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domenica 18 novembre 2012

AZIENDE PUBBLICHE: si vada a vedere i conti.

Desidero sollevare un problema che, ne sono convinto, interessa a tutti i Cittadini, perlomeno a quelli che pagano le tasse: la gestione antieconomica delle Aziende pubbliche.
E’ assolutamente vero che la differenza tra Azienda e Impresa consiste nel fatto che l’obiettivo dell’Azienda è quello di Soddisfare i bisogni dei Cittadini mentre quello dell’Impresa è quello di creare profitto (in realtà è quello di mantenere un equilibrio economico nel tempo soddisfacendo tutti i fattori della produzione, ma la vulgata dominante vede solo l’aspetto del Profitto e per di più in un’accezione negativa e quindi tanto vale accettare la limitazione al Profitto, ma in una logica positiva, visto cioè come leva per lo sviluppo e mantenimento in vita dell’Impresa stessa).
Sono certo che tutti i lettori converranno con me che le Imprese gestite bene tenderanno in primis a risparmiare sui costi e poi ad incrementare i ricavi. Ciò perché ai fini di una sana gestione l’Imprenditore privato, che abbia un minimo di cognizione di Economia Aziendale, sa bene che non contano i volumi di vendita, bensì quanto costa vendere.
Ormai anche i sassi sanno che una gestione economicamente sana, che non produca perdite, deve riguardare tutte le Aziende Pubbliche.
Nella mia esperienza professionale di Consulente di Marketing mi trovo a confrontarmi con Imprenditori che sono tali solo di nome, ma poco importa perché i mancati profitti o peggio le perdite prodotte dalla loro cattiva gestione ricade sulle loro imprese e in ultima analisi sui loro bilanci. Volgarmente si può dire che ci rimettono del loro e quindi transeat, peggio per loro.
Ma quando sono i Dirigenti delle Aziende pubbliche a rifiutarsi di prendere in considerazione le possibilità di abbattere alcuni costi strategici per le Aziende, o settori di esse, da loro guidati bè, non può essere accettato.
Ciò perché le Perdite generate dalle loro pessime gestioni sono pagate da noi Cittadini che paghiamo le tasse.
Poiché non voglio assolutamente citare in questa sede Aziende pubbliche e dirigenti, a mio parere negligenti, perché sarebbe di cattivo gusto, ma desidero sollevare un problema vero chiedo di aprire un dibattito e magari in quella occasione, se servirà a dimostrare il mio assunto agli scettici, potrò portare esempi concreti di gestione poco oculata, voglio essere gentile, di alcune aziende pubbliche della nostra zona.
Poiché i dirigenti delle aziende pubbliche devono garantire professionalità e sono responsabili dei danni provocati dalla loro gestione antieconomica, credo proprio che prima o poi ci si dovrà rivolgere alla Corte dei Conti della Regione Toscana perché rivolga la sua attenzione sulle aziende pubbliche della nostra Provincia, senza aspettare che si allarghino le voragini nei conti economici delle stesse.

Ennio Di Benedetto


Massa, 18 Novembre 2012

sabato 17 novembre 2012

Il declino dell’Italia (in 3 grafici)


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DA "CHICAGO BLOG"

Alcuni studenti mi hanno chiesto quale variabile potrebbe in maniera più sintetica ed efficace rappresentare il declino economico dell’Italia dell’ultimo decennio-quindicennio. La miglior ‘fotografia’ possibile del declino è a mio avviso rappresentata dall’indice del  Pil pro capite degli italiani in standard di potere d’acquisto (PPS) calcolato ponendo sempre uguale a 100 in ogni anno lo stesso dato per l’UE a 27 paesi. Si ottiene in tal modo una linea che discende rapidamente e continuamente nel tempo senza accenno alcuno ad un’inversione di tendenza, come è possibile vedere dal grafico sottostante.
Pil pro capite in SPA  (Indici UE27=100)
A metà anni ’90 il Pil pro capite dell’Italia in PPS si trovava 21 punti percentuali al di sopra del valore medio degli attuali 27 paesi che compongono l’Unione e persino 6 punti sopra il valore dei paesi UE-15 pre allargamento. Nel 2003 il dato italiano scendeva al di sotto del dato medio UE-15 e alla fine del decennio azzerava completamente il vantaggio rispetto all’UE-27.
Accanto alla ‘foto’ del declino relativo dell’Italia è utile  osservare anche le differenti dinamiche del Pil nel nostro paese e nell’UE che lo spiegano. Il Grafico seguente mostra i due indici del Pil reale dal 1995.
Pil Italia e UE-27 Italia esclusa  (Indici 1995=100)
Dal 1995 l’Italia è sempre cresciuta di meno del resto dell’UE (tranne nel 1999-2000): dal 1995 al 2007, ultimo anno per noi pre recessione, avevamo cumulato una crescita complessiva del 20% (contro il 38% del resto dell’Unione) ma circa metà di essa è andata perduta nel biennio 2008-9 e il piccolo recupero del 2010-11 è stato interamente bruciato dalla recessione fiscale italiana del 2012. Risultato? Mentre nel 2012 il resto dell’Unione (nonostante comprenda tutti i paesi problematici tranne noi) ha recuperato integralmente il livello di Pil del 2007 noi non abbiamo recuperato assolutamente nulla e il nostro Pil è ritornato quest’anno allo stesso livello del 2001, indietro di tre legislature politiche.
Ma c’è di peggio. Infatti in questo periodo la popolazione italiana è  cresciuta e in conseguenza i dati relativi al Pil pro capite segnalano un arretramento più consistente.
Pil totale e pro capite Italia e UE-27 Italia esclusa  (Indici 1995=100)
In termini pro capite il Pil dell’Italia risulta ritornato nel 2012 allo stesso livello del 1998, l’anno in cui l’Italia fu ammessa all’euro. So di regalare un argomento ai grillini ma il grafico ci dice che in tutto il periodo in cui abbiamo avuto l’euro non vi è stato alcun miglioramento nel pil pro capite e poiché nel frattempo la popolazione italiana è divenuta mediamente più anziana e ha in conseguenza più bisogni da soddisfare per garantire un dato livello di benessere, possiamo ragionevolmente credere che a fronte di un eguale livello di Pil reale pro capite il benessere medio attuale sia inferiore rispetto a quello del 1998.
Ovviamente una concomitanza non è una causalità e l’euro c’entra davvero poco col declino dell’Italia. Quando fummo ammessi all’euro avevamo un disavanzo pubblico inferiore al 3% del Pil e grazie all’introduzione dell’euro e alla ridenominazione del debito pubblico italiano abbiamo risparmiato sino a un massimo di 7 punti di Pil all’anno nella spesa per interessi. Con quel risparmio si sarebbe potuto portare il bilancio in pareggio, arrestando la crescita del debito  in valore assoluto e accelerandone la riduzione in rapporto al Pil. Si sarebbe anche potuta ridurre la pressione fiscale sino a un massimo di quattro punti percentuali. Se avessimo fatto queste poche cose oggi non avremmo nessun declino e nessun problema di finanza pubblica. Abbiamo scelto di non farle ma siamo stati noi, chi ci ha governato. Non ce lo ha chiesto l’euro o chi precedette Angela Merkel.
9 novembre 2012Senza categoria

giovedì 8 novembre 2012

GUIDA ALLE DETRAZIONE Casa, ecco come e quando risparmiare 50mila euro di tasse


DA "LIBERO" del 08/11/2012
Casa, così si risparmiano 50mila euro di tasse
 
di Antonio Spampinato
Mancano poco più di sette mesi alla scadenza delle agevolazioni fiscali del 50% per la ristrutturazione della casa. Il proprietario o l’inquilino che hanno effettuato lavori di riqualificazione - anche se si tratta semplicemente di piccole migliorie - dell’immobile tra il 26 giugno del 2012 e il 30 giugno 2013, possono portare a detrazione nella denuncia dei redditi la metà delle spese sostenute, fino a un massimo di 48 mila euro, che possono essere recuperati in 10 anni. Il tetto delle spese di ristrutturazione che rientrano nel bonus fiscale è dunque di 96 mila euro per ogni immobile (il 50% fa appunto 48 mila), anche nel caso di più interventi. Questo vuol dire che se vengono effettuati nello stesso appartamento due interventi di riqualificazione da 100 mila euro ciascuno, il tetto massimo su cui calcolare la detrazione resta 96 mila euro. Chi è proprietario di più appartamenti può contare invece su uno sconto fiscale calcolato su 96 mila euro per ciascun immobile. A fare fede non è la data di inizio dei lavori, ma la data del pagamento, che deve avvenire, appunto, entro il 30 giugno 2013.
Il meccanismo  L’articolo 11 del decreto legge 83/2012 permette di estendere il vecchio bonus del 36% fino al limite del 50% ed aumentare il tetto di spesa agevolabile da 48 a 96 mila euro. In questo modo il governo ha voluto dare un po’ d’ossigeno al settore dell’edilizia, particolarmente colpito dalla crisi. (Per avere un’idea della mannaia che dal 2009 è calata sull’intero comparto delle costruzioni: in base all’analisi dei bilanci 2011 fatta per «Edilizia e Territorio» dalla società Guamari, i risultati complessivi sulla redditività sono calati del 69% per i produttori e del 28% per i Top 50 gruppi di costruzione, mentre per le prime 100 imprese edili si è passati da un utile netto cumulato di 297 milioni a una perdita di 11,2 milioni).  Parallelamente all’estensione del bonus sulle ristrutturazioni, continua ad essere attivo (dal 2007 e fino a fine anno)  anche quello sulla riqualificazione energetica che prevede invece uno sconto fiscale ancora più alto - anche in questo caso si dovrà spalmare in 10 anni - pari al 55% mentre il tetto massimo su cui applicare lo sconto dipende dal tipo di intervento: 181.818 (lo sconto del 55% è dunque di 100.000 euro in 10 anni) per la riqualificazione energetica di edifici esistenti; 109.091 (la detrazione del 55% è pari a 60.000 euro in 10 anni) per la sostituzione di finestre, la coibentazione di pareti e coperture, l’istallazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda; 54.545 euro (il bonus del 55% è di 30.000 euro) per la sostituzione della caldaia. Nel caso si intenda utilizzare la detrazione al 55% è necessaria però la trasmissione telematica all’Enea della documentazione tecnica.
I lavori detraibili  Rientrano nel bonus fiscale del 50% le opere straordinarie, come la rimozione di barriere architettoniche, la creazione o lo spostamento di una parete interna, alcune opere di risparmio energetico, bonifica dall’amianto, abbattimento dell’inquinamento acustico, adeguamento degli impianti alle norme di sicurezza, la sostituzione delle finestre, il rifacimento del bagno o dell’impianto elettrico, l’istallazione di una nuova caldaia, l’applicazione alle finestre di film per la riduzione della luce solare. Sono escluse le opere di ordinaria amministrazione, come la tinteggiatura (previste solo nel caso di condomini), ma sono state incluse alcuni lavori minori, come l’installazione del salvavita, la porta blindata o l’impianto antifurto. Non possono essere inclusi invece quei lavori che prevedono un aumento della volumetria.
Chi ha diritto  A poter scontare il bonus sull’Irpef sono i soggetti privati come ad esempio il proprietario dell’immobile, l’inquilino (basta che paghi l’affitto e abbia contratto in regola), l’usufruttuario, il familiare convivente: in generale chi possiede o detiene l’immobile attraverso un titolo idoneo. Anche i non residenti in Italia possono approfittare dell’occasione. L’importante è che l’utilizzatore dello sconto abbia effettivamente sostenuto le spese o la quota a lui spettante. Il tetto però non è cumulabile tra i diversi soggetti: il calcolo deve essere fatto partendo dal totale speso per ogni singola unità abitativa e la detrazione, sempre per ogni unità immobiliare, non può superare i 48 mila euro.

Quando si risparmia  Valendo il principio di cassa, cioè il pagamento delle fatture, si possono detrarre i lavori iniziati anche prima dell’entrata in vigore della norma (26 giugno 2012), basta pagarli o averli pagati tra il 26 giugno 2012 e il 30 giugno 2013. I pagamenti effettuati a partire dal primo luglio 2013, rientreranno, salvo proroghe, nella detrazione del 36% con il tetto massimo di lavori scontabili a 48 mila euro. I pagamenti inoltre dovranno essere fatti attraverso un bonifico bancario dove risulterà la causale del pagamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione e la partita Iva o il codice fiscale dell’artigiano o dell’impresa. La detrazione inoltre si applica solo per gli interventi su immobili residenziali e sono dunque esclusi quelli effettuati su edifici con diversa destinazione d’uso. Da sottolineare il fatto che le detrazioni al 50% e quelle al 55% sulla riqualificazione energetica, sono cumulabili. Come sono cumulabili le detrazioni effettuate, per esempio sulla prima casa e su quella del mare e la quota spettante al proprietario o all’inquilino dei lavori condominiali che rientrano nella detrazione.

martedì 6 novembre 2012

Tutte le vergogne della sua Olivetti: "Libero" le ricorda a De Benedetti L'editore di "Repubblica" si dice orgoglioso di quell'azienda, ma dimentica mazzette e salvagenti di Stato. Oltre al suo passato socialista...



DI FRANCO BECHIS


03/11/2012
'Libero' ricorda a De Benedetti le vergogne della sua Olivetti
Carlo De Benedetti
Qual è il tuo stato d'animo?
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di Franco Bechis
Il passo d’addio è accompagnato sempre da una certa retorica, e figurarsi se non doveva accadere  anche per Carlo De Benedetti e il suo annuncio di mezzo ritiro dalla scena. Lui a dire il vero aveva già annunciato nel 2009 una pensione dorata, abbandonando tutte le cariche del gruppo salvo la presidenza dell’Espresso. Nella sostanza non cambia nulla rispetto ad allora, salvo l’utilizzo della legge sulla successione per trasferire ai figli le sue quote nella holding di famiglia, la Carlo De Benedetti & c. Un asse ereditario risolto in anticipo per non fare litigare la prole sul testamento, che gli assicura ancora il generoso stipendio da amministratore unico di Romed (2,5 milioni di euro l’anno) e la guida del gruppo editoriale che ha dentro Repubblica, i quotidiani locali di Finegil, le attività radiofoniche e televisive e il settimanale Espresso. Tanto è bastato per dedicare ieri sul quotidiano degli industriali italiani un’ampia intervista all’Ingegnere che annuncia «Ora farò l’editore puro».
EDITORE PURO
A parte l’atipicità di un editore puro che continua ad essere il capo di una famiglia con interessi nell’energia, nella finanza, nella ristorazione, nella componentistica auto, nella sanità e decine di altri settori, l’intervista al Sole 24 Ore ieri è stata l’occasione per ripercorrere fra effluvi di incenso la sua carriera di imprenditore. Come tanti altri grandi imprenditori (un difetto in comune col nemico di una vita, Silvio Berlusconi) De Benedetti gode di altissima autostima. E ha qualche difficoltà ad individuare errori compiuti in vita. Gli scappa un’ammissione sulla celebre scalata alla cassaforte del Belgio, la Sgb (che fallì ed è un fatto incontrovertibile), ma subito si corregge: «Il mio fu un errore di esecuzione, non di intuizione». Vale a dire: l’idea della scalata era stata sua, formidabile. La scalata in sé fu tentata dai suoi uomini, e furono loro a fallire: «Purtroppo nella sua finalizzazione l’operazione fu gestita male. E ne abbiamo subito le conseguenze». A una certa età la memoria ha maglie più larghe, vale per tutti. Così l’ingegnere non si ricorda più da quali labbra sfuggì l’arrogante annuncio ai belgi: «La ricreazione è finita», che fece irritare tutti e naufragare l’intera operazione. Erano proprio le sue labbra.
Ma i vuoti di memoria più terribili debbono avere accompagnato la non felicissima storia di De Benedetti nell’Olivetti. Non felicissima, perché grazie a quell’azienda fu indagato a Milano dal pool mani pulite, poi inseguito proprio diciannove anni fa durante il ponte dei Santi da un mandato di cattura. Infine pure arrestato (il processo fu lentissimo, e insieme ad altri fu infine prosciolto nel 2003 anche perché i fatti erano ormai prescritti). Al Sole 24 ore De Benedetti ha raccontato quel che si ricorda dell’Olivetti. Bei ricordi, come capita il giorno della pensione: «Una storia che rivendico con orgoglio. L’ho salvata da una morte che ha interessato tutti i nostri competitor di allora (…) Con Olivetti ho trasformato una fabbrica di macchine da scrivere in uno dei maggiori produttori di computer mondiali e poi in un grande operatore di telefonia mobile che rompeva un monopolio…». Poi se è finita male (ed è finita malissimo, con il marchio che ogni tanto risorge provoca altre disavventure e come la Fenice risorge ancora passando di mano in mano), naturalmente la responsabilità è altrui.
Basterebbe un po’ di memoria però per raccontare la storia giusta, forse poco adatta al passo d’addio, ma almeno vera. Quello di Olivetti in mano all’Ingegnere non fu straordinario successo imprenditoriale. Fu in realtà un calvario non diverso da quello affrontato dai competitori internazionali e anche dalle grandi imprese italiane in anni di crisi industriale come fu la prima metà degli anni Ottanta. Basta consultare gli archivi digitali per scoprire che il termine più volte associato ad Olivetti dal 1980 al 1994 fu «cassa integrazione», non certo un simbolo di grande successo. Non fu l’imprenditore, fu la politica a tenere in piedi quell’azienda. Sempre e comunque. Perché rappresentava un problema sociale, e perché De Benedetti chiedeva e pagava - come si faceva all’epoca - la politica per reggere la baracca. Lo ammise lui stesso - presentandosi naturalmente come vittima - davanti al pool Mani pulite che ormai lo aveva pizzicato quindici giorni dopo avere negato tutto di fronte all’assemblea degli azionisti Olivetti.
NEGAZIONE CONTINUA
«Non lavorare», scrisse in un suo memoriale, «in particolari specifici settori della pubblica amministrazione italiana diveniva per noi inaccettabile (…). Questa prima fase era caratterizzata da pressioni dei mandatari del Psi e della Dc alle quali rispondevamo respingendo richieste specifiche del “caso per caso”, ma cercando di limitarci a donazioni generiche ai segretari amministrativi non riferite specificatamente a singoli lavori». Poi «subentrò una seconda fase in cui avvenne una sistematica, totale, ineludibile contrattazione da parte dei mandatari dei partiti su tutto quello che potevano controllare senza alcuna eccezione. Così il nostro atteggiamento subì un cambiamento e cioè invertimmo la nostra posizione, respingendo ormai disgustati qualsiasi finanziamento ai partiti, ma subendo di volta in volta i ricatti di loro mandatari su singoli specifici espisodi». Insomma, finì con il pagamento di circa 10 miliardi di lire di tangenti. Concusso per tenere in piedi l’Olivetti.
Negli anni Ottanta l’azienda fu salvata dalla legge che impose i registratori di cassa a tutti i commercianti. Portava la firma di Bruno Visentini, già nel board Olivetti. E il mercato fu diviso da due aziende: l’Olivetti, e la Sweda. Che fu comprata subito dalla stessa Olivetti.
Nel memoriale De Benedetti sostenne di essere ricattato dalla politica che gli chiudeva la commessa delle Poste, aprendo il mercato ad aziende straniere. Pagò e rifornì l’azienda di vecchie telescriventi mai usate. Se ne trova ancora qualcuna nei magazzini di palazzo Chigi, dove costa una fortuna rottamarle. Sempre sotto ricatto dei politici, naturalmente. Anche se nell’archivio di Bettino Craxi e in quello di Giovanni Goria si trovano documenti che racconterebbero un’altra storia. A meno che il ricatto non comportasse cimeli garibaldini generosamente donati dall’Ingegnere a Bettino, o la partecipazione a comizi Psi sulla piazza di Brescia con tanto di garofano all’occhiello (foto dell’archivio Craxi).
Finite le commesse inutili, tornarono i cassa integrati. L’Olivetti provò a rifilarne 1500 alla pubblica amministrazione, con una norma varata dall’ultimo governo di Giulio Andreotti. Non passò in parlamento. Ma 414 cassaintegrati Olivetti furono scaricati lo stesso sulle spalle dello Stato. A quel punto l’ingegnere cercò di sfilare Finsiel all’Iri: un contratto per pagare la minoranza e comandare come fosse in maggioranza. Si oppose il socialista Massimo Pini, e l’operazione non riuscì.
LA PROPOSTA
Allora l’ingegnere bussò alla porta di Giovanni Goria (nella primavera del 1993), chiedendo una mano per la sua Olivetti pubblica amministrazione. Ci sono lunghi carteggi a testimoniarlo. Olivetti voleva una commessa per realizzare la carta elettronica della Sanità nella Regione Lazio, per poi estenderla in tutta Italia. E aveva proposto perfino una carta elettronica sostitutiva del certificato elettorale per fare votare tutti gli italiani. Goria caldeggiò (e anche qualcosa più) l’Olivetti presso l’amica Maria Pia Garavaglia, ministro della Sanità nel governo di Carlo Azeglio Ciampi. Il colpaccio però non andò in porto. E l’Olivetti sarebbe stata ancora mesi in agonia, fino alla spugna gettata dall’Ingegnere pochi anni dopo. Un’altra storia.

lunedì 5 novembre 2012

Vi svelo le manovre della lobby di Casaleggio Grillo, Di Pietro, Travaglio e De Magistris: ecco tutti i volti della cerchia. L'sms di Giggino a Travaglio: "Vulpio contro Santoro, io mi dissocio"

Lettera di Carlo Vulpio a "Il Giornale"