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lunedì 29 aprile 2013

Il discorso integrale di Enrico Letta alla Camera

Letta

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Pubblicato:   |  Aggiornato: 29/04/2013 17:34 CEST

martedì 23 aprile 2013

DISCORSO DI ACCETTAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


22/04/2013 0re 17:00

"Inizia per me un non previsto ulteriore impegno pubblico; inizia per
voi un lungo cammino da percorrere con passione, rigore umiltà"
"Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione". Così il
Presidente Napolitano ha giurato dinanzi alle Camere riunite in seduta comune con i
delegati delle Regioni, per poi rivolgere il suo messaggio al paese, "innanzitutto
esprimendo - insieme con un omaggio che in me viene da molto lontano alle istituzioni
che voi rappresentate, la gratitudine per il così largo suffragio" con cui è stato eletto
Presidente della Repubblica. "E' un segno - ha detto il Capo dello Stato - di rinnovata
fiducia che raccolgo comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova le mie
forze : e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e tanti nuovi eletti in
Parlamento, che appartengono a una generazione così distante, e non solo anagraficamente,
dalla mia".
"Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest'aula per pronunciare un nuovo
giuramento e messaggio da Presidente della Repubblica. Avevo già nello scorso dicembre
- ha ricordato il Presidente Napolitano - pubblicamente dichiarato di condividere
l'autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del settennato, è 'l'alternativa
che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica'.
Avevo egualmente messo l'accento sull'esigenza di dare un segno di normalità e continuità
istituzionale con una naturale successione nell'incarico di Capo dello Stato. A queste
ragioni e a quelle più strettamente personali, legate all'ovvio dato dell'età, se ne sono
infine sovrapposte altre, rappresentatemi - dopo l'esito nullo di cinque votazioni in
quest'aula di Montecitorio, in un clima sempre più teso - dagli esponenti di un ampio arco
di forze parlamentari e dalla quasi totalità dei Presidenti delle Regioni. Ed è vero che
questi mi sono apparsi particolarmente sensibili alle incognite che possono percepirsi al
livello delle istituzioni locali, maggiormente vicine ai cittadini, benché ora alle prese con
pesanti ombre di corruzione e di lassismo. Istituzioni che ascolto e rispetto, signori
delegati delle Regioni, in quanto portatrici di una visione non accentratrice dello Stato, già
presente nel Risorgimento e da perseguire finalmente con serietà e coerenza. E' emerso da
tali incontri, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai
incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell'inconcludenza, nella
impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell'elezione del Capo dello
Stato. Di qui l'appello che ho ritenuto di non poter declinare - per quanto potesse costarmi
l'accoglierlo - mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese.
La rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata
nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in
questo senso aveva lasciato - come si è significativamente notato - 'schiusa una finestra per
tempi eccezionali'. Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima,
ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato :
senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di
emergenza che l'Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e
per noi sempre più stringente".
tempi eccezionali'. Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima,
ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato :
senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di
emergenza che l'Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e
per noi sempre più stringente".
"Bisognava dunque - ha aggiunto il Presidente Napolitano - offrire, al paese e al mondo,
una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di
volontà di dare risposte ai nostri problemi : passando di qui una ritrovata fiducia in noi
stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l'Italia. E' a questa prova che
non mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha
rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di
irresponsabilità". Il Capo dello Stato ne ha proposto una sommaria rassegna: "Negli ultimi
anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento
della politica e dei partiti - che si sono intrecciate con un'acuta crisi finanziaria, con una
pesante recessione, con un crescente malessere sociale - non si sono date soluzioni
soddisfacenti : hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le
scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha
condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti
in Parlamento. Quel tanto di correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della
riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica è
stato dunque facilmente ignorato o svalutato : e l'insoddisfazione e la protesta verso la
politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza)
alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni
unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni
e delle istituzioni in cui essi si muovono. Attenzione : quest'ultimo richiamo che ho
sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i
corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e
dell'amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle
riforme".
"Imperdonabile - ha rilevato il Capo dello Stato - resta la mancata riforma della legge
elettorale del 2005. La mancata revisione di quella legge ha prodotto una gara accanita per
la conquista, sul filo del rasoio, di quell'abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non
riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non
certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile
governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto
scegliere gli eletti. Non meno imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur
limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate
e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario".
"Molto si potrebbe aggiungere ma mi fermo qui perché - ha sottolineato il Presidente
Napolitano - su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione,
vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un
ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il
dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui
ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese. Non si può
Napolitano - su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione,
vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un
ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il
dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui
ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese. Non si può
più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione
praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno
improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana".
Il Capo dello Stato ha quindi richiamato il suo discorso a Rimini nell'agosto 2011, quando
volle "rendere esplicito il filo ispiratore delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro
Stato unitario : l'impegno a trasmettere piena coscienza di 'quel che l'Italia e gli italiani
hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato', e delle 'grandi riserve di
risorse umane e morali, d'intelligenza e di lavoro di cui disponiamo'. E aggiunsi di aver
voluto così suscitare orgoglio e fiducia 'perché le sfide e le prove che abbiamo davanti
sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo
attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l'Italia, con i suoi
punti di forza e con le sue debolezze, con il suo bagaglio di problemi antichi e recenti, di
ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile'. Ecco, posso ripetere
quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il linguaggio della
verità - fuori di ogni banale distinzione e disputa tra pessimisti e ottimisti - sia per
introdurre il discorso su un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di
proposte per l'avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile. E' un
discorso che - anche per ovvie ragioni di misura di questo mio messaggio - posso solo
rinviare ai documenti dei due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo scorso.
Documenti di cui non si può negare - se non per gusto di polemica intellettuale - la serietà
e concretezza".
Il Presidente Napolitano ha quindi formulato due osservazioni: "La prima riguarda la
necessità che al perseguimento di obbiettivi essenziali di riforma dei canali di
partecipazione democratica e dei partiti politici, e di riforma delle istituzioni
rappresentative, dei rapporti tra Parlamento e governo, tra Stato e Regioni, si associ una
forte attenzione per il rafforzamento e rinnovamento degli organi e dei poteri dello Stato.
A questi sono stato molto vicino negli ultimi sette anni, e non occorre perciò che rinnovi
oggi un formale omaggio, si tratti di forze armate o di forze dell'ordine, della magistratura
o di quella Corte che è suprema garanzia di costituzionalità delle leggi. Occorre grande
attenzione di fronte a esigenze di tutela della libertà e della sicurezza da nuove
articolazioni criminali e da nuove pulsioni eversive, e anche di fronte a fenomeni di
tensione e disordine nei rapporti tra diversi poteri dello Stato e diverse istituzioni
costituzionalmente rilevanti. Né si trascuri di reagire a disinformazioni e polemiche che
colpiscono lo strumento militare, giustamente avviato a una seria riforma, ma sempre
posto, nello spirito della Costituzione, a presidio della partecipazione italiana - anche col
generoso sacrificio di non pochi nostri ragazzi - alle missioni di stabilizzazione e di pace
della comunità internazionale. La seconda osservazione riguarda il valore delle proposte
ampiamente sviluppate nel documento da me già citato, per 'affrontare la recessione e
cogliere le opportunità' che ci si presentano, per 'influire sulle prossime opzioni
posto, nello spirito della Costituzione, a presidio della partecipazione italiana - anche col
generoso sacrificio di non pochi nostri ragazzi - alle missioni di stabilizzazione e di pace
della comunità internazionale. La seconda osservazione riguarda il valore delle proposte
ampiamente sviluppate nel documento da me già citato, per 'affrontare la recessione e
cogliere le opportunità' che ci si presentano, per 'influire sulle prossime opzioni
dell'Unione Europea', 'per creare e sostenere il lavoro', 'per potenziare l'istruzione e il
capitale umano, per favorire la ricerca, l'innovazione e la crescita delle imprese'".
Su questi ultimi punti, il Presidente Napolitano ha osservato di essersi "fortemente
impegnato in ogni sede istituzionale e occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi
sono nodi essenziali al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno a far
progredire l'Europa unita, contribuendo a definirne e rispettarne i vincoli di sostenibilità
finanziaria e stabilità monetaria, e insieme a rilanciarne il dinamismo e lo spirito di
solidarietà, a coglierne al meglio gli insostituibili stimoli e benefici. E sono anche i nodi -
innanzitutto, di fronte a un angoscioso crescere della disoccupazione, quelli della
creazione di lavoro e della qualità delle occasioni di lavoro - attorno a cui ruota la grande
questione sociale che ormai si impone all'ordine del giorno in Italia e in Europa. E' la
questione della prospettiva di futuro per un'intera generazione, è la questione di
un'effettiva e piena valorizzazione delle risorse e delle energie femminili. Non possiamo
restare indifferenti dinanzi a costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti
disperati, a giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro
emarginazione o subalternità".
"Volere il cambiamento ciascuno interpretando a suo modo i consensi espressi dagli
elettori - ha rilevato il Capo dello Stato - dice poco e non porta lontano se non ci si misura
su problemi come quelli che ho citato e che sono stati di recente puntualizzati in modo
obbiettivo, in modo non partigiano. Misurarsi su quei problemi perché diventino
programma di azione del governo che deve nascere e oggetti di deliberazione del
Parlamento che sta avviando la sua attività. E perché diventino fulcro di nuovi
comportamenti collettivi, da parte di forze - in primo luogo nel mondo del lavoro e
dell'impresa - che 'appaiono bloccate, impaurite, arroccate in difesa e a disagio di fronte
all'innovazione che è invece il motore dello sviluppo'. Occorre un'apertura nuova, un
nuovo slancio nella società ; occorre un colpo di reni, nel Mezzogiorno stesso, per
sollevare il Mezzogiorno da una spirale di arretramento e impoverimento".
"Apprezzo l'impegno - ha aggiunto il Presidente Napolitano - con cui il movimento
largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha
mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l'influenza
che gli spetta : quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e
non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non
può, d'altronde, reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di
organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo e ovunque i partiti.
La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione
e di intervento politico e anche stimoli all'aggregazione e manifestazione di consensi e di
dissensi. Ma non c'è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla
formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di
movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all'imperativo costituzionale
La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione
e di intervento politico e anche stimoli all'aggregazione e manifestazione di consensi e di
dissensi. Ma non c'è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla
formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di
movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all'imperativo costituzionale
del 'metodo democratico'. Le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione,
debbono comunque dare ora - nella fase cruciale che l'Italia e l'Europa attraversano - il loro
apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del paese. Senza temere di
convergere su delle soluzioni, dal momento che di recente nelle due Camere non si è
temuto di votare all'unanimità. Sentendo voi tutti - onorevoli deputati e senatori - di far
parte dell'istituzione parlamentare non come esponenti di una fazione ma come depositari
della volontà popolare. C'è da lavorare concretamente, con pazienza e spirito costruttivo,
spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e Senato.
Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all'età di 28 anni e portò giorno
per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica".
Il Capo dello Stato ha rilevato che "lavorare in Parlamento sui problemi scottanti del paese
non è possibile - ha rilevato il Capo dello Stato - se non nel confronto con un governo
come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia dell'opposizione. A 56 giorni dalle
elezioni del 24-25 febbraio - dopo che ci si è dovuti dedicare all'elezione del Capo dello
Stato - si deve senza indugio procedere alla formazione dell'Esecutivo. Non corriamo
dietro alle formule o alle definizioni di cui si chiacchiera. Al Presidente non tocca dare
mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non
quella voluta dall'art. 94 della Costituzione : un governo che abbia la fiducia delle due
Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la prospettiva temporale
che riterrà opportune. E la condizione è dunque una sola : fare i conti con la realtà delle
forze in campo nel Parlamento da poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e
quali siano le esigenze e l'interesse generale del paese. Sulla base dei risultati elettorali -
di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no - non c'è partito o coalizione
(omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a
sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata
agli elettori, o qualunque patto - se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i
propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni.
Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per
far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di
intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise
a problemi di comune responsabilità istituzionale. D'altronde, non c'è oggi in Europa
nessun paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo partito -
nemmeno più il Regno Unito - operando dovunque governi formati o almeno sostenuti da
più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente concorrenti. Il fatto
che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze,
mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un
diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse
problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in
termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più
che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze,
mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un
diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse
problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in
termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più
concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione - fino allo smarrimento
dell'idea stessa di convivenza civile - come non mai faziosa e aggressiva, di totale
incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti".
Il Presidente Napolitano ha quindi ricordato quando diceva già sette anni fa nella
medesima occasione auspicando che "fosse finalmente vicino 'il tempo della maturità per
la democrazia dell'alternanza' : che significa - ha puntualizzato il Presidente - anche il
tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne
imponga la necessità. Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell'ingovernabilità, almeno
nella legislatura appena iniziata. Ma non è per prendere atto di questo che ho accolto
l'invito a prestare di nuovo giuramento come Presidente della Repubblica. L'ho accolto
anche perché l'Italia si desse nei prossimi giorni il governo di cui ha bisogno. E farò a tal
fine ciò che mi compete : non andando oltre i limiti del mio ruolo costituzionale, fungendo
tutt'al più, per usare un'espressione di scuola, 'da fattore di coagulazione'. Ma tutte le forze
politiche si prendano con realismo le loro responsabilità : era questa la posta implicita
dell'appello rivoltomi due giorni or sono".
"Mi accingo - ha concluso il suo messaggio il Presidente Napolitano - al mio secondo
mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione 'salvifica' delle mie
funzioni ; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata
imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce. E lo farò fino a quando la
situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo
consentiranno. Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una
fase di vita già molto avanzata ; inizia per voi un lungo cammino da percorrere con
passione, con rigore, con umiltà. Non vi mancherà - ha concluso il Presidente - il mio
incitamento e il mio augurio".

lunedì 22 aprile 2013

Renzi e McLuhan





da THE FRONTPAGE

La settimana del dopo big bang si apre con una brutta intervista di Renzi a “Repubblica”. Brutta intanto perché la dà a “Repubblica”, e non per caso.
E’ dal 1976 che il giornale di Scalfari si è introdotto come un virus nella sinistra, prima affascinandola, poi guidandola sapientemente verso la necessaria modernizzazione, infine fagocitandola e mettendola al servizio della sua cultura pop, buonista e conservatrice. Una grande operazione editoriale, che ha consentito ad un finanziere più che spregiudicato e ad un vecchio narciso di condizionarne ogni mossa, fino alla perdita di qualunque autonomia ed alla sua completa devitalizzazione. Naturalmente accompagnando con baldanza il Pci-Pds-Ds-Pd – da Berlinguer a Bersani – in tutte le sue sconfitte.
Non c’è stato leader – in carica o aspirante – capace di evitare l’abbraccio mortale. E neppure Renzi, a quanto pare. La cui prima preoccupazione – dopo il cataclisma dei giorni scorsi – è quindi rassicurare su “Repubblica” il popolo smarrito della sinistra, e dirgli che lui non è amico di Berlusconi, non ama l’art. 18, vuole il lavoro (toh!), e che il Pd è il suo presente e il suo futuro. Con Orfini e Fassina. Senza Vendola, con cui però scambia amichevoli sms. D’accordo, nella sbrodolata c’è anche il presidenzialismo (l’aria fritta che in queste ore piace a tutti). C’è la fine del finanziamento pubblico ai partiti (e vorrei vedere, dopo le ultime prove). Ma il messaggio è uno solo, inequivoco, perfino accorato: vedete le cose che dico? Non sono un traditore, sono uno dei vostri. Accoglietemi e saprò finalmente portarvi al governo. Senza subalternità e timidezze. Sfidando Grillo, facendo l’agenda e bla bla.
Ora, è evidente che per un qualunque leader della sinistra il problema dei problemi si chiama oggi “popolo della sinistra”. Cioè quell’impasto di nostalgie, luoghi comuni e pregiudizi in cui pascola da anni e anni il vecchio (in ogni senso) militante-attivista tipo: in perenne crisi d’identità, privato di direzione politica, in balia di qualsiasi pulsione parolaia e palingenetica. Un popolo che prima veniva costantemente allevato ed educato, ed è poi diventato docile e ambita preda delle più spregiudicate operazioni di marketing, a partire da quella repubblichina.
Nessuno nega che a questo benedetto popolo si debba parlare, e che – brutalmente – vi sia bisogno dei suoi voti, “che non si possono regalare agli estremisti” (ahia, quante volte l’ho sentita, questa maledetta espressione…). Ma il punto è che a questo popolo va detta finalmente la verità. E cioè che quello che impedisce alla sinistra di governare e conquistare strutturalmente la maggioranza dei consensi non è certo Berlusconi, ma la sinistra stessa, prigioniera della sua storia, di miti svaniti e gonfia di rancoroso disamore verso la società in cui viviamo. (Anche perché, se questa verità non la dici o la nascondi, ti scordi i voti di quegli altri, ma questo è un discorso noto…).
Quindi attenzione, Renzi. E’ chiaro che parlare oggi e in questo modo a “Repubblica” tu la consideri un’operazione tattica. Ne hai sentito la necessità perché temi che lo sbandamento attuale possa essere devastante e irrecuperabile. E hai convocato sul giornale un’assemblea di militanti per rassicurare. Ma sappi che ci vuole ben altro. Lo sbandamento dura da decenni, è profondo, strisciante e continuo. Un’intervista a “Repubblica” – il più ricorrente e stanco dei rituali – ha il solo potere di confermarlo.
E ricorda che mai come in questo caso, caro Matteo, il vecchio e deformato adagio di McLuhan – il medium è il messaggio – conserva una sua attualità stringente.
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venerdì 12 aprile 2013

E’ tutto da rifare

  di Franco Luceri in Prima pagina


La vera causa dei problemi italiani sta nelle leggi sul lavoro e tributarie che spostando potere dai padroni, ai lavoratori e pensionati, hanno operato il miracolo dell’arricchimento dell’intero popolo per mezzo secolo e passa. Ma col passaggio dell’economia, da chiusa a globale, quella giustizia da equa è diventata iniqua.
La politica consociativa della Prima Repubblica, artefice del bum economico pre-globalizzazione, non ha saputo, voluto o potuto riadattare nella Seconda, le vecchie leggi al nuovo mercato, spostando potere in direzione opposta: dai lavoratori alle imprese, per compensare il calo di competitività del nostro sistema economico, ed evitare recessioni, fallimenti, licenziamenti e impoverimenti in massa.
Più le imprese macinano perdite, più vengono caricate di tasse per garantire ai lavoratori e pensionati pubblici e privati, continuità o crescita nel livello di benessere acquisito. Tutti hanno pensato che così il mercato italiano si sarebbe ripulito dalle piccole imprese incapaci di reggere la concorrenza; invece sono state le grosse e produttive a fuggire per prime dall’Italia, fino alla storia recente degli imprenditori italiani che si suicidano, sapendo bene che con l’attuale sistema legislativo, non esiste giudice che possa aiutare gli imprenditori onesti, senza finire lui stesso in galera: perché il massacro sindacale e fiscale degli imprenditori, in Italia è a norma di legge.
I beni o servizi che da noi costano 100, in Cina costano 10. Quindi la lenta agonia delle imprese italiane che continuano a subire tasse crescenti per profitti calanti o inesistenti, è sancita dalla legge. Ad ogni imprenditore onesto in difficoltà servirebbero tre giudici banditi, che violando per tre successivi gradi di giudizio, le leggi sul lavoro e tributarie, lo salvassero da sicuro massacro: cosa meno probabile di un sei al superenalotto.
Perciò gli imprenditori che per decenni hanno avuto fiducia nella giustizia italiana, ora preferiscono levare il disturbo da sé, ad una impossibile sentenza che li liberi dalla valanga di tributi che la politica idiota e la burocrazia menefreghista, irresponsabile o peggio criminale gli fanno piovere addosso.
Soltanto i lavoratori e pensionati avrebbero i numeri per consentire alla politica il salvataggio delle imprese italiane, cambiando le leggi e restituendo agli imprenditori il diritto di fare profitti e pagare salari e tasse, senza il dovere di concludere una vita onesta e una fede incrollabile nella giustizia con due metri di corda, dopo aver tentato la via altrettanto suicida dell’evasione tributaria, nella vana attesa che finisca la recessione o la bulimia fiscale: la tassazione delle perdite dove non ci sono profitti.
Ma per i lavoratori e pensionati, questo implicherebbe un arretramento nei diritti acquisiti: e una cambiale in bianco in tal senso non l’hanno ancora firmata e non la firmeranno mai per nessuno schieramento politico, né di destra, né di sinistra.
I governi Berlusconi hanno avuto valanghe di voti dai lavoratori e pensionati, maggioranze plebiscitarie, ma per pretendere più soldi per sé e più tasse per le imprese. Quindi hanno costretto Berlusconi a sfasciare, anche ciò che voleva e poteva risanare.
Ora, nemmeno la sinistra di Bersani ha il consenso per riportare in equilibrio la giustizia sociale, che così rischia di condannarci tutti alla distruzione, perchè un mercato fatto solo di arricchimento crescente, se non l’hanno ancora inventato per  le banche che falliscono a grappoli; si potrà mai garantirlo ai soli lavoratori e pensionati? No, è socialmente suicida.
L’Italia è ferma da sei anni nella recessione, che per le imprese significa impoverimento o fallimento, e per troppi imprenditori anche suicidio. Ma lo Stato e il popolo dei lavoratori e pensionati non sentono ragione: spremono gli imprenditori come limoni con tasse crescenti fino a farli fallire. Peccato che dei soldi rubati agli imprenditori, solo le briciole vengono impiegate per sfamare i poveri, ma il più, va ad ingrassare i ricchi.
Tutti pretendono gran parte dei profitti degli imprenditori; ma quando la politica economica comincia a regalargli perdite per anni, il socio Stato non solo si sottrae alla condivisione, ma ne accelera la fine continuando a tassare in maniera crescente fino al fallimento delle imprese o alla distruzione degli imprenditori: un milione di licenziamenti nel solo 2012.
Una volta i padroni rapaci condividevano con i lavoratori solo l’impoverimento, e trattenevano la ricchezza per sé. Oggi questo sistema si è capovolto, ma rimanendo rigorosamente criminale. I profitti di una impresa sono di sessanta milioni di padroni, mentre le perdite, di padrone ne hanno uno solo: quel fesso dell’imprenditore che si dissangua di pagamenti in attesa  di fallire.
Solo dalle demenziali leggi sul lavoro e tributarie dipende l’ingovernabilità e il fallimento dell’Italia, Spagna, Grecia e forse anche Francia e oltre; speriamo che almeno l’UE trovi la forza e il buon senso per metterci una toppa che non sia peggiore del buco.
Ma in attesa, bisogna gridarlo forte e chiaro: le finte democrazie che succhiano il sangue a venti milioni di poveri, (fino ad istigare disoccupati, pensionati o imprenditori in difficoltà al suicidio) per garantire privilegi, sprechi e ruberie ad un milione di parassiti e ladri pubblici e privati sono tirannie criminali, anche se affidate a soggetti di indiscutibile onestà, come lo sono le cinque più alte cariche dello Stato, e in primis la Presidente Boldrini che di fronte al dramma dei suicidi ha confessato con grande onestà: non avrei mai immaginato che in Italia potesse esserci questo livello di povertà. Invece è molto peggiore di quanto lei possa immaginarselo. Se non ci fossero le famiglie a fare costantemente da ammortizzatore sociale, le leggi e la burocrazia di questo Stato spingerebbero due italiani su tre a farla finita.
Presidenti Boldrini e Grasso, siete le due nuove risorse di speranza per questo Paese. Ma solo il Padreterno  potrebbe illuminarvi a capire in quale abisso sono sprofondati gli italiani poveri, in conseguenza di un sistema legislativo scadente e scaduto, in mano ad una burocrazia che eccelle solo per stupidità o criminalità: e perciò assassina con gli onesti e protettiva con i criminali.
Metteteci il cuore: perché il solo cervello dei saggi da strapazzo ha fatto troppi danni. Seguite la coraggiosa Boldrini fra la gente, senza aspettare i funerali, le lacrime e le urla di contestazione e troverete la chiave per salvarvi, salvando l’Italia, che ha in troppe leggi asociali e burocrazia idiota un tumore incurato e speriamo non incurabile.

martedì 9 aprile 2013

INFERNET - CADERE IN UNA RETE (DISUMANA) CHE IMPEDISCE DI SBAGLIARE


Lo scienziato politico bielorusso Evgeny Morozov mette in guardia sui pericoli di internet e del progresso tecnologico - La rete fa sì che noi esigiamo di risolvere un problema in pochi passaggi, come in un’equazione, annientando la nostra imperfezione e quindi la nostra umanità...

Fabio Chiusi per "l'Espresso"

L'idea fondamentale degli innovatori di Silicon Valley, e degli intellettuali che se ne fanno interpreti, è che la tecnologia serva a renderci migliori, e non possa che renderci migliori. Bando alla complessità: i problemi si possono risolvere sempre, e in un numero finito di passi, con un algoritmo. Che si tratti dell'obesità o dell'insonnia, dei deficit di memoria o di democrazia, di creare un piatto da chef per una serata romantica o ridurre il crimine, c'è sempre una risposta.
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E al centro di ogni risposta c'è «Internet», scrive lo scienziato politico di origini bielorusse Evgeny Morozov nel suo nuovo libro ("To Save Everything, Click Here", in uscita in lingua inglese). O meglio, una sua versione idealizzata che riduce un complesso di tecnologie e strutture fisiche, risultato di compromessi e battaglie politiche, a un'entità immutabile e inscalfibile il cui destino è necessariamente guidare il progresso dell'uomo e della società umana. Un Moloch dotato di leggi sue proprie, affini a quelle di natura, e le cui parole d'ordine sono trasparenza, apertura, condivisione, partecipazione, disintermediazione.
Evgeny MorozovEVGENY MOROZOV
Dopo aver chiamato la prima ideologia (c'è sempre una risposta esatta) «soluzionismo» e la seconda (la Rete è sempre la risposta) «Internet-centrismo», Morozov mostra che perfino quei dogmi apparentemente innocui vanno messi in questione. Perché, in certi casi, «possono ridurre il processo democratico a finzione», scrive. E la corsa a farne il massimo utilizzo nella gestione della cosa pubblica o nella nostra vita di tutti i giorni potrebbe rivelarsi «proibitivamente costosa nel lungo periodo».
Il prezzo, argomenta Morozov, è niente meno che la nostra stessa umanità. Perché al cuore del combinato disposto delle due ideologie che ci impediscono di fare una buona storia della tecnologia, e soprattutto di usarla al meglio per promuovere riforme reali e non di facciata, c'è una volontà di perfezione che atterrisce, soprattutto per la mancanza di spirito critico con cui viene affrontata.
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«Imperfezione, ambiguità, opacità, disordine e l'opportunità di sbagliare, peccare» sono «parti essenziali della libertà umana», si legge nel volume, e qualunque tentativo di eliminarle la cancella. Sia tramite l'utopia di un governo del popolo tramite «la Rete» o misurando ossessivamente tutta la nostra vita per correggerla (è il caso dei cosiddetti «datasexual», che barattano l'identità con le moli sterminate di dati che producono su loro stessi), il rischio è attuale, perché si parla di progetti e fenomeni in corso. E senza che l'opinione pubblica abbia ben chiaro che «un ambiente sociale perfettamente controllato» renderebbe da ultimo «il dissenso non solo impossibile, ma perfino impensabile».
IL CONTROLLO SU INTERNETIL CONTROLLO SU INTERNET
Per questo Morozov, nelle ultime pagine, scrive che il monito del libro è in realtà un elogio dell'imperfezione: «In parole povere, questo volume sostiene che il perfetto è nemico del buono, che a volte il buono è buono abbastanza e che, indipendentemente da quale strumento stiamo tenendo in mano, queste due affermazioni reggono».
Una critica, feroce ma argomentata attraverso un uso straordinariamente disinvolto (per un classe 1984) della storia del pensiero (dal design all'epistemologia passando per le fondamenta della teoria economica), che investe tutti i grandi nomi della riflessione sulla tecnologia: da Jonathan Zittrain a Jeff Jarvis, da Clay Shirky a Steven Johnson. E che non risparmia i proclami e le velleità civili di Mark Zuckerberg ed Eric Schmidt.
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A dirla tutta, non è sempre ben chiara la relazione tra le due ideologie dettagliate nel libro. L'autore concorda: «Ma in sostanza», spiega Morozov a "l'Espresso", «è molto semplice: il nostro atteggiamento verso Internet - specie l'idea che la Rete sia unica ed eccezionale, come già si era detto per la stampa - consente a molte idee "soluzioniste" di procedere senza alcun vaglio critico». Invece, argomenta Morozov, è tempo di abbracciare un «approccio post-Internet», che vada oltre la retorica del libero Web smascherata nel libro precedente ("L'ingenuità della rete", Codice) e dunque ampli la riflessione dal nonsense delle rivoluzioni fatte a colpi di tweet all'intero spettro della politica.
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Chiedendosi sempre quali conseguenze abbiano gesti apparentemente innocui come utilizzare l'open data per combattere il crimine cittadino, posizionare sensori di riconoscimento nei parcheggi pubblici o nei cestini dell'immondizia o sedurre gli astensionisti al voto ricompensandoli con badge e altri premi in stile Foursquare.
Tutto ciò è possibile solo «documentando come queste tecnologie vengano prodotte, quali voci e ideologie vengano ridotte al silenzio nella loro produzione e diffusione»; e mostrando come troppo spesso la riflessione che ce le dovrebbe spiegare somigli a una comoda giustificazione per le aziende pubblicitarie che vogliano trasformare il cittadino in consumatore - e nel nome del bene collettivo, non del loro.
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Una volta aperto lo sguardo alla concretezza della storia, si scopre che non c'è nessuna unicità o «rivoluzione digitale» (l'autore lo chiama «epocalismo») nella nostra era. E che i veri conservatori stanno proprio a Silicon Valley, che di quel pensiero è la culla. «Le loro soluzioni sono aggiustamenti», ci spiega Morozov, «che finiscono per promuovere riforme di corto respiro, regressive».
Per questo poco importa che «molti "innovatori" si dicano "liberal"»: se la tecnologia diventa il nostro risolutore di problemi per definizione, se a decidere è un algoritmo di cui abbiamo imparato a non chiedere la ratio o a dimenticare che è scritto da esseri in carne e ossa per altri suoi simili, «finiamo per accettare norme che dovrebbero essere soggette a costante scrutinio e revisione».
Invece la sudditanza a «ciò che vuole Internet», per parafrase Kevin Kelly (tra i bersagli preferiti di Morozov), va sostituita con una rinnovata priorità alla filosofia morale e al suo armamentario concettuale. Per comprendere che non sono le norme e i comportamenti umani a doversi piegare al progresso, ma viceversa; e capire come, e per quali ragioni, caso per caso. È un afflato umanistico che riporta alla mente "Tu non sei un gadget"di Jaron Lanier (un capitolo si chiama "Gadget intelligenti, umani stupidi"), solo con un senso di urgenza non percepibile tra le pagine del pioniere della realtà virtuale.
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«È tempo di opporsi, e di farlo ora piuttosto che tra dieci anni», conferma Morozov. L'idea che il pubblico potrebbe non essere pronto o semplicemente non curarsene non lo scalfisce: «Non chiedo che ogni cittadino smetta di fare ciò che sta facendo e prenda a leggere Latour», dice. «Anzi, suggerisco spesso il contrario: per esempio, che si debba delegare agli esperti. Ma questo non significa agire come se tutti fossero idioti. Se così fosse, si potrebbe governare la Repubblica come voleva Platone».
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Il pensiero di nuove forme di totalitarismo, tuttavia, sembra preoccupare realmente l'autore. Nonostante il libro manchi di qualunque tipo di catastrofismo, una radice anti-utopica pervade il resoconto di quelle che ormai sono tecnologie di tutti i giorni, dalla «condivisione senza attrito» di Facebook alle applicazioni del riconoscimento facciale. E, domani, alla realtà aumentata («ma intellettualmente diminuita»?) e alle auto che si guidano da sé di Google.
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Morozov invita a fermarci, considerare se i problemi e le soluzioni proposte da Silicon Valley siano a misura d'uomo o di multinazionale e, soprattutto, se siano davvero problemi. Il proposito di discutere approfonditamente di tutto è in parte altrettanto utopico e soprattutto incompatibile con i tempi della contemporaneità. Ma l'invito a riconsiderare le fondamenta stesse della nostra convivenza tecnologica, a partire dal porsi la domanda se «Internet» debba poter addirittura scomparire per favorire un reale progresso della civiltà umana, è un merito che consegnerà questo giovane pensatore alla storia che con tanto ardore ci chiede di rispettare.