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lunedì 25 agosto 2014

Achille Occhetto: "Occhio Renzi, farai la mia fine..."

Achille Occhetto














L'INTERVISTA su "liberoquotidiano.it del 24 agosto 2014
Compagno Occhetto, nel Pd c'è stata una rimozione nei suoi confronti?
«È così evidente…».
E perché, secondo lei?
«Perché io sono considerato, sia dai contrari alla svolta sia dai favorevoli, quello che aveva compiuto l’atto più empio. Come se il Papa si alzasse e dicesse che non esiste la verginità della Madonna. Nella vulgata sembra che si sia passati da Berlinguer a Renzi. Roba da psicanalisi di gruppo».
Si aspettava un incarico, magari onorifico, nel Pd?
«Anche molto meno».
Cioè?
«Mi aspettavo che ogni tanto si ricordasse che io sono l’ultimo segretario del Pci e il primo del Pds e che quando si parla di Berlinguer si facesse qualche riferimento anche a me. In qualsiasi partito civile questo avverrebbe. Non c’è stata una celebrazione ufficiale, compreso il film di Veltroni, in cui io sia stato invitato ad esprimere la mia opinione su Berlinguer».
Quando si è trattato di eleggere il presidente della Repubblica si sono fatti i nomi di diversi ex Pci, il suo no.
«Non posso stupirmi che non sia stato fatto il mio nome per il Quirinale quando non mi si è mai neanche proposto di fare il ministro né il sottosegretario. Quando dovetti lasciare la segreteria del Pds mi si chiese cosa volessi fare e io risposi: “Il presidente della Camera, se volete essere così gentili”. Lasciarono cadere la cosa».
Le hanno fatto pagare la sconfitta del ’94?
«Guardi che avevamo molti più voti di quanti non ne abbia adesso Renzi. Eravamo in piedi. Al punto che dopo tre mesi Berlusconi entrò in crisi».
Non vorrà mica far credere che il Cav non abbia fermato la gioiosa macchina da guerra.
«Non nego la sconfitta, sarei un pazzo se lo facessi. Anzi, andai subito ai microfoni per dire che Berlusconi aveva vinto. Ma perdere una campagna elettorale capita a tutti. Invece si è considerato il ’94 come la colonna infame. E questo è vergognoso».
Insomma, si sente tradito.
«Non io: la svolta è stata tradita».
Il Pd non è la continuazione della svolta della Bolognina?
«Sì e no. Sì, perché quando è caduto il Muro di Berlino quei partigiani comunisti, socialisti e del partito d’azione che sognavano tutti un’Italia diversa, iniziavano finalmente un cammino insieme. E una continuazione di quel cammino c’è nel Pd…».
Ma?
«Ma dico “no”, perché invece di quella contaminazione tra i diversi riformismi si è avuta una fusione a freddo di apparati, che negli ultimi di tempi ha determinato una continua tensione interna. Quindi non si è mai formata una vera coscienza unitaria, non c’è mai stata una capacità di presentarsi alla società con un messaggio innovativo. Così il Pd ha finito per essere la somma del peggio del Pci e della Dc».
L’impressione diffusa invece è che lei si limitò a cambiare il nome della ditta e che sia stato Renzi a dare nuova ragione sociale alla sinistra.
«Io non ho cambiato solo il nome. Dimentichiamo che io sono, scusi se lo dico con questo orgoglio, il comunista italiano che ha spostato il più grande partito comunista d’Occidente nell’Internazionale socialista. Mi basta solo questo per andarmene tranquillamente in pensione».
Sarà, ma è stato Renzi il primo a portare il partito nel Pse.
«Si dimentica che il Pse l’ho fondato io, assieme ai più grandi dirigenti socialisti d’Europa. E che noi siamo stati i fautori del passaggio al bipolarismo, non Berlusconi. A Segni che venne da me perché non aveva le firme sufficienti per il referendum dissi: “Le firme te le do io”, mettendomi contro la grande maggioranza del Pci, che era proporzionalista».
Se l’aspettava che fosse un democristiano a rimettere in moto la gioiosa macchina da guerra?
«Questo è ancora tutto da dimostrare. Bisogna distinguere un successo elettorale dall’effettiva, duratura capacità di dare una prospettiva alla sinistra e di tenuta del governo nel lungo periodo».
Che giudizio dà di Renzi?
«Con Renzi siamo passati da una fusione a freddo di apparati a una fusione a caldo a base leaderistica. Ma quella che io volevo era una contaminazione tra i diversi riformismi».
C’è qualcosa che le piace in lui?
«La sua volontà di rinnovamento della classe dirigente di derivazione comunista che negli ultimi anni aveva distrutto la sinistra italiana. Quando Renzi ha dato il via alla rottamazione, ho stappato bottiglie di vino».
Ha brindato alla rottamazione di D’Alema…
«No, perché quando è arrivato Renzi, D’Alema era già praticamente rottamato. Per questo vorrei lanciare un avvertimento a Renzi».
Prego.
«Il termine “rottamazione” ha senso se si individuano con chiarezza nel passato gli errori che si sono commessi. Colpire nel mucchio tutta una generazione non ha nessun significato. Non a caso nel Pd permane una gran confusione sugli obiettivi da raggiungere».
E quali sono gli errori che avete commesso?
«La sinistra italiana ha sbagliato innanzitutto nell’interpretazione di quella che doveva essere la prospettiva della svolta. Sin dall’inizio c’erano due teorie: la mia, che era quella di superare il crollo del comunismo per dar vita a una nuova sinistra democratica ma liberal, che ponesse cioè come punto di partenza non solo la democrazia di massa, ma anche la libertà dell’individuo».
La seconda teoria?
«Quella di chi ha considerato la svolta un fatto tattico, una scorciatoia per entrare nel salotto buono, che puntava al governo per il governo, ai compromessi più bassi. Questo ha fatto spegnere la fiducia nella sinistra, ha fatto affievolire quella tensione morale che le permette di essere alternativa».
Parla di bipolarismo e liberalismo, ma avete sempre cercato di rimuovere l’avversario con l'aiuto dei magistrati.
«Alcuni magistrati erano più vicini alla sinistra, non è un mistero. Ma è folle sostenere che ci fosse un rapporto organico. Io ho sempre difeso la magistratura e ho sempre ritenuto che Craxi avesse sbagliato ad aprire questo scontro bruttissimo tra poteri dello Stato. Ma sono convinto che Mani Pulite sia stato il primo grande guaio per la svolta della Bolognina».
Addirittura.
«Io avevo spostato il Pci nell’Internazionale socialista. Benché Craxi fosse riottoso all’inizio, poi sarebbe stata naturale e persino obbligatoria l’unità tra comunisti e socialisti. Ma il terremoto di Mani Pulite compromise la svolta, favorendo i populismi e i giustizialismi».
Ecco, a proposito di giustizialismi: l’ultima volta lei si è candidato alle Europee del 2004 assieme a Tonino Di Pietro. Prendeste il 2,1%. Lo rifarebbe?
«Lo feci perché aveva iniziato a rianimarsi la questione morale. Ma visto com’è andata, è l’unica cosa che in politica vorrei non aver fatto».
Qual è stata la sua ultima tessera di partito?
«Quella del Pds».
Lei ha scritto un libro, “La gioiosa macchina da guerra”, in cui dedica un capitolo a D’Alema, simpaticamente intitolato “Il male oscuro”. In questi anni avete mai avuto un chiarimento?
«Non possono esserci chiarimenti dopo quello che ha fatto».
Cos'è che non gli perdona?
«Quando era il mio vice nella segreteria si muoveva su una linea diversa dalla mia non in modo aperto, ma agendo alle mie spalle con la complicità degli apparati. È questo metodo il male oscuro della sinistra».
Lei non ne è stato l’unica vittima, né l'ultima.
«È un male che imperversa anche oggi. Arriva fino ai 101 che in Parlamento hanno sabotato l’elezione di Prodi al Quirinale».
Lei usò lo stesso metodo nei confronti di Natta, per sostituirlo alla segreteria del Pci.
«Mi sbalordisce quest’accusa, perché io sono stato un sostenitore di Natta. Votai per lui quando ci furono le consultazioni dopo la morte di Berlinguer, nonostante già allora si facesse il mio nome per la segreteria. E fui un vicesegretario leale. Non ci sono tracce nei dibattiti pubblici di miei scontri con Natta, mentre D’Alema era continuamente in polemica con me».
Ma lei fece fuori un segretario che era in un letto d’ospedale reduce da un infarto.
«I medici dicevano che era meglio che lui lasciasse la politica e una parte consistente del gruppo dirigente del Pci ritenne che ormai era troppo anziano. Gli fu consigliato di fare un passo indietro. E si fece il mio nome».
Renzi non s’è inventato niente: la successione per decapitazione è prassi dalle vostre parti.
«Non è paragonabile la mia successione a Natta al modo in cui Renzi ha fatto fuori Letta dopo avergli detto di stare sereno. Ma anche lui rischia di essere ingoiato dal male oscuro della sinistra…».
Nel Pd c’è chi trama nell’ombra per far saltare la testa di Renzi?
«Renzi gioca tutto sulla vittoria continua. Non può perdere un colpo, perché non è amato nel Pd. Non vorrei trovarmi al suo posto quando la ruota comincerà a girare male…».
Intanto però gli va tutto benissimo. Come se lo spiega tanto consenso?
«Renzi incarna un fenomeno del tutto nuovo. A volte incontro vecchi compagni con le mutande e la canottiera rossa che dicono di votare Renzi. C’è uno zoccolo duro del vecchio elettorato comunista, sul quale fluttua, più che un partito, un’opinione liquida. A fondere questi due elementi sono il leaderismo e la terra promessa della vittoria. Questa è la grande forza di Renzi, ma potrebbe essere il suo tallone d’Achille».
Ha mai parlato con lui?
«È stato il primo che ho invitato alla presentazione del mio libro. Gliel’ho mandato in pdf, gli ho telefonato dieci volte…».
E Renzi?
«Non mi ha mai risposto».
Moriremo renziani?
«Speriamo di non morire, per il momento. Lei sicuramente non morirà renziana. Ma credo neanche io…».
intervista di Barbara Romano

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