma di un von Stauffenberg. E soprattutto attaccare Berlusconi dalla televisione di Stato, fruendo della libertà di parola e di tutte le garanzie repubblicane, sembrava miserabile. O Berlusconi era Hitler, e allora bisognava complottare per ucciderlo, o era soltanto un Primo Ministro, e andava criticata la sua azione politica, senza scadere a chiedersi se portasse le scarpe col rialzo interno. Questo è un comportamento da menti volgari.
L’impegno è quello di non giudicare tanto negativamente qualcuno da scadere nel ressentiment. Dunque bisognerà dire qualcosa di positivo anche riguardo a Michele Santoro, ma l’impresa è difficile, per me, perché non ho mai assistito a uno dei suoi spettacoli. Dicono in molti – e non c’è ragione di dubitarne - sia stato un grande professionista e un grande demagogo, fino ad essere l’eponimo di un certo tipo di trasmissione televisiva. Tanto di cappello, dunque. Chi arriva primo in qualunque corsa, inclusa quella nei sacchi, merita l’applauso. Ma se i sacchi sono quelli della spazzatura, ci si permetta di applaudire da lontano.

Giampaolo Pansa: appesero Mussolini perché mancava la tv


Giampaolo Pansa
Giampaolo Pansa
Vi siete mai domandati perché nell’aprile 1945 il vertice del Pci decise di appendere a Piazzale Loreto i cadaveri di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e di qualche gerarca della Repubblica sociale? Con il trascorrere degli anni, ne sono passati ben settanta, gli storici e i politici hanno offerto molte spiegazioni di quella scelta barbara che qualche leader della Resistenza, come Ferruccio Parri, il numero uno del Partito d’Azione, definì come un esempio ributtante di «macelleria messicana». Ma tutte le ipotesi sono, o sembrano, aperte e spesso in contraddizione.
Credo che esista un’unica certezza. La decisione venne presa da Luigi Longo e da Pietro Secchia, i comandanti delle Brigate Garibaldi nell’Italia da liberare. Dopo aver interpellato il leader del Partito comunista, Palmiro Togliatti, ancora fermo a Roma. Ma perché la presero? Gli storici propendono per un’ipotesi: era l’unico modo per dare sfogo alla rabbia di una parte dei milanesi che voleva vedere il Duce accoppato e appeso come una bestia da squartare. Uno spettacolo che serviva anche a spargere il terrore tra i fascisti repubblicani ancora in libertà.
Tuttavia in questi giorni emerge un’altra spiegazione, assai bizzarra. La propone un giornalista che cerca di farsi strada nel terreno impervio della guerra civile. È Aldo Cazzullo che l’ha presentata nella propria rubrica su Sette, il periodico del Corriere della Sera. La sua tesi è la seguente. Nell’Italia del 1945 non c’era la televisione. Per far sapere che il Duce era morto, non esisteva altro modo che mostrarlo appeso ai rottami del distributore di Piazzale Loreto.
Conosco bene Cazzullo. È un bravo giornalista, sempre attratto dalla storia contemporanea. Era accanto a me a Reggio Emilia nell’ottobre del 2006 quando venni aggredito da una squadra arrivata da Roma su mandato di Rifondazione comunista per impedire un dibattito su un mio libro revisionista. Il comportamento di Aldo fu esemplare. Invece di scappare dall’Hotel Astoria come fece qualcuno, se ne rimase lì tranquillo, aspettando che la buriana finisse. Subito dopo cominciammo a discutere.
Adesso ha pubblicato con Rizzoli una storia della Resistenza. Il suo lavoro dovrebbe dimostrare che la guerra partigiana non fu soltanto un affare dei comunisti. È una verità conosciuta da sempre. Allo stesso modo sappiamo che l’attore principale della nostra guerra civile fu il Pci, grazie alle bande Garibaldi, le più numerose, le meglio armate e le più combattive.
È curioso che a ricordarlo sia proprio il sottoscritto, autore di un libro come Il sangue dei vinti. Quel lavoro rivelava la sanguinaria resa dei conti sui fascisti sconfitti. Attuata dopo il 25 aprile 1945 quasi sempre dai partigiani rossi. Il sangue dei vinti venne messo all’indice da tutta la pubblicistica di sinistra. Si disse persino che l’avevo scritto per ingraziarmi Silvio Berlusconi. In compenso il Cavaliere mi avrebbe fatto ottenere la direzione del Corriere della Sera!
L’insieme delle vendette ebbe come spettatori entusiasti, e talvolta come esecutori, anche tanti italiani che per vent’anni erano stati fascisti e avevano applaudito i discorsi di Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia. Ecco un’altra verità che non amiamo ricordare. Non piace neanche a Cazzullo. Lui arriva a definirla «la solita tiritera». Ma non è così. La grande folla accorsa a piazzale Loreto, per sputare sui cadaveri di Mussolini e della Petacci, nei venti mesi della guerra civile si era ben guardata dall’uscire di casa.
Osservata con uno sguardo neutrale, la Resistenza fu una guerra condotta da un’esigua minoranza di italiani che si opposero a un’altra minoranza anch’essa esigua, quella dei fascisti decisi a combattere l’ultima battaglia di Mussolini. Questi potevano contare sul sostegno determinante dell’esercito tedesco. Mentre i partigiani avevano soltanto l’appoggio cauto degli angloamericani che risalivano la penisola con grande lentezza.
Negli anni successivi al 1945, il Pci seppe sfruttare con accortezza il proprio predominio sul fronte antifascista. «La Resistenza è rossa» divenne lo slogan più urlato nelle celebrazioni del 25 aprile. In due parole descrivevano una realtà. Certo, a resistere c’erano anche militari, sacerdoti, suore, internati in Germania, partigiani cattolici e monarchici. Ma la massa critica, diremmo oggi, era costituita dalle Garibaldi. Le bande del Pci erano le uniche ad avere una strategia a lungo termine: quella di iniziare un secondo tempo destinato alla conquista del potere. E fare dell’Italia un satellite di Mosca.
I comunisti furono anche gli unici a giovarsi subito di una storiografia di parte. Basta ricordare Un popolo alla macchia, il libro firmato da Longo, ma scritto su commissione da un altro autore. E la Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia, corretto in più parti dallo stesso Longo. Insieme a questi interventi di marketing, ci fu la conquista dell’Anpi, l’associazione nazionale dei partigiani, che vide l’espulsione dei cattolici e dei capi del Partito d’Azione, primo fra tutti Parri.
Oggi, nell’anno di grazia 2015, si scopre che soltanto una minuscola pattuglia dei maturandi, appena il 2,5 per cento, sceglie il tema sulla Resistenza. Perché stupirsene? La crisi della memoria resistenziale è in atto da molto tempo, strozzata dalla retorica, da un’infinita serie di menzogne e dall’opportunismo cinico delle sinistre. Ed è diventata il sintomo più evidente della crisi culturale di quel mondo.
Esiste un succedersi implacabile di stagioni politiche. Per prima c’è stata la fase staliniana. Poi quella togliattiana. Quindi la berlingueriana. Chi ha visto l’ultima puntata di Michele Santoro dalla piazza di Firenze, si è reso conto che Enrico Berlinguer viene ancora ritenuto un santo da venerare. Infine il caos legato alla dissoluzione dell’Unione sovietica ha prodotto la svolta di Achille Occhetto e la scomparsa formale del Pci.
La mazzata decisiva è venuta nel 1992 da Tangentopoli. Una parte della sinistra, quella di Bettino Craxi, è morta. Mentre i resti del Partitone rosso si sono dispersi in tante piccole parrocchie. Adesso, nel giugno 2015, la crisi culturale è diventata identitaria. Racchiusa in una domanda: chi è di sinistra oggi in Italia? Certo, esiste il Partito democratico, ma è un’accozzaglia di politici, di programmi, di stili di vita e di idee, tutti avvolti in una nebbia che impedisce definizioni credibili.
Secondo un intellettuale dem come Fabrizio Barca, autore di un’analisi che ha richiesto mesi di indagini, il Pd è anche un partito zeppo di robaccia criminale. Non mancano i militanti e i dirigenti onesti. Però l’insieme ricorda la folla di Piazzale Loreto che osserva con gli occhi sbarrati non il cadavere di un dittatore, bensì quello di una storia politica. Durata per decenni, ma oggi finita per sempre.
Per ultimo ecco l’enigma di Matteo Renzi, il premier di un’Italia che, nel mondo globalizzato del Duemila, non sa più dove dirigersi. Il Chiacchierone di Palazzo Chigi è di sinistra, di destra, di centro o un renzista autoritario e clientelare? Per ritornare a Cazzullo che osserva Piazzale Loreto, oggi la televisione esiste. Ma è in grado soltanto di diffondere ansia, incertezze e non poca paura.
Giampaolo Pansa

giovedì 18 giugno 2015

NESSUNO TOCCHI SAVIANO


NESSUNO TOCCHI SAVIANO - BEHA: SULLA SENTENZA RELATIVA AL PLAGIO DI ALCUNE PARTI DI ''GOMORRA'', I GIORNALI HANNO RACCONTATO L’ESATTO CONTRARIO DELLA REALTA’ - IL CASO SAVIANO DIMOSTRA IN QUALE BUCO NERO SIA PRECIPITATO IL GIORNALISMO ITALIANO

Beha: “La Cassazione ha respinto 6 dei 7 punti del ricorso di Saviano ma i giornali recitavano l’esatto contrario, registrando una netta vittoria dello scrittore - Saviano ci sta dicendo senza dircelo – lo farà ad hoc nel programma di Maria De Filippi? – che non ci si può fidare dell’informazione, che stravolge addirittura una sentenza della Cassazione... -

Oliviero Beha per il “Fatto Quotidiano”
SAVIANOSAVIANO

Come un redivivo Brecht di borgata (“Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi né di Saviani”) sia pur rovesciato, temo che dovremo ringraziare ancora una volta Roberto Saviano per la sua straordinaria utilità sociale, culturale e politica.

Me lo suggerisce il caso di ieri, ovverosia l’effetto mediatico della sentenza della Cassazione sulla vicenda che ha visto lo scrittore ricorrere contro la sentenza d’appello che lo condannava per plagio nei confronti di Cronache napoletane e Cronache di Caserta. Plagio esemplificato a iosa in Gomorra, con brani copiati da articoli delle testate citate.
gomorra roberto savianoGOMORRA ROBERTO SAVIANO
   
La Cassazione ha respinto 6 dei 7 punti del ricorso di Saviano, confermando i gradi di giudizio che lo avevano ratificato come strenuo copista altrui. Perché dunque ringraziare un’icona contemporanea, macchiatasi nella sua opera più famosa (l’unica?) di una colpa tra il grave e il ridicolo? Perché ieri vanamente avresti cercato la sostanza della sentenza di Cassazione su Repubblica Napoli, il Corriere del Mezzogiorno alias Corriere della Sera, il leggendario e dominante Mattino.
   
I titoli e i testi recitavano l’esatto contrario, registrando una netta vittoria di Saviano. Che in qualità appunto di icona e di calamita di business editorial-mediatico gode evidentemente di una riserva, di un’area protetta, di una zona franca che lo difenda da eventuali offuscamenti di immagine.

roberto saviano ad amiciROBERTO SAVIANO AD AMICI
Una specie di “Nessuno tocchi Saviano”, anche se nella drammaturgia biblica del caso lui sarebbe l’Abele di turno. Ma non è tanto di lui in qualità di supereroe contemporaneo che vorrei parlare, avendolo già fatto periodicamente in passato proprio qui. Non di lui il cui processo simbolico si è trasformato in una processione da Madonna Pellegrina, fino alle presenze tv ad Amici. Non di lui dalla inarrivabile fisiognomica a metà tra un cristo partenopeo e un camorrista omeopatico. Non di lui iscritto a forza dalla contraerea nemica di destra tra le file dei professionisti dell’anti-camorra.
   
No, lui qui è prezioso come cartina di tornasole della qualità e dell’onestà dell’informazione, nel caso specifico come nella situazione più generale. Saviano non ci sta soltanto dicendo che non si può fare la nuda cronaca di ciò che gli succede, a meno che non siano fatti che contribuiscano a rassodargli il piedistallo su cui ormai si esercitano i piccioni, e che quindi il principio della verità cui avrebbe dedicato la sua vita viene contraddetto clamorosamente proprio in ciò che lo riguarda.
Roberto SavianoROBERTO SAVIANO
   
Saviano si sta immolando per noi sulla croce della censura mirata e della realtà ribaltata perché i lettori capiscano in che buco nero sia precipitato il giornalismo nostrano, quello in fondo alle classifiche di Freedom House per intenderci.
   
saviano backstage amiciSAVIANO BACKSTAGE AMICI
Saviano ci sta dicendo senza dircelo – lo farà ad hoc nel programma di Maria De Filippi? – che non ci si può fidare dell’informazione, che non dà le notizie correttamente e addirittura stravolge una sentenza della Cassazione. Se lo ha fatto stavolta, casualmente a suo favore, ci suggerisce il giovane favoloso anti-camorra, perché non pensare che lo possa fare abitualmente, alterando la nostra percezione della realtà?

saviano sul palco amiciSAVIANO SUL PALCO AMICI
Tutta la corolla di santità laica che lo circonda da un lato appassisce per come viene preservato dalla cruda informazione, dall’altro risulta preziosa per delineare il “misfatto”: stavolta la cassa di risonanza suona sorda, ma siamo costretti a sentirla anche se i lord protettori del Che di casa nostra gli hanno steso mediaticamente intorno un cordone sanitario.

Non sufficiente però: hai un bel ripulire sul web il tuo profilo social, c’è sempre qualcuno in più che viene a sapere e s’indigna. Di questo bisogna ringraziarlo. Il plagio diventa quasi un peccato veniale.