Pagine

sabato 27 luglio 2013

DELITTO CALABRESI, 25 ANNI DOPO - CHI SA ALLUDE; ALLA FINE PERO' SI BUTTA SEMPRE IL TUTTO IN UN DIALOGO PARA INTELLETTUALE, MENTRE SI TRATTA DI QUANTO DI PIU' CRIMINALE LA SINISTRA HA COMMESSO IN ITALIA

da DAGOSPIA.COM del 26 LUG 2013 17:59

Oggi la ‘’Stampa’’ dedica due pagine alla vergogna italiana dell'omicidio del Commissario Calabresi. ‘’La Stampa’’ e' diretta, bene o male poco importa, da un galantuomo che ne e' il figlio. Non basta per essere grandi Direttori, ma basta assolutamente per avere rispetto..

1. DELITTO E CASTIGO
Bankomat per Dagospia
Oggi la Stampa dedica due pagine al pentito Marino che si confessa ed alla vergogna italiana dell'omicidio del Commissario Calabresi. La Stampa e' diretta, bene o male poco importa, da un galantuomo che ne e' il figlio. Non basta per essere grandi Direttori, ma basta assolutamente per avere rispetto.
Siamo un po' alle solite operazioni di macerata memoria della sinistra. Chi sapeva e sa allude; alla fine pero' si butta sempre il tutto in un dialogo para intellettuale, mentre si tratta di quanto di piu' criminale la sinistra ha commesso e non solo in Italia.
In fondo sembra quasi che una condanna netta e chiara dell'ideologia comunista e terrorista che ha causato infiniti lutti in Italia non si può mai sancire, mentre doverosamente si sancisce per il fascismo, chiaramente indifendibile.
Adriano SofriADRIANO SOFRIIL COMMISSARIO LUIGI CALABRESIIL COMMISSARIO LUIGI CALABRESI
Detto questo, speriamo che le macerazioni socio-psico-cultu della sinistra portino prima o poi a qualcosa. Purtroppo e' difficile prevederlo. Alla medesima Stampa di Torino che vide ammazzato Carlo Casalegno, suo Vice Direttore, dai terroristi di sinistra, alcuni pseudo intellettuali negli anni Settanta ostentavano equidistanza fra Stato e terroristi. Purtroppo lo ricordiamo benissimo.
Ma la vergogna e' la targa che fino a mesi fa campeggiava nell'atrio de La Stampa in via Marenco, in memoria di Carlo Casalegno ammazzato, parrebbe, da non si sa chi. Non un riferimento in quella targa pudica e infame ai noti terroristi di sinistra che lo hanno ammazzato.
Speriamo che nei nuovi uffici il Direttore Calabresi la faccia rimuovere.
2. I TORMENTI DI LOTTA CONTINUA E LA LUNGA DIFESA DI SOFRI
Jacopo Iacoboni per "la Stampa"
«Ecco colonnello, ho finito». Venticinque anni fa, tra il 18 e il 25 luglio dell'88, Leonardo Marino - un ex operaio alla Fiat a Torino, ed ex militante di Lotta Continua - conclude la sua confessione in cui, davanti al colonnello dei carabinieri Umberto Bonaventura, si addossa la responsabilità di aver partecipato come autista all'assassinio del commissario Luigi Calabresi, eseguito materialmente da Ovidio Bompressi, e accusa Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani di esserne stati i mandanti.
Sofri viene subito arrestato, trascorrerà l'estate nel carcere di Bergamo (esperienza poi raccontata in un libro, Le prigioni degli altri); comincia allora una lunghissima vicenda processuale conclusa nel '97 con la condanna a 22 anni. Parallela all'arresto prende le mosse l'ultima e più imprevista battaglia di una generazione di ex compagni di Lotta continua, di nuovo unita per difendere l'innocenza del leader dell'organizzazione della loro gioventù. C'è chi dice, anche il mito dell'innocenza perduta.
ADRIANO SOFRI GIORGIO PIETROSTEFANI OVIDIO BOMPRESSIADRIANO SOFRI GIORGIO PIETROSTEFANI OVIDIO BOMPRESSI
Già in quegli anni e nei successivi questi ex ragazzi hanno preso strade anche molto diverse, chi più laterali, come Guido Viale, chi variamente in carriera, impegnato in politica e successivamente eletto nei verdi, Marco Boato o Luigi Manconi, chi nel giornalismo, ma in modi davvero differenti, come Enrico Deaglio, Paolo Liguori, Marino Sinibaldi, Gad Lerner, Andrea Marcenaro. L'arresto di Sofri è come il gong di una generazione di mezzo: tutti si risvegliano, ognuno vuole dire la sua, ma ognuno ha con sé le sue motivazioni. A cominciare da quelle cruciali dell'accusatore, Marino. A caldo, non a caso, il commento di Leonardo Sciascia è: «Mi colpisce la figura di questo Marino, che cosa c'è dentro di lui».
Indro Montanelli in un'intervista riflette, «se i killer siano davvero questi non mi pronuncio. Di Tortora ne basta uno solo. Se si scoprisse che Sofri ha solo predicato l'illegalità, gli si può fare un processo morale», ma nella sostanza è convinto: «La campagna di stampa contro Calabresi fu certamente quello che armò la mano ai killer».
Su Repubblica Scalfari scrive un editoriale molto duro sul leader accusato dell'assassinio di Calabresi. Altri invece fanno distinzioni sottili. Luciana Castellina sul manifesto scrive «La violenza era nei tempi, negli scontri ai cortei, ma non in attentati di tipo mafioso». Degli ex parla subito Marco Boato, ormai è un iperpacifista: «C'è un baratro tra la critica sacrosanta a quell'errore e a quella concezione politica che avevamo in Lotta Continua, e immaginare che una campagna giudiziaria, che ha portato in tribunale anche un uomo mite come Pio Baldelli, sia collegata a un omicidio».
pd43 adriano sofriPD43 ADRIANO SOFRI
Enrico Deaglio, con Sofri in galera da pochissimo, dà al Tg1 una chiave: «Ho il cuore gonfio, ma anche fiducioso, perché tutti, dico tutti i vecchi compagni di Lotta continua si sono fatti vivi per chiedermi, cosa possiamo fare?». Come può accadere, al di là delle tante discussioni e anche forti divergenze politiche, esistenti dentro l'organizzazione?
Guido Viale è stato forse l'altro grande leader di Lotta Continua: «Adriano naturalmente lo sento spesso, anche se lo vedo raramente, e mantengo nei suoi confronti un'amicizia affettuosa e ricambiata». Adesso racconta: «Non c'è stata nessuna lobby, un'espressione escogitata da un establishment ostile a quella storia. Semmai Lc nasce da un sentimento di fratellanza e condivisione che ha resistito negli anni perché l'organizzazione non è nata su una teoria o un'ideologia, ma da una fiducia reciproca basata su un'assoluta franchezza». Viale è convinto piuttosto che ci sia stato a lungo un forte pregiudizio colpevolista su Sofri, in molta sinistra ufficiale e no.
LEONARDO MARINO NELLA SUA CREPERIE IN PROVINCIA DI LA SPEZIALEONARDO MARINO NELLA SUA CREPERIE IN PROVINCIA DI LA SPEZIA
«Molti che all'inizio nei media erano stati i più ostili a Sofri, penso a Eugenio Scalfari - e in generale al gruppo Repubblica - che scrisse un articolo durissimo sostenendo che anzi, la cattura di Sofri avveniva troppo tardi, divennero in seguito suoi convinti difensori, quando capirono che le accuse erano totalmente infondate. Invece quelli che nutrirono più antipatia verso Sofri furono e sono tuttora, da un lato persone con un chiaro orientamento politico di destra, dall'altro, gli epigoni di tradizioni diverse della sinistra extraparlamentare; penso per esempio all'area dell'autonomia, che non perdonò mai a Sofri di aver schierato Lc contro la lotta armata».
Sostiene Giovanni De Luna, ex attivista e storico, che «la difesa non fu di Sofri, fu la difesa di ideali e lotte della propria generazione», una mobilitazione nella quale ognuno rivedeva la sua storia, e difendere uno era difendere la propria stessa onorabilità. Altri, come Marino Sinibaldi, fanno notare che la coincidenza nella medesima stagione dell'arresto di Sofri, della fine del Pci e l'avvio di Mani pulite, «fecero sì che la forte componente anti-istituzionale che era presente in Lotta continua si sposasse con una forma di garantismo radicale, contro l'operato del tribunale di Milano».
Adriano SofriADRIANO SOFRI
Una tesi che in alcuni, per esempio in Paolo Liguori, torna per spiegare una delle ragioni della vicinanza degli ex andati a destra con quelli rimasti a sinistra: «La vera lobby era fatta di forze contro Sofri: il Pci dell'avvocato Maris, dell'area di Sarzana, da dove veniva Marino, la stessa area, si ricordi, in cui un Sofri giovanissimo si alza a criticare Togliatti; in più i carabinieri di Bonaventura e il tribunale di Milano».
Poi, dice Liguori, c'era «il pregiudizio fortissimo contro Sofri da parte di tutti quegli intellettualoni che volevano lavarsi la coscienza per aver firmato l'appello contro Calabresi». Se c'era un colpevole fisico, ritiene Liguori, le differenze tra un appello odioso e un assassinio erano ristabilite.
Giampiero Mughini firmò per alcuni mesi il quotidiano di Lc, per consentirne l'uscita per la legge sulla stampa. È uno dei non molti che da quel mondo hanno sostenuto (nel libro «Gli anni della peggio gioventù») che «il delitto maturò certamente negli ambienti di Lc, anche se Sofri credo vada assolto per insufficienza di prove».
Su quella generazione al telefono è a dir poco tranchant, «se parli con otto persone su dieci ti risponderanno che il delitto è avvenuto dentro Lc, ma poi stanno zitti. Me lo chiese Sabelli Fioretti per Sette - diretto dalla Agnese, con eminenza Paolo Mieli - e gli risposi; tutto qui. Ecco, io contesto l'impudenza vergognosa di questi di Lc che ancora oggi si mettono sul piedistallo dei presunti guru, e continuano a volersi raccontare come se fossero stati una forma di innocuo francescanesimo scalzo». Trentamila persone in otto anni passano in Lotta continua dal '68 al '76; un pezzo e un nodo di storia d'Italia che continuamente, anche oggi, finiamo per ritrovarci davanti.
LESTREMISTA DI DESTRA GIANNI NARDILESTREMISTA DI DESTRA GIANNI NARDI
3. MARINO: "MI CHIAMANO TRADITORE, MA IO POSSO GIRARE A TESTA ALTA"
Michele Brambilla per "la Stampa"
Sono passati venticinque anni da quell'estate in cui un colpo di scena riaprì le indagini sull'omicidio del commissario Luigi Calabresi, ucciso a Milano il 17 maggio 1972. Accadde un fatto più unico che raro: un uomo libero, incensurato e non sospettato di alcunché si presentò dai carabinieri per dire: sedici anni fa ho ucciso un uomo. Il suo nome è Leonardo Marino. Quando partecipò, come autista, all'agguato al commissario, aveva 26 anni; quando si costituì 42; oggi ne ha 67.
Dopo qualche titubanza, in quel luglio di venticinque anni fa Marino fece i nomi anche del complice, Ovidio Bompressi, e dei due mandanti, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Tutti ex militanti di Lotta Continua. Gli arresti scattarono il 28 luglio 1988. Marino è stato condannato a undici anni (poi prescritto); Sofri, Pietrostefani e Bompressi a ventidue.
La confessione di uno degli imputati pareva sufficiente a spazzare via qualsiasi dubbio: ma il Paese si divise ugualmente. Per anni Marino è stato investito da una campagna tesa a screditarlo. Si disse che si era inventato tutto; che aveva preso soldi dai carabinieri; che il Pci aveva ordito un complotto per regolare vecchi conti con Lotta Continua. Si disse che Marino voleva riscattarsi (economicamente) da un'esistenza grama, visto che vendeva le crêpes a una bancarella di Bocca di Magra. Oggi comunque è ancora lì, a Bocca di Magra, a vendere crêpes. Arriva all'appuntamento con una Citroën C3.
Marino, che cosa ricorda di quel luglio di venticinque anni fa?
«Cerco di non ricordare. Tre giorni fa è venuto un signore e mi ha chiesto: "È lei Marino?". Ho risposto di sì, e lui: "Allora voglio darle la mano". Ma la maggior parte della gente che passa di qui non sa niente. E a me va bene così».
Per una volta, le chiediamo di ricordare.
«Andai per primo dal prete di Bocca di Magra, don Regolo. Poi dal senatore Bertone del Pci, perché per me il partito era importante. Da lì nacquero le leggende sul complotto del Pci, alimentate anche dal fatto che pure il mio difensore, l'avvocato Gianfranco Maris, era un ex senatore comunista. Ma Maris era stato chiamato come difensore d'ufficio da Pomarici, il pm che mi interrogava. Era estate, a Milano non c'era nessuno. Pomarici aprì la porta e il primo che incontrò in corridoio fu Maris».
OVIDIO BOMPRESSI E ADRIANO SOFRIOVIDIO BOMPRESSI E ADRIANO SOFRI
Andiamo avanti con Bertone: che cosa le disse?
«Di andare dai carabinieri».
E lei?
«Andai dal maresciallo del paese, Ameglia».
Dove, a quanto pare, lei fu trattenuto a lungo.
«Lì nacque un'altra leggenda: quella di Marino imbeccato dai carabinieri. La verità è semplice: che cosa volete che ne sapesse il maresciallo di Ameglia dell'omicidio Calabresi? Era roba più grossa di lui. Per questo chiamò i suoi superiori, i quali poi mandarono il colonnello Bonaventura dell'antiterrorismo».
Che la tenne lì un po' in caserma. Perché?
«Se vai dai carabinieri a confessare un reato, per giunta così grave, è ovvio che prendono informazioni sul tuo conto. Scoprirono presto che a Torino c'era un fascicolo su di me per il mio passato in Lotta Continua. Cercarono di capire se ero credibile, dopo di che mi portarono a Milano in Procura».
Gli ex di Lotta Continua insinuarono che lei era stato pagato per parlare.
«Intanto, non si capisce che interesse avrebbero avuto i carabinieri a costruire false accuse contro un movimento che non esisteva più da oltre dieci anni. Secondo, se avessi messo in piedi una storia del genere per soldi, mi sarei fatto pagare bene. E invece come vede sono sempre qui come venticinque anni fa: a fare crêpes fino alle due di notte».
Non ha avuto altri vantaggi?
«E quali? Avrei potuto chiedere la protezione come collaboratore di giustizia, e ho rifiutato. Avrei potuto cambiare nome come Peci e Barbone, e non l'ho fatto».
BOMPRESSI E PIETROSTEFANIBOMPRESSI E PIETROSTEFANI
Rifarebbe quello che ha fatto venticinque anni fa, viste le insinuazioni, i sospetti?
«Mi sta chiedendo se mi sono pentito di essermi pentito? No. Adesso sono me stesso. Certo: qualcuno mi dà del traditore. Ma io posso andare in giro a testa alta».
Si aspettava da parte degli ex compagni di Lotta Continua una simile campagna contro di lei?
«Me l'aspettavo. È il loro stile. Hanno fatto con me quello che avevano fatto con Calabresi».
Quanto tempo è stato in carcere?
«Un paio di mesi a Opera. Poi un paio d'anni agli arresti domiciliari».
Da quanto tempo non vede più i suoi tre ex complici?
«Sofri e Bompressi dall'ultimo processo, nel 2000. Pietrostefani era già latitante all'estero da tempo».
Che opinione ha di loro?«Ognuno fa i conti con la propria coscienza».
ADRIANO SOFRI GIORGIO PIETROSTEFANI OVIDIO BOMPRESSIADRIANO SOFRI GIORGIO PIETROSTEFANI OVIDIO BOMPRESSI
A chi dei tre si sente più legato?
«A Bompressi. Era uno come me. Uno di quelli che quando tiravano una pietra non nascondevano la mano».
Quanti le credono, tra gli ex di Lotta Continua?
«Al di là della propaganda, tutti sanno che ho raccontato la verità. Solo pochi però hanno il coraggio di esporsi. L'ha fatto Casalegno, l'ha fatto Mughini. Ma gli altri dicono: chi me lo fa fare?».
Sofri al processo ha negato tutto, anche le rapine.
«L'avvocato Maris mi diceva: saranno condannati dalle loro stesse parole. Hanno negato anche di fronte all'evidenza, come le pistole rapinate all'armeria Leone di Torino e trovate in possesso di militanti di Lotta Continua. Credo che Sofri volesse dare una visione totalmente immacolata di Lotta Continua».
Marino, lei ha detto che Sofri le confermò il mandato a uccidere Calabresi a Pisa, dopo un comizio. Non ha nessun dubbio su quel colloquio?
«Mai avuto dubbi. Le parole esatte non le posso ricordare. Ma certe cose si possono capire solo tra chi è stato in un certo ambiente. Io avevo chiesto a Pietrostefani garanzie per la mia famiglia nel caso fossero andate male le cose, e volevo rassicurazioni da Sofri. Loro dicono: a Pisa non ci fu il tempo per parlarsi, si era sotto il palco di un comizio. Ma lui sapeva già tutto, gli bastò un attimo per darmi la conferma. Non c'è possibilità di equivoco. Non si dicono certe cose a chi deve andare a distribuire dei volantini».
bompressi ovidio pisaBOMPRESSI OVIDIO PISA
Non ha mai pensato che in realtà fu Pietrostefani a decidere l'omicidio, e che Sofri subì la decisione?
«Questo non lo posso sapere. Sicuramente "Pietro" era più propenso a passare alla lotta armata. Però ripeto: non lo posso sapere».
Sofri aveva un grande ascendente su di lei?
«Ce l'aveva su tutti noi».
È vero che ha chiamato il suo primo figlio Adriano in onore di Sofri e il secondo Giorgio in onore di Pietrostefani?
«Adriano sì, è per Sofri. Giorgio un po' per Pietrostefani e un po' per un altro ex di Lotta Continua, Giorgio Merlo di Torino».
Spera ancora che qualcun altro confessi?
«Lo spero ma non ci credo. La loro scelta l'hanno fatta».
Perché pensa che non confesseranno mai?
«Per troppo orgoglio».
Non crede che qualcuno avrebbe diritto alla verità?
«La verità è stata stabilita da ben sette processi, più quello di revisione a Venezia, concesso per motivi che non stavano né in cielo né in terra».
Calabresi fu ucciso solo da voi quattro?
«Sono sicuro che ci furono dei complici d'appoggio, ma non lo posso dire perché non so i loro nomi».
sofri bompressi mughiniSOFRI BOMPRESSI MUGHINI
Quando è finita la sbornia ideologica di quegli anni?
«È venuta meno in modo travagliato e prolungato. Ci furono anni di euforia: pensavamo di fare la rivoluzione. Poi c'è stato, man mano, un tirarsi indietro. Lotta Continua alla fine si è sciolta. Io ho pensato: ma che cosa ho fatto fino ad ora? Quello che mi hanno detto per anni erano tutte balle? Il potere agli operai, l'esaltazione di Mao e del Che... Tutto finito? Allora c'è stato un lento e progressivo ripensamento di tutta la mia vita. Io, noi, abbiamo avuto l'impressione di una generazione persa per colpa di pseudo-intellettuali che predicavano cose assurde».
Quando, nell'estate 1988...
«Quando ho confessato ero già distaccato da Sofri da un pezzo, se è questo che vuol dire. Posso aggiungere una cosa?»
Certo.
«Vorrei che lei scrivesse che io non avevo alcuna voglia di fare questa intervista. Ho accettato solo perché in qualche modo devo ancora farmi perdonare dalla famiglia Calabresi. Ma chiedo il diritto a vivere una vita normale. Faccio fatica, ogni volta, a parlare di queste cose».




Nessun commento:

Posta un commento