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mercoledì 25 febbraio 2015

Smettere di fumare, cosa accade al corpo da 20 minuti a 20 anni

ADDIO ALLE SIGARETTE


Smettere di fumare è una tortura. Crisi d'astinenza, ansia, nervosismo, depressione sono i primi effetti collaterali. Chi ha abbandonato le bionde lo sa bene: si affrontano mesi da incubo. Eppure smettere di fumare fa bene, da subito. Già dopo 20 minuti ci sono i primi benefici, e dopo 20 anni si è definitivamente liberi, riporta il Corriere della Sera. Ma cosa cosa accade al corpo umano quando si butta per sempre il pacchetto? Ecco passo per passo, cosa succede dopo l'ultimo tiro.
Dopo 20 minuti - La pressione del sangue si stabilizza e migliora, scendono le pulsazioni e si normalizza la frequenza cardiaca.
Dopo 8 ore - E' il momento in cui vorresti accenderti subito una sigaretta ma proprio dopo 8 ore i livelli di monossido di carbonio nel sangue scendono, quelli di ossigeno tornano alla normalità e la nicotina diminuisce fino a oltre il 90%.
Dopo 24 ore - I sintomi da astinenza sono forti: depressione, irritabilità, frustrazione, ansia. Eppure sono già tornati alla normalità i livelli di monossido di carbonio.
Dopo 2 giorni - Migliorano il senso del gusto e dell'olfatto’odorato.
Dopo 3 giorni - Migliora il respiro, soprattutto se sotto sforzo. In molti riferiscono sintomi influenzali come insonnia, difficoltà a riposarsi, cambiamenti nell'appetito, vertigini.
Tra 15 giorni e 9 mesi - Migliorano la circolazione sanguigna e l'attività polmonare. Sparisce la cosiddetta tosse da fumatore e la congestione nasale. Aumenta l'energia fisica e diminuiscono il senso di fatica e spossatezza. Il corpo si libera della nicotina.
Dopo 1 anno - Cuore e arterie registrano i maggiori miglioramenti: si dimezza il rischio di malattie coronariche, infarto miocardico e ictus.
Dopo 5 anni - Il rischio di emorragia cerebrale diminuisce del 41 per cento, mentre quello di ictus diventa pari ai livelli di chi non ha mai fumato. Per le donne ex fumatrici, scende la minaccia di ammalarsi di diabete al livello delle donne che non hanno mai fumato.
Dopo 10 anni - Per gli uomini il pericolo di contrarre diabete si abbassa ai livelli dei non fumatori. Scende anche il rischio di contrarre alcuni tumori come alla bocca, gola, esofago, vescica, rene e pancreas. Il rischio di tumore al polmone scende del 70%.
Dopo 15 anni - Il corpo si normalizza e le condizioni si equiparano a quelle di chi non ha mai fumato per la perdita di denti, le malattie coronariche, e il rischio di morte precoce.
Dopo 20 anni -  Dopo 20 anni di totale assenza delle sigarette si è completamente liberi dalle conseguenze patologiche del fumo e ogni rischio di malattia è equiparato a quello di chi non ha mai fumato.

domenica 22 febbraio 2015

Jobs Act, il testo integrale della riforma del lavoro

ROMA – Il Jobs Act, la riforma del lavoro del governo Renzi, ha avuto il via libera definitivo dal Consiglio dei ministri. Contiene novità sui contratti a tempo indeterminato, i licenziamenti e i sussidi di disoccupazione.
Ecco il testo del provvedimento.
DECRETI ATTUATIVI DEL JOBS ACT
1. Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (decreto legislativo – esame definitivo)
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, ha approvato un decreto legislativo che contiene disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge n. 183 del 2014.
Contratto a tutele crescenti
Si applica ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, per i quali stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi (per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto restano valide le norme precedenti).
Per i licenziamenti discriminatori e nulli intimati in forma orale resta la reintegrazione nel posto di lavoro così come previsto per tutti i lavoratori. Per i licenziamenti disciplinari la reintegrazione resta solo per quella in cui sia accertata “l’insussistenza del fatto materiale contestato”. Negli altri casi in cui si accerti che non ricorrano gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ovvero i cosiddetti “licenziamenti ingiustificati”, viene introdotta una tutela risarcitoria certa, commisurata all’anzianità di servizio e, quindi, sottratta alla discrezionalità del giudice.
La regola applicabile ai nuovi licenziamenti è quella del risarcimento in misura pari a due mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mesi.
Per evitare di andare in giudizio si potrà fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità. Con l’accettazione il lavoratore rinuncia alla causa.
Licenziamenti collettivi
Per i licenziamenti collettivi il decreto stabilisce che, in caso di violazione delle procedure (art. 4, comma 12, legge 223/1991) o dei criteri di scelta (art. 5, comma 1), si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità).
In caso di licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta la sanzione resta quella della reintegrazione, così come previsto per i licenziamenti individuali.
Piccole imprese
Per le piccole imprese la reintegra resta solo per i casi di licenziamenti nulli e discriminatori e intimati in forma orale. Negli altri casi di licenziamenti ingiustificati è prevista un’indennità crescente di una mensilità per anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 6 mensilità.
Sindacati e partiti politici
La nuova disciplina si applica anche ai sindacati ed ai partiti politici.
2. Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di occupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati (decreto legislativo – esame definitivo)
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, ha approvato un decreto legislativo che contiene disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di occupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge n. 183 del 2014.
Naspi
Il decreto introduce la Naspi, nuova assicurazione sociale per l’impiego. Vale per gli eventi di disoccupazione che si verificano a decorrere dal 1° maggio 2015 e per tutti i lavoratori dipendenti che abbiano perso l’impiego e che hanno cumulato almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni di lavoro ed almeno 18 giornate effettive di lavoro negli ultimi 12 mesi. La base retributiva della Naspi sono gli ultimi 4 anni di impiego (anche non continuativo) rapportati alle settimane contributive e moltiplicati per il coefficiente 4.33.
La durata della prestazione è pari ad un numero di settimane corrispondente alla metà delle settimane contributive degli ultimi 4 anni di lavoro.
L’ammontare dell’indennità è commisurato alla retribuzione e non può eccedere i 1.300 euro. Dopo i primi 4 mesi di pagamento, la Naspi viene ridotta del 3% al mese e la durata prevista è di un numero di settimane pari alla metà di quelle contributive degli ultimi 4 anni di lavoro.
L’erogazione della Naspi è condizionata alla partecipazione del disoccupato ad iniziative di attivazione lavorativa o di riqualificazione professionale.
Asdi
Viene introdotto in via sperimentale, per quest’anno, l’Asdi, assegno di disoccupazione che verrà riconosciuto a chi, scaduta la Naspi, non ha trovato impiego e si trovi in condizioni di particolare necessità. La durata dell’assegno, che sarà pari al 75% dell’indennità Naspi, è di 6 mesi e verrà erogato fino ad esaurimento dei 300 milioni del fondo specificamente costituito.
Dis-Col
Per i co.co.co (iscritti alla Gestione separata INPS) che perdono il lavoro c’è la l’indennità di disoccupazione Dis-Col (Disoccupazione per i collaboratori).
Presuppone tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno precedente l’evento di disoccupazione alla data del predetto evento.
Il suo importo e’ rapportato al reddito e diminuisce del 3% a partire dal quarto mese di erogazione. La durata della prestazione è pari alla metà delle mensilità contributive versate e non può eccedere i 6 mesi. Anche questa indennità è condizionata alla partecipazione ad iniziative di politiche attive.
3. Testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e revisione della disciplina delle mansioni (decreto legislativo – esame preliminare)
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, ha approvato un decreto legislativo che contiene il testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni.
Ecco i punti essenziali per il riordino delle tipologie contrattuali.
Contratti di collaborazione a progetto (Co. Co. Pro.). A partire dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal 1° gennaio 2016 ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni.
Vengono superati: i contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro ed il job sharing.
Vengono confermate le seguenti tipologie:
Contratto a tempo determinato cui non sono apportate modifiche sostanziali.
Contratto di somministrazione. Per il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) si prevede un’estensione del campo di applicazione, eliminando le causali e fissando al contempo un limite percentuale all’utilizzo calcolato sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato dell’impresa che vi fa ricorso (10%).
Contratto a chiamata. Viene confermata anche l’attuale modalità tecnologica, sms, di tracciabilità dell’attivazione del contratto.
Lavoro accessorio (voucher). Verrà elevato il tetto dell’importo per il lavoratore fino a 7.000 euro, restando comunque nei limiti della no-tax area, e verrà introdotta la tracciabilità con tecnologia sms come per il lavoro a chiamata.
Apprendistato. Si punta a semplificare l’apprendistato di primo livello (per il diploma e la qualifica professionale) e di terzo livello (alta formazione e ricerca) riducendone anche i costi per le imprese che vi fanno ricorso, nell’ottica di favorirne l’utilizzo in coerenza con le norme sull’alternanza scuola-lavoro.
Part-time. Vengono definiti i limiti e le modalità con cui, in assenza di previsioni al proposito del contratto collettivo, il datore di lavoro può chiedere al lavoratore lo svolgimento di lavoro supplementare e le parti possono pattuire clausole elastiche (le clausole che consentono lo spostamento della collocazione dell’orario di lavoro) o flessibili (le clausole che consentono la variazione in aumento dell’orario di lavoro nel part- time verticale o misto).
Viene inoltre prevista la possibilità, per il lavoratore, di richiedere il passaggio al part-time in caso di necessità di cura connesse a malattie gravi o in alternativa alla fruizione del congedo parentale.
Mansioni. In presenza di processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri casi individuati dai contratti collettivi l’impresa potrà modificare le mansioni di un lavoratore fino ad un livello, senza modificare il suo trattamento economico (salvo trattamenti accessori legati alla specifica modalità di svolgimento del lavoro).
Viene altresì prevista la possibilità di accordi individuali, “in sede protetta”, tra datore di lavoro e lavoratore che possano prevedere la modifica anche del livello di inquadramento e della retribuzione al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita.
4. Disposizioni in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (decreto legislativo – esame preliminare)
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, ha approvato un decreto legislativo contenente disposizioni in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, a norma dell’articolo 1, commi 8 e 9 della legge n. 183 del 2014.
Si tratta di un provvedimento che interviene, prevalentemente, sul testo unico a tutela della maternità(n° 151 del 26 marzo 2001) e reca misure volte a sostenere le cure parentali, a tutelare la maternità delle lavoratrici intervenendo, in alcuni casi, anche in settori che già erano stati oggetto di intervento da parte della Corte Costituzionale e non ancora recepiti in norma.
Il decreto interviene, innanzitutto, sul congedo obbligatorio di maternità, al fine di rendere più flessibile la possibilità di fruirne in casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato. Nel primo caso, infatti, i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto sono aggiunti al periodo di congedo di maternità post partum anche quando la somma dei due periodi superi il limite complessivo dei 5 mesi; nel secondo caso si prevede la possibilità di usufruire di una sospensione del congedo di maternità, a fronte di idonea certificazione medica che attesti il buono stato di salute della madre. Entrambe le soluzioni sono dirette a favorire il rapporto madre-figlio senza rinunciare alle tutele della salute della madre.
Il decreto prevede un’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12. Quello parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età del bambino a 6 anni; quello non retribuito dai 6 anni di vita del bambino ai 12 anni. Analoga previsione viene introdotta per i casi di adozione o di affidamento, per i quali la possibilità di fruire del congedo parentale inizia a decorrere dall’ingresso del minore in famiglia. In ogni caso, resta invariata la durata complessiva del congedo.
In materia di congedi di paternità, viene estesa a tutte le categorie di lavoratori, e quindi non solo per i lavoratori dipendenti come attualmente previsto, la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti.
Sono inoltre state introdotte norme volte a tutelare la genitorialità in caso di adozioni e affidamenti prevedendo estensioni di tutele già previste per i genitori naturali.
Oltre agli interventi di modifica del testo unico a tutela della maternità, il decreto contiene due disposizioni innovative in materia di telelavoro e di donne vittime di violenza di genere.
La norma sul telelavoro prevede benefici per i datori di lavoro privato che vi facciano ricorso per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti. In particolare, per il riconoscimento dei benefici si esclude dal computo dei limiti numerici previsti dalle leggi e dai contratti i telelavoratori che rientrino nella fattispecie individuata dal decreto.
La seconda norma introduce il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati e, quindi, si prevede la possibilità per queste lavoratrici dipendenti di imprese private di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo l’intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi. Viene anche introdotto il diritto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a richiesta della lavoratrice.
Le collaboratrici a progetto hanno diritto alla sospensione del rapporto contrattuale per analoghi motivi sempre per un massimo di tre mesi.


lunedì 16 febbraio 2015

Fisco, a caccia del 730 precompilato (e del Pin). 7 passi obbligati al computer

Blitz quotidiano

ROMA – Fisco, a caccia del 730 precompilato. I 7 passi obbligati al computer. Il nuovo 730, che dal 2015 sarà pre-compilato, andrà presentato entro il 7 luglio ma dal 15 aprile sarà già consultabile online e scaricabile dal sito della Agenzia delle Entrate. Per farlo, però, e godere del beneficio per 20 milioni di contribuenti, è necessario dotarsi di un Pin, di una password d’accesso individuale.
Con l’aiuto di Carlo Gravina del quotidiano La Stampa, vediamo come come si svolge la procedura per attivare il Pin, un percorso in 7 passi obbligati. Il codice identificativo (il Pin) consentirà anche di pagare imposte, tasse e contributi, oltre che registrare i contratti di affitto. Premessa importante è recuperare fedelmente codice fiscale e importo della dichiarazione dei redditi 2014 sui redditi 2013 (dal modello 730 o Unico). Il consiglio è di stampare e conservare una copia dei documenti scaricati.
1. Cerca Fisco online sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Una volta aperto il sito www.agenziaentrate.gov.it, cerca nella colonna a destra della pagina l’icona denominata Fisco online. Cliccaci sopra.
2. Cerca la voce “Registrazione”. La pagina contiene le ultime informazioni fiscali: sulla parte sinistra cerca la voce “Registrazione”.
3. Clicca su “Registrazione fiscoonline”. Clicca sopra l’icona “Registrazione fiscoonline” per cominciare la procedura di attivazione Pin.
4. Indica il tuo profilo fiscale. Delle quattro voci indicate scegli quella che fa al caso tuo, verosimilmente la voce “Persone fisiche”.
5. Inserisci codice fiscale e ultimo importo dichiarazione redditi. In questo momento vanno inseriti i dati personali recuperati all’inizio, ovvero il codice fiscale e l’importo esatto dell’ultima dichiarazione dei redditi (dal 730 o da Unico 2014 per i redditi 2013). Clicca su “invio”, si trova in basso sulla pagina.
6. Riepilogo e conferma. La nuova schermata riepiloga i dati e chiede, una volta presa visione, di confermare. Occhio all’esattezza dei dati: hai tre tentativi dopo i quali la procedura si blocca. Clicca il tasto “conferma”.
7. Prime cifre del Pin. Il resto del codice ti arriva a casa via posta. Siamo alla fine. Sulla pagina si vedranno codice fiscale e la prima parte del codice identificativo, il Pin. Per la parte mancante devi aspettare che ti venga inviata a domicilio per posta entro 15 giorni. Stampa tutto, l’operazione al computer è conclusa.

lunedì 9 febbraio 2015

MENO CAUSE PER TUTTI – DA DOMANI NIENTE GIUDICE PER INCIDENTI STRADALI E LITI FINO A 50MILA EURO – CI SARÀ UNA NEGOZIAZIONE OBBLIGATORIA TRA AVVOCATI PRIMA DI FINIRE IN TRIBUNALE

Marco Menduni per “la Stampa”

TRIBUNALE LA LEGGE E UGUALE PER TUTTITRIBUNALE LA LEGGE E UGUALE PER TUTTI
Due auto si scontrano, i conducenti escono dall’ abitacolo che sono delle furie. Ognuno ritiene di aver ragione e non c’è verso di mettersi d’accordo. Non c’è altra soluzione di finire davanti al giudice. Da domani questa semplice sequenza ha un passaggio in più.
Debutta infatti la negoziazione obbligatoria, un percorso che ognuna delle due parti deve intraprendere assistita da un avvocato. Con tempi certi: fare il tentativo, in un periodo che va dai 30 giorni ai 3 mesi, di mettersi d’accordo prima di finire in un’aula di giustizia. L’incidente non è l’unica fattispecie prevista dalla recente riforma della giustizia civile voluta dal ministro Andrea Orlando. La negoziazione obbligatoria coprirà anche altri tipi di lite, quelle per cifre fino ai 50 mila euro.
 
tribunale piazzale clodioTRIBUNALE PIAZZALE CLODIO
Tribunali intasati
È un nuovo istituto messo in campo dal governo per risolvere un annoso problema: l’enorme numero di cause civili che intasano gli uffici dei giudici e ne rallentano il lavoro.
La negoziazione non è il ricorso al giudice di pace (competente per le cause fino a 5 mila euro). E non è nemmeno la mediazione, nella quale gli avvocati delle parti sono davanti a un “giudice” terzo, che non è un magistrato ma è comunque arbitro tra le due posizioni. Nella negoziazione, i due avvocati sono l’uno di fronte all’altro, “all’americana”. E, prima di far decollare la causa, devono provare a trovare un accordo che dia soddisfazione ai clienti. Solo se il tentativo va a vuoto può iniziare la causa civile.
 
«In realtà - spiega l’avvocato Francesca Cuomo Ulloa - gli avvocati hanno sempre tentato di trovare una soluzione prima di arrivare davanti a un giudice. Ora la questione è più strutturata». Che cosa accadrà da domani? L’avvocato di chi dà il via alla lite invita l’altra parte a una negoziazione «in lealtà e buona fede». Se non arriva risposta, oppure il tentativo fallisce entro i 3 mesi, si va dal giudice. Se l’accordo viene stretto «ha lo stesso valore di una sentenza».
 
MAGISTRATIMAGISTRATI
Le controversie escluse
Una serie di controversie sono sottratte però alla negoziazione. Tutte quelle relative al lavoro. Poi quelle che riguardano le obbligazioni contrattuali nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori. Se poi si parla del recupero di un credito, la negoziazione non è indispensabile se il creditore intende procedere con un decreto ingiuntivo.
In realtà il ventaglio delle ipotesi è molto frastagliato e non è facile capire quando vada usata la mediazione obbligatoria e quando la negoziazione. «Anche in questo caso - spiega Cuomo Ulloa - è l’avvocato che deve guidare il cliente».
 
Le due critiche
Due obiezioni si sono subito abbattute sulla negoziazione. La prima: è un modo per dar più lavoro agli avvocati. La risposta: «Non è così: chi vuol dare il via a una causa civile deve comunque rivolgersi a un legale. E se arriva l’accordo, si risparmiano parcelle e spese del processo». E se il cliente ha diritto al gratuito patrocinio? «Pare proprio che dobbiamo lavorare gratis, non è previsto il pagamento da parte dello Stato». Altra contestazione: è un regalo alle compagnie assicurative, perché se l’accordo tra le parti non arriva sono di fatto tre mesi di tempo “regalati” sul momento del risarcimento. «Come ogni meccanismo - conclude - può funzionare alla perfezione o meno. È una sfida anche per noi».

martedì 3 febbraio 2015

Sconti sulla tassa marmi, il procuratore ha firmato le richieste di rinvio a giudizio

La maxi inchiesta che ha provocato un terremoto a Carrara  vede iscritti sul registro degli indagati il sindaco, parte della vecchia e nuova giunta e rappresentanti delle associazioni

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CARRARA. Sconti sulla tassa marmi: l'indagine della Procura è chiusa. Il procuratore capo Aldo Giubilaro ha firmato le richieste di rinvio a giudizio.
L'indagine. Sconti sulla tassa marmi, per favorire gli industriali, danneggiando le casse comunali, e, quindi, i cittadini stessi. È questa l'ipotesi accusatoria, pesante, dell'indagine della Procura: amministrazione e associazioni di categoria avrebbero "alleggerito" negli ultimi cinque anni la tassa marmi, portando meno introiti nelle casse municipali. Il capo di imputazione è abuso di ufficio per aver fatto pagare meno tasse (inferiori anche di un decimo) agli imprenditori che scavano il marmo sulla base di un accordo del 2009 e che la Procura di Massa ritiene in violazione della legge regionale del 1998 che prevede un contributo e un canone di concessione sulla base del valore di mercato dei beni estratti, blocchi e scaglie. Sottraendo, in sostanza, denaro da destinare a servizi per tutti i cittadini. E causando, dall'altra parte, un ingiusto vantaggio per gli imprenditori del settore.
Gli indagati. L'indagine prende in esame il periodo dal 2009 al 2014. Sul registro degli indagati nel maggio scorso sono finiti una quindicina di nomi eccellenti dal sindaco di Carrara, Angelo Zubbani a 5 assessori in carica (Andrea Vannucci, Giuseppina Andreazzoli, Giovanna Bernardini, Dante Benedini, Massimiliano Bernardi), tre ex assessori (Andrea Zanetti, Giovanni Nannini e Roberto Dell'Amico), due dirigenti comunali, Marco Tonelli e Stefano Pennacchi, oltre ai 4 rappresentanti provinciali di Legacoop (Chiara Grassi), Confartigianato (Gianfranco Oligeri), Cna (Antonio Chiappini) e Massimo Maggiani (Api). La Procura ha individuato, sia nel Comune che nelle associazioni di categoria che hanno sottoscritto gli accordi, "responsabilità penali in ordine al reato di abuso di ufficio (art. 323 del Codice penale)"
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lunedì 2 febbraio 2015

GRIGIO, MA BUONO Giampaolo Pansa: Sergio Mattarella? Tenace, insistente, lungimirante: stupirà tutti, anche Renzi

Ho conosciuto Sergio Mattarella in un momento cruciale per la Democrazia cristiana e per l’area di Ciriaco De Mita, la sua corrente. I demitiani erano la tribù bianca che poteva vantare una quantità di tipi umani che non tutti i clan della Balena avevano. De Mita svettava sull’intera parrocchia. E ti catturava come pochi sapevano fare. Mi diceva sempre: «Pansa, tu non capisci i miei ragionamenti. Ma se non mi comprendi, come puoi pretendere di intervistarmi?». Clemente Mastella, il suo addetto stampa, m’incoraggiava: «Ciriaco fa così perché ti stima». Riccardo Misasi, il capo della segreteria, amava De Mita e lo riteneva il nuovo Giulio Cesare della politica italiana. Quanto a Mattarella era tutta un’altra storia.
Il mio ricordo ha una data precisa: l’inizio del febbraio 1989. Il giorno 17, a Roma, si sarebbe aperto il diciottesimo congresso nazionale della Dc e tutti davano per conclusa l’era di De Mita, durata sette anni. La fine veniva annunciata da una tempesta di voci. Ciriaco è cotto. È fritto. È finito. Deve sloggiare da piazza del Gesù. Lui e i suoi. Gli avellinesi e anche gli altri: i colonnelli, i capitani, i furieri. Che grandinate sulle tende demitiane! Roba da far saltare i nervi a un rinoceronte di marmo. Però i nervi non saltavano. Non a tutti, perlomeno. A Sergio Mattarella certamente no.
Andai a trovarlo a Palazzo Chigi, dove ancora sedeva De Mita, nel suo ufficio di ministro per i rapporti con il Parlamento. In quel momento aveva 48 anni e un volto assai più giovane sotto i capelli già bianchi. Un signore pacato, tenace, senza ansie da potere né sbandamenti faziosi. Il politico sul quale De Mita aveva investito di più, ma che non si era annullato in Ciriaco. Un suo amico mi aveva detto. «Nel lavoro di partito, Sergio è tenacissimo e insistente, come la goccia che cade».
Gli chiesi se gli piacesse l’immagine della goccia. Lui sorrise: «Non so dirle se sono così. Però Aldo Moro aveva già spiegato l’importanza dei piccoli passi. Elogiava il lavoro che sembra fatto di niente. Non dico che i piccoli passi, quelli che si vedono poco, siano i più importanti. Ma di certo lo sono quanto i grandi movimenti che suscitano clamore».
Se rileggo gli appunti che presi nel nostro lungo colloquio, rimango ancora stupito dalla schiettezza di Mattarella nel descrivermi i partiti e la Casta politica di allora. Eravamo nell’Ottantanove e mancavano appena tre anni all’inizio del ciclone di Mani pulite. Ma i guai tremendi del partitismo, a cominciare da quello democristiano, erano ben chiari nell'esperienza di Sergio e lui non arretrò nel ricordarmeli.
Esordì: «Bisogna cominciare dallo stato del tesseramento. È molto gonfiato e questo rende dubbia la legittimità della rappresentanza nel partito, il Chi rappresenta Chi e in virtù di che cosa. E c’è di peggio. I tanti padroni delle tessere in sede locale paralizzano la vita della Dc. I leader nazionali sono prigionieri di questi concessionari del marchio democristiano. Ne nasce un rapporto inverso a quello normale: non comandano i vertici del partito, bensì i gruppi periferici che sono i veri padroni dei vertici nazionali».
«C’è poi un secondo male» continuò Mattarella. «Non è soltanto della Dc, anche se noi democristiani ce ne stiamo accorgendo prima di altri. Il reclutamento dei dirigenti in periferia avviene per linee sempre più interne. I partiti pescano i loro quadri soltanto fra i professionisti della politica già all’opera nelle correnti, nelle sub-correnti o nelle istituzioni. Questo rende i partiti asfittici e sempre più distanti dal loro retroterra sociale. Infine i quadri selezionati in questo modo risultano mediocri».
Conclusione? Sergio Mattarella, seguitando a parlare senza enfasi, si dimostrò profetico: «Anche la Dc si trova in questa trappola molto rischiosa. Dobbiamo riuscire a rompere il sistema che le ho descritto, inserendo nei partiti energie nuove, raccolte dentro la società civile. Oppure i partiti moriranno. Non abbia il timore di attribuirmi questa previsione nera».
Proposi a Mattarella di spiegarmi meglio quello che intendeva. La Goccia che cade non esitò: «In pochissimi anni i partiti italiani diventeranno dei corpi sempre più separati dalla società. E sempre meno qualificati. Nella periferia della Democrazia cristiana sta già accadendo. Il virus è molto esteso. E rischia di intaccare in modo irreparabile i piani alti del partito. La nostra area avverte sino in fondo questo pericolo. E De Mita sì è impegnato molto per renderlo evidente e combatterlo».
«Il nodo del congresso che sta per aprirsi sta proprio qui: è la continuità rispetto a questo impegno. Se invece il nuovo assetto della Dc risulterà soltanto il frutto di un equilibrio fra le correnti, ci sarà meno sensibilità per questi problemi. E si farà prepotente la tentazione di ritornare al partito malato che nel 1981 sembrava in coma irreversibile e che De Mita ereditò l’anno successivo».
Domandai alla Goccia che cade degli errori compiuti da De Mita nell’incarico di segretario. Lui non si sottrasse alla domanda: «Forse l’errore primario fu il tentativo, riuscito soltanto in parte, di governare la Dc nelle grandi città con i commissari, nominati dalla segreteria politica. In realtà erano dei coordinatori con funzioni di stimoli per il futuro. L’intuizione era giusta. Poi l’affanno quotidiano ha un po’ impacciato le soluzioni. È il vizio illuministico dei gesti forti. L’esperienza ci ha insegnato che è meglio la semina lenta, il lavoro che sembra fatto di niente, per usare l’immagine di Moro».
A quel punto Mattarella mi offrì un'altra previsione: «In tutto l’Occidente è in corso un processo che spinge i veri centri di decisione a trasferirsi fuori dalla politica. Esiste davvero il pericolo che i partiti diventino una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere né palesi né responsabili. La politica, invece, deve essere un punto alto di mediazionenell'interesse generale. Se la politica non è in grado di essere questo, le istituzioni muoiono. E prevale chi ha più forza economica o più forza di pressione, che è poi la stessa cosa».
Così parlava Sergio Mattarella nell’Ottantanove. Dimostrava di sapere con certezza che un’epoca stava finendo. E talvolta attraverso eccessi più grotteschi che tragici. Ne incontrai un campione mentre stavo uscendo da Palazzo Chigi. Era l’ombra imponente del socialista Gianni De Michelis, ancora per poco vicepresidente del Consiglio nel governo De Mita. Mi regalò un salutone cordiale, poi cominciò a sparare a raffica contro Ciriaco, Bettino Craxi, i sottocapi del Psi e la loro debolezza nei confronti del leader del Garofano.
Ce l’aveva soprattutto con Giuliano Amato: «Voi di Repubblica non capite un cazzo. Siete bambini ignoranti e pompate tanto Giuliano. È uno di quelli che dicono sempre di sì a Bettino. Nel vertice del Psi c'è uno solo ad avere il temperamento giusto per tenere testa a Craxi. E sai chi è?».
Gli risposi: «Scommetto che sei tu, Gianni». E quel meraviglioso peso massimo, sempre pieno di femmine audaci e chiamato Avanzo di baleraper la sua passione di frequentare i night, scuotendo vezzoso la chioma strillò con un sogghigno: «Come hai fatto a indovinarlo?».
Qualche settimana dopo, De Mita perse la segreteria della Dc e in maggio si dimise da capo del governo. Rimasero vive, ancorché nascoste, le gocce che cadono senza mai fermarsi. Ventisei anni dopo una di queste entra al Quirinale.
di Giampaolo Pansa

domenica 1 febbraio 2015

Vino, scoperto in Sardegna il vitigno più antico del Mediterraneo occidentale



Semi di vernaccia e malvasia risalenti a circa tremila anni fa ritrovati nel pozzo che faceva da 'frigorifero' a un nuraghe nelle vicinanze di Cabras. La prova del carbonio 14 effettuata dal Centro conservazione biodiversità dell'Università di Cagliari conferma la datazione e fa ritenere che la coltura della vite nell'Isola fosse conosciuta sin dall'età del bronzo

ROMA - Una scoperta che riscrive la storia della viticultura dell'intero Mediterraneo occidentale. A farla gli studiosi dell'Università di Cagliari. L'équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB), guidata dal professor Gianluigi Bacchetta, ha rinvenuto semi di vite di epoca Nuragica, risalenti a circa 3000 anni fa. E ha avanzato l'ipotesi che in Sardegna la coltivazione della vite non sia stata un fenomeno d'importazione, bensì autoctono.

Sino ad oggi, infatti, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici, che colonizzarono l'isola attorno all'800 a.C., e successivamente ai Romani, il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. Ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà Nuragica dimostra che la viticoltura in Sardegna era già conosciuta: probabilmente ebbe un'origine locale e non fu importata dall'Oriente. A suffragio di questa ipotesi, il gruppo del CCB sta raccogliendo materiali in tutto il Mediterraneo: dalla Turchia al Libano alla Giordania si cercano tracce per verificare possibili "parentele" tra le diverse specie di vitigni.

La ricerca. Nel sito nuragico di Sa Osa, nel territorio di Cabras, nell'Oristanese (non lontano dal luogo del ritrovamento dei Giganti di Mont'e Prama), la squadra di archeobotanici del professor Bacchetta, grazie alla collaborazione con la Soprintendenza per i Beni  Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, ha trovato oltre 15.000 semi di vite, perfettamente conservati in fondo a un pozzo che fungeva da 'paleo-frigorifero' per gli alimenti. "Si tratta di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli 'freschi' reperibili da acini raccolti da piante odierne - spiega Bacchetta - . Grazie alla prova del Carbonio 14 i semi sono stati datati intorno a 3000 anni fa (all'incirca dal 1300 al 1100 a. C.), età del bronzo medio e periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica". 


Gli archeosemi ritrovati e analizzati sono quelli della Vernaccia e della Malvasia, varietà a bacca bianca coltivate proprio nelle aree centro-occidentali della Sardegna. "Affermare che la viticoltura in Occidente sia nata nell'Isola sarebbe esagerato - spiega ancora Bacchetta -  e non sarebbe supportabile in base alle evidenze scientifiche attuali. Quello che è certo, però, è che la vite in Sardegna non è stata portata dai Fenici, che in Libano già la coltivavano ancor prima dell'età Nuragica. Più che un fenomeno di importazione, dunque, noi pensiamo che in Sardegna si sia verificata quella che noi chiamiamo 'domesticazione' in loco di specie di vite selvatiche, che ancora oggi sono diffuse ampiamente in tutta la Sardegna. Va tenuto conto, però, che i Nuragici erano un popolo molto attivo negli scambi commerciali e hanno avuto contatti anche con altre civiltà, come quella cretese o di Cipro, che conoscevano la vite".

La scoperta è il frutto di oltre 10 anni di lavoro condotto sulla caratterizzazione dei vitigni autoctoni della Sardegna e sui semi archeologici provenienti dagli scavi diretti dagli archeologi della Soprintendenza e dall'Università di Cagliari. I risultati sono giunti anche grazie all'innovativa tecnica di analisi d'immagine computerizzata messa a punto dai  ricercatori del Ccb in collaborazione con la Stazione Consorziale  Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia. L'analisi sfrutta particolari funzioni matematiche che analizzano le forme e le dimensioni dei vinaccioli (semi di vite), mettendo a confronto i dati morfometrici dei semi archeologici con le attuali cultivar e le popolazioni selvatiche della Sardegna. Ciò ha permesso di scoprire che questi antichissimi semi erano appartenuti alle varietà coltivate mostrando, come visto, una relazione parentale anche con quelle silvestri che crescono spontanee sull'Isola.

"Adesso abbiamo la prova scientifica che i Nuragici conoscessero la vite domestica e la coltivassero - spiega Andreino Addis, presidente di Assoenologi Sardegna. Una buona occasione per rilanciare in grande stile la viticoltura sarda, che pesa ancora troppo poco sul piano nazionale".

Questi semi di vite provenienti dal passato sono dunque un patrimonio prezioso per valorizzare le produzioni vitivinicole doc e dei vitigni in via di sparizione. Che poi è lo scopo per cui L'Università di Cagliari è scesa dalla cattedra e si è calata nel territorio: "Da anni diciamo che la ricerca scientifica può aiutare molto le produzioni locali  - conclude Bacchetta - e avere importanti ricadute economiche. Caratterizzare un prodotto, conoscerne le origini costituiscono elementi essenziali per riuscire a dare un valore aggiunto. Di fatto stiamo operando di comune accordo con numerose cantine sociali che credono nel nostro lavoro. E cerchiamo di dare il nostro contributo concreto allo sviluppo economico della Sardegna".