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mercoledì 26 giugno 2013

26 GIU 2013 18:37 PUTTANOCRAZIA – ‘’I VIZI NON SONO CRIMINI’’: IL FILOSOFO-GIURISTA LYSANDER SPOONER IN SOCCORSO DEL BANANA Per l’anarchico-libertario i vizi sono semplicemente degli errori e se le leggi non fanno questa distinzione non puo’ esistere al mondo qualcosa che assomiglia al diritto individuale e sarebbe inattuabile se un governo dovesse occuparsi di punire i vizi finendo per riempire solo le prigioni… - -

Tratto dal libro di Lysander Spooner "I vizi non sono crimini", Liberilibri, 1978 (prefazione di Angelo M.Petroni)
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I vizi sono quelle azioni con le quali un uomo danneggia se stesso.
I crimini sono quelle azioni con le quali un uomo danneggia già la persona o gli averi di un altro.
I vizi sono semplicemente gli errori che un uomo commette nella ricerca della propria felicità. A differenza dei crimini, essi non implicano malvagità nei confronti degli altri né alcuna interferenza con la loro persona o i loro averi.
Nei vizi la vera essenza del crimine - vale a dire l'intenzione di arrecare danno alla persona o gli averi di un altro - viene a mancare.
E' un principio del diritto che non ci possa essere un crimine senza l'intenzione delittuosa; senza, cioè, l'intenzione di violare la persona o gli averi di un altro. Ma nessuno pratica un vizio unicamente per la propria felicità, e non per malvagità verso gli altri.
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Se le leggi non fanno una chiara distinzione tra vizi e crimini e non la riconoscono, non può esistere al mondo qualcosa come il diritto individuale, la libertà o la proprietà, né cose come il diritto di un uomo al controllo della sua persona e dei suoi averi, e i corrispondenti e uguali diritti di un altro uomo al controllo della propria persona e dei propri averi.
Affermare che un vizio è un crimine e punirlo come tale è, da parte di un governo, un tentativo di falsare la stessa natura delle cose. E' tanto assurdo quanto lo sarebbe affermare che la verità è la falsità, o che la falsità è la verità.
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Ogni azione volontaria nella vita di un uomo, è virtuosa o viziosa. Vale a dire che è in accordo o in conflitto con quelle leggi naturali della materia e dello spirito da cui dipendono la sua salute e il suo benessere fisico, mentale ed emozionale.
In altre parole, ogni azione della sua vita tende, in generale, alla sua felicità o alla sua infelicità. Nessuna singola azione, in tutta la sua esistenza, è irrilevante.
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(...)
E' ora ovvio, per le ragioni già esposte, che un governo sarebbe del tutto inattuabile se dovesse occuparsi dei vizi e punirli come crimini. Ogni essere umano ha i suoi vizi. Quasi tutti ne hanno molti. E di tutti i tipi: fisiologici, mentali, emozionali, religiosi, sociali, commerciali , industriali, economici, etc.
BungaBUNGA
Se il governo deve occuparsi di uno di questi vizi e punirlo come crimine, allora, per essere coerente, dive occuparsi di tutti e punirli tutti in modo imparziale.
La conseguenza sarebbe che ognuno andrebbe in prigione per i propri vizi. Non resterebbe nessuno fuori per chiudere le porte dietro coloro che sono dentro. In realtà non si riuscirebbe a trovare abbastanza tribunali per giudicare i trasgressori, né a costruire abbastanza prigioni per contenerli.
lysanderLYSANDER
Tutto il lavoro degli uomini per acquisire la conoscenza, o anche per acquisire mezzi di sostentamento, verrebbe fermato, poiché noi tutti saremmo sotto continuo processo di reclusione a causa dei nostri vizi. Ma anche se fosse possibile mettere in prigione tutti i viziosi, la nostra conoscenza della natura umana ci insegna che, come regola generale, essi sarebbero molto più viziosi in prigione di quanto non lo siano mai stati fuori.
Lysander SpoonerLYSANDER SPOONER


martedì 18 giugno 2013

Quando Berlusconi pagava il Pci per costruire a Milano


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Paolo e la condanna a 11 milioni di euro

Il Golf Club di Tolcinasco nato a grazie a un miliardo di vecchie lire per Pci, Psi e Pds
Paolo e Silvio Berlusconi in una foto d'epoca
«Storie vecchie, chi si ricorda più.....» L’anziano dirigente del Pci di Milano, piegato in due dal caldo di fronte a una granita o fa finta di non ricordare oppure l’ormai trentennale vicenda di corruzione del golf di Pieve Emanuele che vide come protagonista Paolo Berlusconi, fratello dell’ex premier, è una storia d’archiviare. Non la pensano così però al palazzo di Giustizia dove le lungaggini del processo civile hanno visto lunedì 17 giugno la condanna in appello dell’editore del Giornale. Dovrà versare 11 milioni 111 mila 500 euro al comune di Pieve: ha già annunciato di fare ricorso in Cassazione. Per il penale la condanna per il piccolo Berlusconi fu di un anno di reclusione per corruzione, divenuta definitiva in Cassazione il 6 maggio 1998. 
La cifra è mostruosa - dovuta agli interessi lievitati - e dovrà essere spartita con i politici che ricevettero le mazzette in uno degli scandali dove fu coinvolta la Edilnord di Silvio Berlusconi durante Tangentopoli. Ebbene quell’amministrazione comunale era targata Psi, Pci e Pds, ma fu soprattutto un filo rosso, tutto comunista a consentire a Berlusconi jr di costruire il prestigioso Golf Club di Tolcinasco. La storia di perde nella notte dei tempi, ma vale la pena rircordarla per raccontare come si è costruito in quegli anni in Lombardia. E in una Milano da bere, rampante e di intraprendenti costruttori, che ormai non esiste più.
Siamo alle porte del capoluogo lombardo a metà degli ’80. Pieve Emanuele è una delle classiche cittadine dell’hinterland travolte dal boom dello sviluppo edilizio, zona sud del milanese, tra Rozzano, Fizzonasco e Basiglio, dove Berlusconi ha già iniziato a porre le basi per la costruzione di Milano 3. Da queste parti la Marchesa De Capitani Dozzio ha deciso di vendere il grande castello di Tolcinasco, con riserva di caccia annessa, circa 120 mila metri quadri di area, ereditato dal nonno Giuseppe De Capitani D’Arzago, ex podestà durante il fascismo e rappresentante del Partito Liberale Italiano. A comprare quei terreni («per un pezzo davvero a buon mercato» ricorda un vecchio amministratore lombardo) è proprio Berlusconi con la Società Europea Golf del gruppo Edilnord.
Siamo nel Parco Sud Milano, ci sono i vincoli ambientali, i Pgt da rispettare, ci sono ancora terreni coltivati, c’è il Corpo Forestale che si oppone alla costruzione di campi da golf e a modifiche della struttura originaria dei terreni. Ci sono da apportare varianti urbanistiche di ogni tipo. Ma Berlusconi jr e la Edilnord decidono di tirar dritto. E sanno di poterla spuntare. Da un pò di anni in via Paleocapa, sede del Biscione, è infatti arrivato Sergio Roncucci. È un ex comunista di Trezzano sul Naviglio, uno che quando Berlusconi portò i suoi fidati collaboratori da Papa Giovanni Paolo II, fu presentato così dal Cavaliere: «Santità, questo era un comunista, e lo abbiamo riportato sulla retta via».
Roncucci, geometra, responsabile relazioni esterne di Fininvest, collaboratore di Fedele Confalonieri - caso a voluto fosse stato pure consulente di un pm che indagò su Milano 2 - è l’uomo che sbriglia le matasse nelle amministrazioni comunali di sinistra e che finirà in carcere nel ’94 proprio nella vicenda del golf di Tolcinasco: confessò di aver pagato ai politici di Pieve Emanuele una tangente di 1 miliardo e 300 milioni per sbloccare i gangli dell'amministrazione. Quei soldi, come sta scritto nero su bianco nelle sentenze degli anni ’90, uscivano dai fondi neri dell’Edilnord. «Roncucci era quello che teneva i conti con il Pci...» ci rivela un vecchio politico repubblicano che si ricorda di quei tempi. 
E come rammenta un vecchio articolo di Repubblica firmato da Luca Fazzo, ora giornalista del Giornale, citando i verbali di Roncucci, alla sede del Biscione «passava a ritirare quattrini una quantità di persone: il sindaco socialista di Pieve Emanuele Antonio Maresca, il responsabile di zona Sud del Pci Renato Pintus, l'architetto pidiessino Epifanio Li Calzi, tecnico urbanista del comune di Pieve. Al "compagno" Pintus, suo amico da anni, Roncucci racconta di avere passato anche cento milioni per la campagna elettorale del 1990. Quando i pubblici ministeri gli chiedono se avesse fatto tutto di testa sua, Roncucci dichiara: ho agito su disposizione di Paolo Berlusconi».
Adesso il Golf di Pieve Emanuele è uno dei migliori in Italia. 18 buche, appartamenti, riunioni del Rotaract e belle donne. E il valore attuale di tutto il complesso vale di sicuro molto di più di quei 11 milioni di euro di risarcimento. Come avevano scritto all'epoca i giudici del Tribunale Civile di Milano, risulta che l'intervento urbanistico nel comune era avvenuto «in assoluto contrasto con le norme del piano regolatore del 1985» e aveva procurato un «danno all'ambiente». Chi ci va d'estate dice «è sempre pieno di zanzare».
argomenti: partiti


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/berlusconi-comunisti#ixzz2WaY9FNI6

domenica 9 giugno 2013

Pansa: De Benedetti? E' un Berluschino rosso L'Ingegnere ha una vera ossessione per Silvio. Forse perché...

IL BESTIARIO 

Al teatrino dei pupazzi di Beppe Grillo mancava soltanto lui: Carlo De Benedetti, il mitico Ingegnere. Ma dal 7 giugno il duce delle Cinque stelle ha deciso di presentarlo al suo pubblico. E nel modo più carogna, con una lunga lista di accuse che tra poco vedremo. Che cosa ha fatto Cdb per meritarsi la gogna? Ha fatto quello che fa sempre. Ovvero ha sbroccato, ha pisciato fuori dal vaso. Strillando come non avrebbe dovuto, per rispetto verso il proprio ruolo di proprietario  della Repubblica. Una vera potenza nel microcosmo della carta stampata, che lui avrebbe l’obbligo di tutelare non parlando mai a vanvera. 
La parola incauta o violenta: ecco un tratto del carattere che distingue Cdb da tutti gli altri padroni del vapore. Lui non le manda mai a dire, le dice in presa diretta. Senza badare alle conseguenze e al danno che procura a se stesso. Del resto, non è mai stato un signore conciliante. Anche nella veste di campo d’impresa si è sempre rivelato uno squalo, come di solito succede nel suo ambiente. Soprattutto quando sono in ballo miliardi e tutti vogliono mangiarseli. In questo non è diverso dal suo nemico giurato, Silvio Berlusconi. Pure il Cavaliere bada ai propri soldi con una cura persino più assidua di quella riservata ai propri voti. Dobbiamo stupirci che, in questo caso, gli estremi si tocchino, nel senso che risultino simili come accade ai gemelli? Assolutamente no. Non ricordo chi abbia detto che il capitalismo non è un pranzo di gala. E prevede per tutti l’uso di armi improprie e anche di peggio. Tra le armi preferite da Cdb c’è la parola. Di solito la usa per indicare l’avversario al disprezzo dei propri tifosi. Qualche volta il tentativo gli riesce, perché la potenza del suo impero mediatico rende troppo fievoli o inutili le risposte. Altre volte no. In questo caso la sorte dell’Ingegnere è segnata. E ricorda quella del piffero di montagna, che era partito per suonare e ritornò suonato. Come è accaduto nel caso del suo scontro con Grillo. 
Confesso che mi dispiace dover scrivere questo sul conto dell’Ingegnere. Ma ho un’attenuante: quello di aver dedicato trentuno anni della mia vita a lavorare nei suoi giornali, per difenderli e renderli forti. Certo, sono stato un dipendente candido e fesso. Tanto è vero che, quando mi hanno messo nelle condizioni di lasciare il Gruppone debenedettista,  nessuno mi ha offerto non dico una medaglia d’oro, ma nemmeno di latta. Nonostante tutto, riconosco che Cdb non è affatto uno sciocco. E spesso sa guardare lontano. Della sua perspicacia citerò un esempio, molto attuale in questi momenti tetri. Cdb è stato uno dei primi a intuire che cosa sarebbe successo in Italia alle prese con la tempesta perfetta della crisi economica e finanziaria. Me lo spiegò nel novembre 2008, dunque con qualche anno di anticipo. Ero andato a congedarmi dal suo gruppo, come fanno i dipendenti di lungo corso. E trovai Cdb molto pessimista a proposito dell’economia del paese. Disse che stavamo soltanto all’inizio di una lunga serie di difficoltà che sarebbero durate un bel po’ di anni. In quel momento ci trovavamo in piena deflazione, un ciclo economico che vede contrarsi la produzione, il reddito, i salari e i prezzi. Poi sarebbe arrivata la recessione. E allora avremmo visto i disoccupati fare la fila con la gavetta in mano, nella speranza di ottenere un piatto di minestra.  
Purtroppo per lui, Cdb non è sempre così saggio. Spesso parla a bischero sciolto e si abbandona a giudizi affrettati che gli procurano repliche al veleno. È accaduto nel 2010 con Massimo D’Alema, accusato dall’Ingegnere di due crimini nefandi. Il primo era di «stare ammazzando il Partito democratico» in combutta con un tal Bersani, «assolutamente inadeguato come leader». Il secondo delitto era di «non aver fatto niente nella vita». Mentre quel derelitto di Bersani chinò il capo e non replicò, Max sganciò sull’Ingegnere un bomba tossica. Senza neppure nominarlo, lo bollò così: «Anche nel nostro campo ci sono tanti imprenditori che vogliono fare i Berlusconi di sinistra e cercano di condizionare la politica. Ma sono dei Berlusconi di serie B, dei berluschini». A quel punto, l’Ingegnere avrebbe dovuto incassare e portare a casa. Ma è tignoso, vuole sempre avere l’ultima parola. E così, mentre si trovava a Londra per un impegno cultural politico, picchiò duro su Max: «D’Alema? È un problema umano. Quando una persona, invece di rispondere nel merito, si mette a parlare della luna, non me ne può fregare di meno». 
Già, un Berluschino rosso. Tra i politici italiani, D’Alema sa usare come nessuno il sarcasmo. Tanto che Grillo avrebbe molto da imparare studiando lo humour corrosivo di Max. Non conosco come abbia reagito l’Ingegnere nel sentirsi assimilato all’avversario numero uno. Ma so per certo che il Cavaliere è la sua eterna spina nel fianco. Non c’è occasione pubblica che non veda Cdb andare all’assalto di Berlusconi. Anche adesso, con i giornali che vanno a ramengo per il calo dei lettori e della pubblicità, l’Ingegnere continua a pensare che l’origine di tutte le disgrazie sia il Caimano di Arcore. La sua insistenza nell’attaccarlo potrebbe spiegarla soltanto uno psicanalista. Mi ricorda un vecchio signore della mia città che faceva cilecca con qualsiasi ragazza, ma dava la colpa a una dama che tanti anni prima l’aveva respinto. Da imprenditore e finanziere, l’Ingegnere non si è mai comportato da schizzinoso. E si è accoppiato con tipi che non erano stinchi di santo. A cominciare da Roberto Calvi, il banchiere dell’Ambrosiano, poi morto impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati neri. Eppure a fargli ribrezzo è soltanto il Caimano. 
In maggio, al Festival dei nuovi media che si teneva a Dogliani, in provincia di Cuneo, dove l’Ingegnere vive dopo la parentesi da profugo in Svizzera, ha spiegato al pubblico: «Berlusconi rifiuta la modernizzazione e le riforme perché è un piduista conservatore». Venerdì scorso, alla kermesse repubblicana di Firenze, è di nuovo tornato all’attacco. Spiegando: «Berlusconi e Grillo non piacciono agli italiani perché sono le malformazioni della società, dunque è giusto che stiano in basso». Ma questa volta, Cdb ha fatto il passo più lungo della gamba. Ossia ha commesso l’errore di attaccare due avversari con un mossa sola. Senza tenere conto di un fatto che i suoi esperti di comunicazione avrebbero dovuto rammentargli: Grillo è molto più astuto del Caimano e possiede un istinto formidabile per lo spettacolo. Infatti ha replicato all’Ingegnere annunciando sul suo blog che gli avrebbe rivolto dieci domande, una replica beffarda del tormentone inflitto al Cavaliere dalla Repubblica di Ezio Mauro. Con una variante dettata dalla cattiveria stellare. La corazzata repubblicana aveva svelato i dieci quesiti tutti in una volta, per poi ripeterli giorno dopo giorno, con un fantozziano effetto noia. Invece il blog corsaro del Duce grillesco le sparerà al rallentatore, tenendo acceso l’interesse dei suoi fanatici. Come ci ha ricordato sabato Franco Bechis su Libero, il primo quesito riguarda un disastro annidato nel passato imprenditoriale dell’Ingegnere: come ha fatto a ridurre in macerie l’Olivetti, un’azienda all’avanguardia nell’innovazione? 
Non ci resta che aspettare le puntate successive. Una cosa è certa: con l’ariaccia che tira in Italia, ci stiamo occupando di miserie. Ma del resto questa rubrica si chiama Bestiario e non è la succursale del Premio Nobel.

MACCHÈ EPURATO, GRILLO SNOBBÒ LA RAI (PAROLA DI BAUDO E ANGELO GUGLIELMI) I grillini che incassano la Vigilanza Rai ricordano “l’editto” dopo la battuta sui socialisti (1986) - Ma Grillo tornò per i Sanremo 88-89, e in un Festival sventolò il suo assegno da 350 mln di lire per una comparsata (a proposito di compensi Rai “da tagliare”) - Guglielmi: "Mi disse lui che non volega tornare"…

Paolo Bracalini per "il Giornale09 GIU 17:08 
BEPPE GRILLO NEL NOVANTAQUATTROBEPPE GRILLO NEL NOVANTAQUATTROBEPPE GRILLO CON SOLENGHI FIORETTA MARI BEPPE GRILLO PIPPO BAUDOBEPPE GRILLO CON SOLENGHI FIORETTA MARI BEPPE GRILLO PIPPO BAUDO
Grillo e la Rai, il ritorno. O la vendetta. Da epurato a vigilante, col suo deputato M5S presidente della commissione parlamentare che controlla viale Mazzini (nomina il Cda Rai, vota il presidente, decide sulla par condicio), il napoletano Roberto Fico, che ha subito rimarcato l'eccezionalità dell'evento: i grillini al comando della Vigilanza Rai, quando Beppe «è stato il primo epurato della tv pubblica» (dopo la famosa battuta sui socialisti che in Cina non sanno a chi rubare perché sono tutti socialisti).

Angelo Guglielmi, uno dei grandi creatori di tv in Italia, direttore (meglio, inventore) della mitica Raitre degli anni '80-'90, ricorda altrimenti la storia dell'editto pre-bulgaro su Grillo in Rai:
BEPPE GRILLO CON ANTONIO RICCI NEL SETTANTANOVEBEPPE GRILLO CON ANTONIO RICCI NEL SETTANTANOVEBEPPE GRILLO CON LORETTA GOGGI ED HEATHER PARISI NEL SETTANTANOVEBEPPE GRILLO CON LORETTA GOGGI ED HEATHER PARISI NEL SETTANTANOVE
«Certo, i socialisti, che erano parte essenziale della maggioranza e esprimevano il presidente del Consiglio, non potevano tollerare quella battuta, sulla tv pubblica - racconta Guglielmi - Ma poi fu Grillo a non voler più tornare in Rai. Me lo disse lui, quando andai a trovarlo a Tivoli, pochi mesi dopo l'incidente col Psi, insieme al mio capostruttura Bruno Voglino.
Mio sommo desiderio era avere Grillo nella mia Raitre, per lui avevo pensato un programma stupendo. Dieci minuti in prima serata, al sabato, uno studio disadorno con una bandiera dell'Italia, parodia del messaggio presidenziale di fine anno, dove Grillo era libero di dire quel che voleva, un suo messaggio settimanale al popolo italiano. Avevo intuito (nel 1987, ndr) che la sua vis comica era già essenzialmente politica. Gli promisi carta bianca. L'idea lo divertì, ma rifiutò. Mi disse che mai più avrebbe rimesso piede in Rai. Fu una sua scelta, non un'epurazione».
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Anche Pippo Baudo, storico «partner» televisivo tv di Grillo (incursore anarchico nella normalità democristiana dei format di Baudo), corregge la mitologia del leader Cinque stelle primo epurato della Rai. «Ma quale censura, è Grillo che non è voluto rientrare in Rai - ha raccontato Baudo, che adesso preferisce non dichiarare -È stato un auto esilio, Grillo voleva creare il casoper tornare con un grande coup de théâtre. E ci è riuscito».
ANGELO GUGLIELMIANGELO GUGLIELMI
La versione di Grillo è quella idealizzata dalla vulgata grillina e codificata da lui stesso: «Mi tennero lontano dalla Rai per diversi anni, dal 1986 al 1993, per due battute che anticipavano Tangentopoli. Poi, nel '92-'93, li portarono tutti in galera. Nel '93, dopo lunga quarantena, si rifece viva con me la Rai dei professori: tutte brave persone, che non capivano un tubo di televisione. Feci due serate in diretta, poi cominciarono a capire qualcosa di televisione e decisero che bastava così».
BEPPE GRILLO E PIPPO BAUDOBEPPE GRILLO E PIPPO BAUDO
In realtà la quarantena non è una quarantena. Grillo in Rai ci torna due anni dopo l'«editto», nel '88, al Festival di Sanremo su Raiuno, ed è di nuovo all'Ariston l'anno dopo, a fare ancora a pezzi il Psi ancora potente («E pensare che Martelli è andato in Kenya per farsi uno spinello, 5 milioni ha speso») e già che c'è pure la Dc del direttore generale Agnes («Il clan degli avellinesi De Mita e Agnes»). È pure tra i big invitati al Fantastico del 1990 (poi assente «per motivi di lavoro»). Per uno «tenuto lontano dalla Rai dall'86 al '93», non male.
BEPPE GRILLO E PIPPO BAUDOBEPPE GRILLO E PIPPO BAUDO
Nel frattempo risparisce, fa spettacoli teatrali da sold out (perché «l'hanno cacciato dalla Rai» e quindi la gente paga per sentirlo a teatro), è ospite alla festa dei Telegatti, vince il «Grand Prix Confindustria-Upa» per lo spot Yomo, fa spettacoli alle Feste dell'Unità di D'Alema e Veltroni. E ritorna di nuovo in Rai, a Raiuno, prima serata (1993), dove fa il botto con un monologo Cinque Stelle: «Ho cinque anni di cose da dirvi, anzi dieci anni. I cinque anni passati senza poter più venire in televisione e i prossimi cinque anni, che tanto mi mandano via subito».
roberto ficoROBERTO FICO
La Rai e Grillo, nessun leader la conosce più di lui, nessuno l'ha usata meglio di lui, soprattutto nell'assenza, da epurato volontario. Una battaglia dei grillini in Vigilanza sarà per la trasparenza dei compensi Rai. Anche su questo Grillo ha fatto scuola. Fu lui stesso a sventolare il suo, di compenso, per pochi minuti a un Festival di Sanremo: 350milioni di lire. Battute che prefiguravano il successivo Grillo leader anti-partiti (morti): «Guardate qui, ci sono un sacco di clausole, con penali da pagare. Ecco, per esempio, se mi scappasse che i socialisti rubano avrei una penale di 3mila lire. Perché così poco? Perché, cari politici, non ci interessate più».
I diritti del suo "Un grillo per la testa" vengono comprati nel '96 dalla Rai a 245 milioni di lire (malgrado Grillo offrisse di cederli a un prezzo simbolico di 500 lire), ma poi non vanno in onda, e il comico fa una causa civile. Che sia ancora in piedi la vertenza tra la Rai e il leader della Vigilanza Rai?

venerdì 7 giugno 2013

NOSTALGIA CANAGLIA Mughini: Grillini troppo scarsi, ridatemi i puzzoni Sotto la rivoluzione, niente. Anzi sì: gaffe e incompetenza. Tanto da far rimpiangere i vecchi politici

È una settimana campale per il cammino di rinnovamento della la moderna democrazia italiana. La settimana in cui i due capogruppo del M5S al Parlamento, Roberta Lombardi e Vito Crimi, cedono il passo a due dei loro colleghi. Tre mesi ciascuno su quella poltrona e non un’ora di più, è la regola ferrea del Movimento. Lo aveva già detto Lenin che nello Stato comunista sarebbe bastata una cuoca per il governo delle cose politiche. Tutti devono saper fare tutto. Tre mesi ciascuno, il tempo di imparare dov’è l’interruttore della luce elettrica che illumina l’aula e magari la stanzetta dove stanno le toilettes. A giudicare dalle loro facce e da quello che dicevano, i valorosi Lombardi e Crimi non ci devono avere capito niente di più, come del resto sarebbe successo a chiunque di noi si fosse trovato nella loro posizione. Il lascito politico più importante della Lombardi sono i suoi scritti sul web quanto al fatto che si fosse persa i giustificativi delle sue spese. Vale per i due simpatici ragazzi la battuta del protagonista di un film di Woody Allen, il quale confessa di avere usato il sistema di lettura veloce per leggere l’«Anna Karenina» di Lev Tolstoj. Ci ha messo due ore a leggere un tomone di circa 700 pagine. In tutto e per tutto ci ha capito che si svolgeva in Russia. Allo stesso modo, Lombardi e Crimi devono aver capito che Montecitorio è a Roma. «È la politica, bruttezza» avrebbe detto l’Alberto Arbasino che Stenio Solinas cita in questo suo ultimo e delizioso Gli ultimi mohicani, un denso libretto su quel che resta della politica. 
Quel che resta della politica, al tempo in cui impazzano (in tutti gli schieramenti) i dilettanti allo sbaraglio. Il mestiere di capogruppo in Parlamento di un importante partito (o movimento) è un mestiere difficile, che ci metti anni a impararlo e limarlo. Un tempo erano mestieri che venivano affidati a chi avesse un curriculum lungo così. La prima generazione politica del dopoguerra, quella che ebbe vent’anni nei Cinquanta - da Bettino Craxi a Giorgio La Malfa a Achille Occhetto, le tecniche e le arti della politica cominciò a impararle nelle aule universitarie dove si scontravano cattolici, comunisti, radicali. Ciascuno di loro che avesse scelto la politica come mestiere faceva una lunga gavetta in periferia o in provincia. Il giovane Emanuele Macaluso venne mandato a dirigere il Pci siciliano, Craxi venne mandato a dirigere la Federazione del Psi a Sesto San Giovanni, roccaforte dei comunisti. Prima o poi entravano in Parlamento, ne imparavano l’aura e il ritmo. Dopo venti e trent’anni passati così, uno diventava capogruppo al Senato o alla Camera.
Ebbene il Crimi che s’era seduto tutto sussiegoso innanzi a Pier Luigi Bersani nella memorabile diretta «streaming» a confronto della quale una puntata di Scherzi a parte era lo zero assoluto, prima di entrare in Parlamento aveva fatto in tutto e per l’impiegatuccio di provincia allo stipendio di 20mila euro lordi l’anno. Dopo di che s’era messo a cliccare sul Blog di Beppe Grillo. Non so se lui fosse uno dei 4.700 cliccanti che avevano scelto Stefano Rodotà come l’uomo giusto della Repubblica, internauti ingenui che non sapevano che si trattasse di «un ottuagenario» stanco e liso. Adesso Crimi molla. In piedi, ragazzi. E meno male che al suo posto arriverà uno di pari valore. Di più, è umanamente impossibile.
Sarebbero dunque questi i famosi volti nuovi della politica invocati da più parti? Una delle retoriche più pestilenziali del momento, di un momento in cui a pilotare aerei nella tempesta ci vorrebbero piloti sopraffini, alla maniera del Denzel Washington di questo suo recente Flight. Altro che dilettanti allo sbaraglio che ripetano alla maniera di un nastro gli strepiti ripugnanti di Grillo contro questo o quell’altro giornalista. Altro che volti nuovi. Alcuni anni fa, quando ero steso su un letto di ospedale ad aspettare che un chirurgo rovistasse nella mia prostata ad asportare un tumore che aveva fatto la sua antipatica comparsa, non è che mi aspettassi che l’uomo in camice che mi fece una carezza sulla fronte prima di cominciare l’operazione fosse un volto nuovo. Ero felice che si trattasse di un urologo che di tumori alla prostate ne aveva già operati 700. E perché mai quello che vale per la chirurgia non dovrebbe valere per la politica, un’arte del possibile quanto di più complessa? No, io penso che per la politica o la chirurgia o l’arte di pilotare un aereo valgano assolutamente le stesse regole. Curriculum, esperienza, pazienza nell’accettare i propri errori e correggerli, conoscenza (e rispetto) degli interlocutori. Penso che in politica come negli altri campi chi ha esperienza professionale vada salvaguardato e mantenuto. Trovo allucinante che la politica italiana rinunci a Giuliano Amato, a Walter Veltroni, a Massimo D’Alema, e tutto questo talvolta a favore di gente senza arte né parte. Dimenticavo. Siamo nell’Italia del giugno 2013. Fate finta che non abbia detto niente.

di Giampiero Mughini

FACCI Gli italiani fanno schifo e con Grillo il populismo può solo peggiorare: ecco perché dico no al presidenzialismo Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Basta vedere il successo del populista Grillo...

Che gli italiani facciano schifo, però, non è proibito pensarlo: io per esempio lo penso, ma dovrei impiegare almeno una pagina per spiegare decentemente che cosa intendo dire. Del resto, in discorsi privati, l’ho sentito dire centinaia di volte: che gli italiani sono civicamente immaturi, politicamente inaffidabili, orgogliosamente inconsistenti. In pubblico è diverso, e che lo dica un politico resta penoso. Ma ciò non elimina i dati storici di questo Paese: la velocità nel passare da fascismo ad antifascismo, dagli anni Settanta agli Ottanta, da Craxi a Di Pietro, da un conformismo all’altro, dall’azione alla reazione. Se i partiti del Dopoguerra sono crollati progressivamente tutti (il partito più vecchio, oggi, è la Lega) è anche perché gli italiani sono un po’ volatili. Dall’altra, oggi, lo scenario è inquietante: non si vede altro che una classe politica impegnata a blandire l’elettorato, carezzarlo per il verso giusto, comprenderlo, giustificarlo, sino a fargli credere - complici certi talkshow - che la vita gliela debbano risolvere interamente i politici. Ma i politici non sono pedagoghi, e gli elettori non sono bambini. Il grande equivoco del populismo tuttavia può solo peggiorare, da noi. Grillo, poi, ha abbassato enormemente l’asticella: e gli altri inseguono. Ecco perché no, non ce la vedo una Repubblica presidenziale. Non mi fido. Di loro, ma sosprattutto di noi.
di Filippo Facci

lunedì 3 giugno 2013

Fisco, così lo Stato nasconde i veri evasori fiscali Le dichiarazioni di gioiellieri & C. inducono a condannare tutti gli autonomi come "furbi". Ma è una trappola ideologica

Da "Libero Quotidiano.it"
Ci risiamo, puntali come non sono più i treni, arrivano le famose e fumose tabelle del Ministero dell’Economia sulle dichiarazioni dei redditi degli italiani. E puntuali come solo gli esattori di Equitalia sanno essere arrivano i titoli di sdegno e le commendevoli prese di posizione della banda degli onesti, quelli che a loro dire pagano fino all’ultimo centesimo di tasse, che si scandalizzano perché un gioielliere dichiara meno di un lavoratore dipendente o una tricoteuse è sotto il livello di sussistenza mentre il metalmeccanico duro e puro e il pubblico travet sono, obtorto collo, contribuenti di specchiata fedeltà. Ebbene non è così. Quelle tabelle sono distorte e distorsive e in parte anche mendaci e servono a foraggiare di argomenti spettacolari i professionisti dell’anti-evasione. Non ho lo spessore né culturale né morale di Leonardo Sciascia, ma davvero in questo Paese gli eroi della sesta giornata sono un esercito duro da sconfiggere e sconfinato da censire.
Anti-evasione - I professionisti dell’anti-evasione - al pari di  quelli dell’anti-mafia che Sciascia svelò nel suo monumentale articolo del 10 gennaio 1987 sul Corriere -  servono alla causa della burocrazia fiscale e oppressiva di questo Paese per occultare, sotto una cortina di sdegno da ben orchestrare, tre verità: la prima è che l’evasione fiscale in Italia è forse più bassa di quanto si dica, la seconda che la massa d’evasione è costituita dalle piccole furberie di moltissimi che sono spesso percepiti come povericristi, la terza è che se si indica nei professionisti, negli artigiani e nei commercianti la categoria dei “parassiti” come icasticamente illustrava la pubblicità regresso anti evasione promossa dal Ministero dell’Economia si lasciano in pace i veri grandi evasori che sono poi i primi responsabili della crisi economica che attanaglia il Paese. E nessuno per contro che dica che questo livello di pressione fiscale è inaccettabile e magari ricordi la curva di Laffer che dice: al crescere dell’aliquota diminuisce, oltre un certo livello, l’incasso del Fisco.
Queste tabelle sono create ad arte per sviare l’attenzione sul problema dei problemi: l’inefficienza del nostro Fisco che è ammalato di bulimia per cassa e di bulimia normativa e che è distorto nella sua medesima funzione. Non obbedisce al dettato costituzionale (articolo 53 da contemperare però almeno con il 41 tutela della proprietà privata e con il 47 tutela del risparmio) quanto  alla voracità della spesa pubblica improduttiva che è improntata a prassi anticostituzionali.
È proprio la farraginosità delle norme fiscali, che peraltro alimentano l’ignoranza nei cittadini, a consentire ai professionisti dell’anti-evasione di sbandierare queste famose tabelle per indicare alla pubblica gogna i parassiti. Che tali non sono o almeno non lo sono nel numero e nella massa di tasse evase che gli eroi della sesta giornata tributaria vorrebbero farci credere. E vediamo di chiarirci. Mentre i lavoratori dipendenti assolvono ai loro obblighi fiscali direttamente alla fonte, ma una e una sola volta, chiunque abbia una partita Iva è chiamato dal Fisco a rendere conto e dunque a versare all’incirca 150 volte l’anno.
Reddito e utile - Il regime fiscale italiano inoltre consente - come in tutto il resto del mondo civile - di distinguere i redditi dell’impresa che paga le tasse per proprio conto dai redditi del titolare dell’impresa che paga le tasse per proprio conto ma sull’utile che emerge, una volta pagate le imposte da parte dell’impresa, della sua azienda. Dunque poniamo che il nostro famoso gioielliere abbia la sua bottega orafa in società con altre due persone se il suo reddito di 17.330 euro mena scandalo è sbagliato. Vuol dire che è il risultato della spartizione di un utile netto di  circa 52 mila euro realizzato da quella bottega orafa la quale ha già pagato più o meno la stessa cifra di tasse. E si potrebbe qui elencare la teoria di balzelli che quell’attività ha  fronteggiato in corso d’anno. Ma per dire della distorsione statistica basta notare che nella platea dei dipendenti rientrano anche i grand commis di Stato, i Magistrati, o tutti i vertici delle aziende private che alzano la media.
La giusta media - Dunque per sapere se il gioielliere guadagna più o meno del suo dipendente bisognerebbe confrontare il reddito del titolare della gioielleria con quello del dipendente della gioielleria. Ma non è finita. Curiosamente le tabelle del ministero divulgate non parlano di badanti, colf, infermieri, impiegati nel sociale. Perché ? Tempo fa feci qui su Libero notare che una badante in ospedale prende all’incirca 90 euro a notte in nero. E vogliamo parlare dei cassaintegrati che integrano con il doppio e triplo lavoro? E vogliamo fare una seria indagine sulla manovalanza in agricoltura o sul nero che le pizzerie pagano a chi inforna visto che mancano 6500 pizzaioli e che probabilmente per averne uno si è disposti a chiudere un occhio sulla trasparenza della paga? Ma se la pizzeria paga in nero, il nero deve farlo ed ecco come si alimenta l’evasione.
Dicevo che probabilmente l’evasione fiscale è più bassa di quanto stimano i professionisti dell’anti-evasione per un motivo molto semplice: la massa. Se davvero fosse di 240 miliardi come si stima vorrebbe dire che circa un terzo del Pil del Paese è clandestino. A questo andrebbe aggiunto il bottino della corruzione stimato in  80 miliardi (a proposito siamo sicuri che tra i famosi dipendenti che pagano fino all’ultimo centesimo non ci siano anche i corrotti che ovviamente non dichiarano le mazzette?) oltre all’economia mafiosa che vale altri 200 miliardi. Vi sembrano cifre credibili o buttate li a casaccio?
La vera evasione - La verità è che tutto questo polverone serve a nascondere la vera evasione e la vera elusione: quella operata dalla banche, dai broker internazionali, dalle multinazionali che operano in Italia ma pagano se pagano altrove, dalle stesse aziende di proprietà pubblica e dallo Stato medesimo che non onora neppure i suoi debiti! Ma le tabelle dei grandi evasori, dei maggiori contenziosi fiscali chissà perché non escono.
Se il Ministero dell’Economia vuole fare moral suasion e un’operazione verità pubblichi piuttosto gli studi di settore. Si capirà che nonostante una crisi economica quinquennale i professionisti (persone fisiche) hanno denunciato guadagni in crescita dell’ 1,5% e che il loro reddito medio è attorno ai 50 mila euro. E allora non sarà che l’evasione fiscale, che pure c’è e va combattuta, è un ottimo alibi per questo Stato che non vuole mettere sotto controllo la spesa e soprattutto è incapace di viversi non come gabelliere ma come servitore del cittadino? In fin dei conti i professionisti dell’anti-evasione servono proprio a questo. A farci credere che in torto siamo noi cittadini e non lo Stato.   

domenica 2 giugno 2013

Da Moro a Falcone, da Bilderberg ad Andreotti, dal Kgb alla Cia. Le verità di Imposimato sulle stragi

da affaritaliani.it

CRONACHE

Venerdì, 31 maggio 2013 - 14:53:00

imposimato ferdinandoFerdinando Imposimato
di Lorenzo Lamperti
twitter@LorenzoLamperti
Dal rapimento di Moro agli omicidi diDalla Chiesa Pecorelli, fino alle stragi di Capaci via D'Amelio.Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, svela i retroscena sui misteri piùscomodi d'Italia in un'intervista a tutto campo ad Affaritaliani.it: "Il Kgb è intervenuto materialmente nel sequestro Moro. Cossiga e Andreottisapevano dov'era tenuto prigioniero, ma impedirono al generale Dalla Chiesa di intervenire. Falcone e Borsellino? Lì c'è la mano di Gladio e della Cia". Sulla strategia della tensione: "E' stata alimentata politicamente dal Gruppo Bilderberg. La trattativa Stato mafia? Il regista fu Scalfaro. E le intercettazioni di Napolitano e Mancino non dovevano essere distrutte". L'M5S aveva fatto anche il suo nome per il Quirinale: "Il ruolo di Grillo nella politica italiana è positivo". Le tesi di Imposimato faranno discutere. Ecco tutte le sue verità.
Da Moro a Borsellino, i misteri più scomodi d'ItaliaGuarda la gallery
Ferdinando Imposimato, lei pone questa domanda nel sua libro: "Perché Aldo Moro doveva morire?" E' riuscito a darsi una risposta?

Non c'è una sola risposta. Doveva morire perché da una parte c'erano dei politici che volevano la sua morte perché volevano prenderne il posto. Ricordiamoci che Moro era il candidato più autorevole alla presidenza della Repubblica. Dall'altro c'erano interessi internazionali. L'Unione Sovietica, per esempio, non voleva che l'esperienza italiana potesse riproporsi nei paesi del Patto di Varsavia. Dall'altra parte, Moro non era ben visto perché si pensava che non portasse avanti una politica di difesa del blocco occidentale. E questo si spiega anche con la presenza dei servizi inglesi e tedeschi. Non c'è un'unica pista ma un concorso di cause e di moventi perfettamente compatibili tra loro anche se possono sembrare contrapposti.

Tra le varie piste che lei dice coesistere ce n'era una predominante?

Quello che è sicuro è che l'Unione Sovietica ha partecipato materialmente alla sua eliminazione fisica attraverso il colonnello Sokolov, che sapeva del sequestro e ha pedinato Moro fino al giorno prima. Dall'altra parte c'era quest'altra entità che qualcuno ha identificato nel Gruppo Bilderberg. Non sono solo io a dirlo. Già un importantissimo documento del 1967 del giudice Emilio Alessandrini (ucciso nel 1979 dopo aver indagato sulla strage di Piazza Fontana, ndr) nel quale si diceva che Bilderberg era tra i responsabili della strategia della tensione.
"I 55 GIORNI CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO", di Ferdinando Imposimato (Newton Compton Editore)
IMPOSIMATO 978 88 541 5358 5
8 RISTAMPE IN TRE SETTIMANE
PRIMO NELLA CLASSIFICA DI SAGGISTICA
Trentacinque anni non sono bastati per far luce sul caso Moro. Inchieste giudiziarie e parlamentari, saggi, articoli e film non sono serviti a illuminare tutte le zone d’ombra del delitto che – forse più di ogni altro nella nostra storia repubblicana – ha colpito la coscienza del Paese e incrinato il rapporto tra società civile e mondo politico. Ecco perché vale ancora la pena di analizzare la dinamica dei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, nel tentativo finalmente di dare delle risposte diverse dalla versione ufficiale dei fatti. Grazie a nuove testimonianze esclusive e documenti inediti, Ferdinando Imposimato – giudice istruttore del caso Moro, che ha individuato l’unico covo in cui lo statista democristiano è stato recluso per tutta la durata della sua prigionia – ricostruisce l’agghiacciante scenario del sequestro, con rivelazioni bomba che lasceranno i lettori senza fiato. Perché la verità, ancora una volta, ha il sapore acre del sangue e l’abiezione del tradimento.
FERDINANDO IMPOSIMATO, nato nel 1936, avvocato penalista, magistrato, è Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. È stato giudice istruttore in alcuni dei più importanti casi di cronaca degli ultimi anni, tra cui il rapimento di Aldo Moro, l’omicidio di Vittorio Bachelet, l’attentato a Giovanni Paolo II. Grand’ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, ha ricevuto diverse onorificenze in patria e all’estero per il suo impegno civile. È stato anche senatore, prima nelle liste del PDS e poi del PD. È autore di numerosi saggi, tra cui ricordiamo Vaticano. Un affare di Stato e, con Sandro Provvisionato, Doveva morire e Attentato al Papa. Con la Newton Compton ha pubblicato nel 2012 La Repubblica delle stragi impunite. Per saperne di più, visitate il suo blog: ferdinandoimposimato.blogspot.com
Quale legame c'è tra questi attori e la Cia?

La Cia era il braccio armato di questa politica che voleva in tutti i modi eliminare un personaggio che metteva a repentaglio la sicurezza del blocco occidentale e poteva causare l'infiltrazione dei comunisti nel governo italiano. Oltretutto la Cia controllava i servizi segreti italiani, come ha pubblicamente ammesso Maletti (ex generale del Sisde, ndr). La Cia li finanziava con un budget da 500 milioni di dollari all'anno.

La Cia finanziava anche Gladio?

Certo, finanziava anche Gladio. Addirittura la Cia ha comprato la base di Gladio in Sardegna (la base di Capo Marrargiu, ndr).

In tutto questo il ruolo della politica italiana qual è stato?

E' stato un ruolo di subalternità assoluta a questa egemonia estera. In Italia sono stati eseguiti gli ordini che arrivavano dall'estero. La cosa traspare in maniera chiara dalle lettere di Moro. Moro ha scritto più volte: "Nella mia sorte c'è una mano straniera, di oltreoceano". E aveva ragione. Moro sapeva perfettamente dell'esistenza di Gladio.

Lei nel suo libro scrive che qualcuno sapeva in anticipo del sequestro di Moro...

Sì, Cossiga e Andreotti sapevano. C'è un documento del 2 marzo 1978 del quale io venni a conoscenza solo 25 anni dopo e che pubblico sul mio libro che lo prova. Anche Dalla Chiesa venne a conoscenza del luogo di prigionia di Moro e fin dai primi di aprile voleva intervenire per liberarlo. Quando fu bruciata la base di via Gradoli lo si fece proprio per impedire l'intervento di Dalla Chiesa. Al generale è stato l'ordine di abbandonare il campo, poi lui ne ha parlato con il giornalista Mino Pecorelli e lui ne ha scritto. Entrambi sapevano ed entrambi sono stati ammazzati.

Lei sostiene che lo Stato sapeva dove veniva tenuto prigioniero Moro.

Sì, è così. Quando hanno occupato l'appartamento soprastante la prigione di Moro era in vista del blitz che voleva fare Dalla Chiesa. Ma lo Stato non voleva farlo e così il 7 maggio fu dato l'ordine di sgomberare il campo.

Secondo lei c'è un filo che unisce tutte le stragi avvenute in Italia nel secondo dopoguerra?

Sì, non c'è dubbio. Ed è un filo che ancora oggi non si è spezzato.

Il Gruppo Bilderberg che ruolo ha avuto in tutto questo?

Ha gestito politicamente la strategia della tensione. Lo si evince dal documento di Alessandrini che io reputo fondamentale.

Nel libro-intervista di Paolo Madron il noto "faccendiere" Bisignani rivela che Andreotti sosteneva che la responsabilità degli omicidi di Falcone e Borsellino fosse del Kgb. Lei è d'accordo?

No, questa è una balla. Nel sequestro di Moro c'è stato sicuramente l'intervento del Kgb ma Falcone e Borsellino rientrano nell'orbita di intervento della Cia. L'esplosivo di Capaci e azionato dall'ordinovista Rampulla proveniva da uno dei depositi Nasco, controllati dalla Cia. La storia di Andreotti è, come sempre, l'opposto della verità.

In tutte queste stragi da parte della politica italiana c'è stata "solo" una copertura o un vero e proprio input?

Entrambe le cose.

Di solito quando si parla di Gladio o di altre associazioni più o meno segrete le si chiama "forze deviate dello Stato". E' una definizione corretta?

No, la definizione è sbagliata. Le forze deviate dello Stato sono forze al servizio dei politici. Mafia e terrorismo hanno agito non solo per le loro finalità ma anche per quelle dei politici.


Il suo nome è molto apprezzato dai militanti del Movimento 5 Stelle tanto che si era anche fatto il suo nome per il Quirinale. Le fa piacere? Qual è il suo rapporto con Grillo?

Personalmente non l'ho mai visto ma ritengo che il Movimento 5 Stelle abbia un ruolo positivo, pur con tutti i suoi limiti e i suoi problemi. In questo momento è l'unica opposizione presente in Italia e un'opposizione in democrazia deve sempre esserci. Già Aristotele diceva che l'essenza della democrazia sta nell'alternanza. Il problema è che dentro il Movimento vedo dei problemi, delle diaspore. E questo non va bene. Io sono convinto che sia meglio avere torto stando dentro che avere ragione stando fuori. Anche perché Pd e Pdl hanno spesso dimostrato di essere "complici".
Che idea si è fatto del processo sulla trattativa Stato-mafia?

E' una cosa vergognosa.

In che senso?

Vergognosa da parte dei politici, intendo. Ci dovrebbe essere la voglia di stabilire la verità e che ruolo hanno avuto vari personaggi, come per esempio Scalfaro. Bisognerebbe approfondire perché stando a quello che hanno detto Martelli e Scotti è stato Scalfaro il regista della trattativa. La verità deve essere rifondata andando a scoprire non solo gli esecutori materiali ma anche i mandanti di quello che è accaduto.

E' stato giusto cancellare le intercettazioni tra Napolitano e Mancino?

La Corte Costituzionale avrebbe dovuto dichiarare incostituzionale la legge che prevede la distruzione di quelle intercettazioni. Non si possono distruggere delle intercettazioni senza che queste vengano portate alla conoscenza delle parti che sono pm, avvocati e parte civile.